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14:09 mercoledì 30 aprile 2025
Tutti i media hanno ripreso un articolo di Reuters sulla vibrazione atmosferica indotta, che però non c’entra niente con il blackout iberico (e forse non esiste)
La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.
Microsoft ha annunciato che dal 5 maggio Skype “chiude” definitivamente L'app non sarà più disponibile, chi ancora si ricorda le credenziali potrà usarle per accedere a Teams.
Alexander Payne sarà il presidente della giuria alla prossima Mostra del cinema di Venezia Il regista torna sul Lido dopo un'assenza di otto anni: l'ultima volta ci era stato per presentare il suo film Downsizing.

Harlem Shake

Origini del nuovo ballo-follia collettiva che impazza sul web e nelle università, nato negli anni '80 e finito per diventare una specie di Gangnam Style.

18 Febbraio 2013

30 gennaio: l’utente YouTube Filthy Frank pubblica un video nel quale lui (immagino sia della festa) e i suoi amici (immagino lo siano ancora) ballano muovendo disgustosamente spalle e bacini al ritmo di “Harlem Shake”, un pezzo del producer americano Baauer. Per qualche ragione ancora ignota che porta molta gente su internet a emulare gesta di vip e non e a condividerne i risultati, la danza viene ripresa  e rilanciata di gruppo in gruppo crescendo su numeri esponenziali. Passano solo pochi giorni prima che si sprechi la parola viral, e che redazioni a caccia dell’erede di Gangnam Style titolino, appunto, che è stato stanato, danzato e incoronato l’erede di Gangnam Style.

Nel caso abbiate voglia di sentirvi parte della grande famiglia della rete e tutta l’intenzione di cimentarvi, lo schema da riprodurre prevede pochissimi e semplici step: mandata in play la canzone, è necessario che una persona, in mezzo a un gruppo ancora inerme o comunque titubante nell’approccio, cominci a ballare. Fino alla cesura: un uomo fa “Let’s do the Harlem Shake”, il giro melodico continua ancora uguale ma forte, stavolta, di ritmica e basso, e tutti devono scalmanarsi un po’ come cazzo vogliono fino al secondo trenta circa, quando si sente una specie di ruggito di leone e il video rallenta per poi finire. Tutti così, tutti uguali. Il web è pieno di articoli blasé che ripropongono il ‘meglio’ degli “Harlem Shake” artigianali, quasi più che dei video stessi. Che siate uffici di startup, studenti, gerarchie militari, meteore russe, Jimmy Fallon, velleitarie hip hop-star alla Azealia Banks che si producono reattive in una versione cantata (il mio preferito è quello coi Peanuts).

Il web è pieno, anzi, di articoli che cercano di raccontare l’origine del fenomeno, non riuscendo a spiegarsi i perché e i per-come di una cosa talmente incomprensibile, e di mitologici “Harlem Shake” originali, cosa che peraltro fa riferimento a una ‘mossa’ che nei video di questi giorni non viene mai effettivamente riprodotta.

La Harlem Shake di Baauer è un brano dell’estate del 2012, una delle colonne portanti di quel genere musicale che qualcuno ha deciso di definire “trap music”, musica ‘elettronica’ (ammesso voglia significare ancora qualcosa) sui 140 bpm che mette in mezzo una specie di hip hop strumentale con sample e riff intellettualmente disturbanti e dubstep d’ultima generazione (spesso accompagnata da una sorta di trance music che però sembra preferire la ketamina all’ecstasy). Il tutto con l’ironia ‘tipica’ di questa ‘generazione’ ‘pazzerella’, come enunciato dalla famigerata analisi dello zeitgeist di noi giovani d’oggi sul New York Times. Negli articoli italiani troverete “si chiama dubstep/si chiama tumtum/chiedete a vostro fratello minore” ma diffidate, si tratta chiaramente di altra cosa.

Il genere gira da un anno circa dalle parti degli States e nei club dei grandi centri europei, e fonda sostanzialmente la propria struttura sulle produzioni del dj Diplo, della sua etichetta Mad Decent, su riadattamenti di dancefloor killer degli anni ’90 e degli ‘amici’ della LuckyMe Rec, un circoletto di producer che delizia party dal 2007 ma che da un po’ di mesi si è specializzato, con altri, in questo tipo di danza-da-festa-urbana-per-gente-che-vuole-ballare-ma-rivendicare-la-propria-caratura-intellettuale-e-provare-nostalgie-ironiche – se vi serve qualche nome da conversazione abbiamo Hudson Mohawke, Rustie, Lunice, Obey City, Machinedrum, Faux No, Flosstradamus, Dillon Francis e ovviamente Baauer. Che della Mad Decent di Diplo è rooster.

Una sorta di meme calato dall’alto, a dimostrazione di come la comunicazione possa essere ‘insufflata’ e lasciata ai consumatori.

Lui. Apprezzato produttore e conduttore di un programma tutto suo su Bbc Radio, Diplo ha probabilmente un ruolo chiave in questa faccenda e nell’ambiente trap in generale, forse addirittura in grado di aiutarci a capire il fenomeno Harlem Shake. Da alcuni mesi infatti lo stesso invita i suoi follower a pubblicare su Twitter foto che li ritraggano appoggiati al muro, a testa in giù, culi in aria, in una posa che dovrebbe richiamare il “tema centrale” del video di “Express Yourself”, uno dei suoi ultimi singoli. Una notevole ondata di foto – inviate su invito sotto l’hashtag #ExpressYourself – che avrebbe dovuto promuovere (come in effetti ha fatto) l’EP. Una sorta di meme calato dall’alto, a dimostrazione di come la comunicazione possa essere ‘insufflata’ e lasciata ai consumatori, e così trarre beneficio da un fenomeno in grado di diventare poi virale ‘da solo’ e di esser inevitabilmente ripreso dai media affamati di mode provenienti da quel luogo di pazzi pazzi pazzi dell’internet – in modo da poter essere rilanciato e dato in pasto a sopracitati pazzi e alle sopracciglia alzate di lettori strenuamente analogici.

Il sospetto attorno al quale sto girando senza averne prove, in pratica, è che l’inspiegabilità di causa, diffusione e origini di “Harlem Shake” come meme possa essere in realtà ‘spiegata’ dall’attitudine gone viral di uomo e etichetta, partire ‘dal basso’ e fare marketing a costo zero per un prodotto di scuderia. Un meme-crociata per la diffusione del verbo del trap, di Harlem Shake e di tutto il ‘movimento’ (espressione della quale ci dobbiamo riappropriare, dopo anni di vittorie sporadiche e inutile sconfitte nel rugby che hanno portato giocatori e addetti a bordo campo ad essere puntualmente tanto fieri di portare fiato e giovani al – appunto – movimento). Che poi l’Harlem Shake, da cui il nome, È un movimento: sarebbe una mossa di danza nata negli anni ’80 grazie a un certo Al B e poi riproposta nei primi duemila da G-Dep e P. Diddy: niente di così facile (qui il tutorial), nulla a che vedere col video di questi giorni, come recriminano e spiegano alle genti del mondo i molti portali di news e commentatori di YouTube incazzati neri che immaginano che la cosa interessi davvero qualcuno, magari mentre questo è impegnato a ballare come uno scemo e a registrarsi. Come i vecchi produttori dubstep che, presi di sorpresa, spuntano, sputano e bestemmiano sulla nouvelle vague del settore.

Il video intanto viaggia. C’è da arrendersi: non sapremo mai quanto realmente sia stato virale prima che lo si dichiarasse tale, e probabilmente neppure dovremmo interrogarci troppo sulla cosa – o forse sì, ma da più prospettive. Il bandwagon è partito, sferraglia e spara coi megafoni lo stesso giro melodico, al ritmo di 70 o 140 battute al minuto, che è forse la ragione di tanto presunto successo: la velocità adattabile, un esordio lento sui 70 bpm che si può raddoppiare sulla seconda parte, con quel ritmo, a quella velocità precisa, che ti permette di essere rapido o meno per la metà, a montaggio chiuso e maschera di Power Ranger smessa. Tutto molto affascinante, non un minuto della propria vita da chiedere indietro a YouTube: resta solo da chiedersi cosa potrebbe succedere quando tutto questo finirà – se lo farà – e che espressione avremo quando staccheremo gli occhi dallo schermo guardandoci in faccia.

Immagine: una scena del ballo Harlem Shake (via)

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