Cultura | Pop

La mezza età di Hello Kitty

La gattina senza bocca compie 50 anni e continua a esercitare il suo inquietante potere, come dimostra una mostra in suo onore che inaugura oggi a Londra ed esplora la complessità del concetto di "cuteness".

di Clara Mazzoleni

Così come Sailor Moon è la leader delle guerriere Sailor, Hello Kitty è il capo supremo della squadra Sanrio, la più famosa e la più amata. Tu, bambina, potrai anche preferire personaggi meno rassicuranti, come Sailor Saturn (la ragazza taciturna e solitaria che soffriva di terribili emicranie) o Batz Maru (il pinguino nero arrabbiatissimo), ma è molto più probabile che qualcuno ti regalerà un banalissimo scettro lunare, o un portafogli con la gattina senza bocca. Solo crescendo imparerai ad apprezzare l’immenso potere comunicativo di Hello Kitty: perché lei è sì la più famosa, ma anche la più distorta, continuamente reinterpretata e ricontestualizzata dalle controculture che se ne sono appropriate. Sono passati più di venticinque anni da quando il tatuaggio di una techno raver del mio paese di cui ammiravo moltissimo lo stile, una testa di Hello Kitty che piangeva sangue, ha contribuito a creare l’universo estetico a cui avrei aspirato da adolescente. Non sapevo bene come interpretare quel simbolo (forse neanche lei), ma mi sembrava potente. Da qualche mese sono ossessionata dal profilo Instagram mymelodyseilatop, che ha per protagonista la coniglietta con le orecchie rosa, sorellina di un anno più giovane (succede spesso nei casi di sorelle famose, ti trovi a preferire la più piccola: Bella e Gigi Hadid, Elle e Dakota Fanning, ecc.), e la reinterpreta per renderla simile a noi: esaurita, dissociata, sottopagata, sottona, ghostata, falsa, sessualmente frustrata, con evidenti problemi di oversharing. Ci sono momenti in cui, però, un ragazza ha bisogno della gattina bianca e del suo rassicurante mutismo. Qualche sera fa la rapper Anna Pepe, 20 anni, ha pubblicato una storia tenera e malinconica: sola a letto con lo scaldino De Longhi vicino, abbracciava il suo pupazzo di Hello Kitty.

Sull’assenza della bocca della gatta bianca c’è una leggenda metropolitana struggente, che conferma come il pubblico di Hello Kitty sia misteriosamente attratto dalle ombre e dalla tragedia: in tanti sono convinti che il suo inventore, un uomo, l’avrebbe creata ispirandosi a sua figlia, muta, malata e successivamente morta. In realtà i portavoce di Sanrio hanno ripetuto fino allo sfinimento che Hello Kitty non ha bocca per far sì che non parli nessuna specifica lingua, così che le persone «proiettino i propri sentimenti sul personaggio e siano felici o tristi insieme a lei». Anche il nome rivela la sua ambizione di conquistare il mondo: la sua vera inventrice, Yuko Shimizu, ha copiato il nome dal gatto con cui gioca Alice in Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, Kitty, e ci ha incollato un saluto universalmente comprensibile, “Hello”. Il percorso che ha fatto sì che un prodotto emblematico del capitalismo (e dell’omologazione e della globalizzazione) sia stato adottato per rappresentare ambizioni sovversive l’ha perfettamente riassunto Dazed, sottolineando come, negli anni, la gattina sia stata sì sfruttata dalla moda (tra i casi più recenti Blumarine e Balenciaga) ma anche adottata dalle sottoculture: i goth, gli emo (lo stile che meglio sposa “cuteness” e malinconia) e i movimenti Riot Grrrl, sull’esempio delle ragazze giapponesi che negli anni ’90 hanno cominciato a ricontestualizzarla in chiave ironica.

Creata nel 1974 a Tokyo, quest’anno Hello Kitty compie cinquant’anni. I tempi da un miliardo di dollari di fatturato sono lontani, ma la gattina sembra ancora abbastanza in forma, alla faccia del New York Times che, quando aveva 36 anni, l’aveva già data per spacciata, come si fa con molte star (e donne) over trenta. Sanrio sta celebrando il suo compleanno con molte iniziative, anche su TikTok: sinceramente mi aspettavo di trovare un bel po’ di animazioni adorabili, e invece il profilo abbonda di umani travestiti (o forse è sempre la stessa persona, chissà) che indossano il pesante testolone bianco di Hello Kitty. L’effetto è un po’ horror. Più efficace e interessante la mostra che inaugura proprio oggi, giovedì 25 gennaio, alla Somerset House di Londra, sponsorizzata sì dalla cinquantenne Hello Kitty e da Sanrio, ma più in generale incentrata sul fenomeno della “cuteness” e del kawaii. La mostra si chiama Cute e comprende le opere di artisti contemporanei come Mike Kelley e il collettivo MSCHF. E a proposito di carinerie e gattini con fiocchetti, per approfondire consiglio Carino!, un libro del 2021 pubblicato da Luiss Press, la cui sinossi suona oggi come un oscuro presagio: «I gattini su Internet, i Pokémon con la loro buffa e improbabile aggressività, i meme su Kim Jong-un, la coppia glamour Ferragni-Fedez che mostra la sua vita da neogenitori: le nostre giornate sono piene di “cose carine”, all’apparenza innocenti nella loro effimera frivolezza. Ciò che è carino sembra avere la caratteristica di farci sentire protetti e al sicuro. Secondo il filosofo Simon May, tuttavia, le cose che troviamo adorabili nascondono anche un altro, inquietante potere».

Immagine generata con Midjourney