Cultura | Ucraina

La guerra della satira tra Russia e Ucraina

Intervista alla linguista Alina Mozolevska, che ci racconta come le immagini e l'ironia siano diventati vere e proprie armi nella prima guerra della storia in cui Internet è un campo di battaglia.

di Flavio Villani

In tempo di guerra l’uso di immagini è sempre stato parte integrante della strategia comunicativa. Disegni, foto, manifesti e vignette sono un potente strumento di informazione e un efficace mezzo di mobilitazione popolare e di consolidamento del potere politico. Servono non solo a documentare gli avvenimenti storici, ma anche a dargli un valore ideologico, un’interpretazione. Sull’uso delle immagini nella guerra in Ucraina abbiamo intervistato la linguista Alina Mozolevska, docente presso la Facoltà di Filologia dell’Università del Mar Nero Petro Mohyla di Mykolayiv. Dopo lo scoppio della guerra, Mozolevska si è rifugiata in Germania e attualmente è fellow presso il Center for Border Studies dell’Università di Saarland e fellow presso il network di ricerca Prisma Ukraïna di Berlino.

ⓢ Qual è il ruolo della tecnologia digitale nella guerra in Ucraina?
La tecnologia digitale non influenza solo il modo di combattere la guerra, ma anche il modo di raccontarla. L’aggressione russa dell’Ucraina è anche una guerra d’informazione. Va oltre il campo di battaglia ed è trasmessa e fruita in diretta da milioni di persone. La guerra è diventata un contenuto che scorre su ogni piattaforma mediatica contemporaneamente. Gli ucraini documentano l’invasione live dal fronte, condividono le loro esperienze, il dolore per la distruzione e la perdita di vite umane. Kyle Chayka l’ha chiamata TikTok war in un articolo apparso sul New Yorker lo scorso marzo, mentre Dan Ciuriak l’ha definita social media war in un paper per il think tank canadese Cigi (Centre for International Governance Innovation) dello scorso giugno. In questo spazio condiviso la realtà brutale della guerra si dispiega insieme a molteplici interpretazioni personali e troviamo forme innovative di informazione e narrazione, che rimodellano la nostra comprensione dell’Ucraina e degli ucraini come nazione.

Allo stesso tempo i social media amplificano informazioni false e diffondono narrazioni alternative e fake news. I flussi di disinformazione e propaganda anti-ucraina rimettono in circolo la visione russa del futuro geopolitico dell’Ucraina, negando la sua sovranità e la sua indipendenza. Mascherando i suoi veri scopi sotto gli slogan di “liberazione” e “denazificazione”, la Russia mira a resuscitare i confini dell’Unione Sovietica, a diffondere il suo imperialismo aggressivo e a cancellare l’Ucraina dalla mappa dell’Europa.

ⓢ Quali narrazioni di guerra ha individuato nel suo lavoro di ricerca?
Il cuore della mia ricerca è il discorso visuale nel conflitto russo-ucraino. Analizzo il modo in cui le immagini vengono utilizzate come strumento della guerra d’informazione. Lavoro principalmente con i social media, che sembrano meno controllati dalle autorità statali, quindi meno censurati, ma più permeabili alla diffusione di fake news e fake narratives, incitamento all’odio e manipolazione. Altri ricercatori lavorano sullo stesso tema, ma da angoli diversi, come il politologo ucraino Anton Šekhovcov, che fornisce un’ottima panoramica delle narrazioni strategiche e tattiche della Russia nei media e del loro impatto su diversi tipi di pubblico. Scavando nei social media ucraini e russi (Telegram, Viber, Twitter, Facebook e Vkontakte) ho raccolto finora più di duemila immagini. Anche se le narrazioni veicolate dalle immagini sono diverse, è possibile individuare delle macrocategorie che si trovano sia nello spazio digitale ucraino che russo: la costruzione del sé, la costruzione dell’altro e la costruzione del significato degli eventi.

Nel contesto ucraino l’elaborazione del trauma attraverso le immagini è molto importante. Creano immagini non solo artisti e illustratori, ma esistono molte produzioni anonime che aiutano a vivere le esperienze di guerra. Vi si riflettono centinaia di storie personali di sfollamento o di perdita, come il massacro di Buča e la distruzione di Mariupol’. I media digitali rispondono immediatamente agli eventi. Ad esempio, queste due illustrazioni di artisti ucraini sono state ampiamente condivise su Facebook dopo che un missile russo ha colpito un condominio a Dnipro il 14 gennaio, provocando più di quaranta vittime. Queste immagini non esprimono solo il dolore per la perdita, ma creano anche un sentimento di solidarietà e mobilitano gli ucraini contro il nemico comune.

Un altro elemento importante dell’elaborazione del trauma è l’umorismo. Fin dai primissimi giorni dell’invasione russa, lo spazio dei social media ucraini è servito per “digerire” i pesanti flussi di informazione, per dare un senso alla nuova realtà e contrastare la propaganda russa. Meme e cartoni animati sono stati usati per condividere traumi collettivi, decostruire l’immagine del nemico, sostenersi a vicenda e creare nuove narrazioni di guerra. Le storie del trattore ucraino che ruba carri armati russi, degli attacchi di Čornobayvka o della vecchietta che ha colpito un drone russo con un barattolo di pomodoro si riflettono in questo discorso visuale. 

ⓢ Come avviene la rappresentazione del sé e dell’altro nel conflitto?
Nel discorso visuale ucraino le principali fonti di ispirazione sono la storia nazionale (i guerrieri cosacchi) e gli eventi bellici attuali (la resistenza ucraina ad Azovstal o le proteste civili disarmate nell’area occupata di Kherson). C’è anche la tendenza a servirsi di simboli conosciuti in tutto il mondo di lotta contro il male e immagini di resistenza ed eroismo (i trecento guerrieri di Sparta, i supereroi, gli Avengers). Tale molteplicità di mezzi visivi può essere spiegata dal desiderio di condividere le esperienze del tempo di guerra non solo tra gli ucraini, ma anche con tutto il mondo.

Il discorso visuale russo è fortemente incentrato sulla storicizzazione dell’“operazione militare speciale” attraverso il mito della vittoria russa nella Grande Guerra Patriottica [nome che i russi danno alla Seconda guerra mondiale, ndr]. La rappresentazione del sé è incarnata nell’immagine del soldato sovietico e i media digitali cercano di creare una continuità tra gli eventi e le personalità della Grande Guerra Patriottica e l’invasione dell’Ucraina. Queste immagini sostengono narrazioni strategiche rivolte al pubblico interno, come l’affermazione secondo cui invadendo l’Ucraina si protegge la propria terra “liberando” il vicino dal regime nazista e ripetendo l’impresa degli antenati. Il soldato russo è spesso raffigurato insieme alle immagini della Grande Guerra Patriottica combinate con i simboli dell’“operazione militare speciale” (le lettere ZVO o il nastro a strisce nere e arancioni). Persino i personaggi dei film e dei cartoni animati sovietici sono usati per modellare un’immagine del sé che rimarca la distanza dalla cultura occidentale dei “Paesi ostili” e la vicinanza ai simboli culturali sovietici. A mio parere, questa omogeneità non può essere spiegata che da un rigido controllo dei media digitali da parte delle autorità statali, che lasciano filtrare solo le narrazioni approvate e forniscono interpretazioni predigerite a uso dell’opinione pubblica russa. 

Gli ucraini sono spesso rappresentati come stupidi, come alcolizzati facilmente manipolabili. La tendenza ad umiliare e svalutare il proprio “fratello minore”, che non è per niente recente, è diventata molto visibile dopo l’annessione della Crimea e l’occupazione militare del Donbas nel 2014. La Rivoluzione della dignità e la scelta europeista hanno innescato la demonizzazione degli ucraini, presentati come burattini dell’Occidente sedotti dai “falsi” valori europei o come nazisti che tentano di distruggere il Paese: i simboli nazionali ucraini come il tridente e i colori nazionali, il blu e il giallo, sono stati affiancati ai simboli della Germania nazista per sostenere la narrazione della “liberazione” e gli ucraini sono rappresentati come corrotti in tutti i sensi e schiavi dal capitalismo occidentale. In generale, gli ucraini sono associati a tutti gli elementi culturali, storici o religiosi negativi per generare odio nei loro confronti e giustificare l’aggressione, in linea con la propaganda ufficiale russa che afferma che l’Ucraina non è uno stato indipendente, è governata dagli Usa e dalla Nato e non ha il diritto di esistere. Un altro motivo ricorrente della rappresentazione dell’altro è l’uso dell’immaginario animale: gli ucraini sono rappresentati come maiali e privati dei loro tratti umani.

Mentre nel discorso visuale russo i veri orrori della guerra sono messi a tacere e l’obiettivo principale è la completa distruzione dell’altro, nello spazio dei media digitali ucraini la costruzione dell’altro è strettamente connessa con gli eventi attuali. I fallimenti dell’esercito russo (la ritirata dalla regione di Kyiv, la controffensiva a Kharkiv e l’operazione Kherson) vengono usati per sfatare il mito della Russia come superpotenza militare. I soldati russi sono presentati come incompetenti e deboli e vengono derisi in numerosi meme e cartoni animati. Questo aiuta gli ucraini a tenere alto il morale e a sostenere la loro fede nella vittoria. È presente anche la tendenza a disumanizzare l’altro, ma come reazione alle violenze e alle atrocità commesse dall’esercito russo a Buča, a Irpin’, a Mariupol’ a Kharkiv e a Kherson. Gli aggressori sono spesso rappresentati come mostri o orchi, il che può anche essere visto come un tentativo di razionalizzare o spiegare in qualche modo il comportamento “non umano” delle truppe russe sul territorio ucraino. Non solo l’immagine, ma anche la parola “orco” è usata frequentemente nei media ucraini per designare gli aggressori. Questa denominazione riflette il tentativo di creare una distanza tra l’altro e il sé. Il saccheggio è presente nel discorso visuale ed è uno dei modi per deridere i soldati russi. Dopo che molti casi di saccheggio sono stati scoperti o ripresi da droni, in Ucraina l’esercito russo è chiamato l’esercito dei saccheggiatori. 

ⓢ Come si sviluppa la narrazione generale del conflitto?
Nei media russi si riconosce una forte tendenza a storicizzarlo, a presentarlo come una lotta contro il fascismo o contro l’egemonia americana e l’Occidente (la scelta del nemico principale dipende dal target). I veri motivi dell’occupazione si nascondono dietro la ricostruzione del mito della lotta sacra contro il grande Male che minaccia la Russia. Mentre nei media ucraini vediamo molte immagini combinate con gli slogan “Ni viyni” [no alla guerra, ndr] o “Myr dlja Ukrayny” [pace per l’Ucraina, ndr], in Russia gli slogan principali sono “Pobeda budet za snami” [la vittoria sarà nostra, ndr], “Za pobedu” [per la vittoria, ndr] e “S nami pravda” [la verità è con noi, ndr]. Questi motivi di mobilitazione sono costruiti visivamente con immagini della Grande Guerra Patriottica o scene di battaglia immaginarie. Nei media ucraini invece l’attenzione si concentra sul lato distruttivo della guerra, con immagini che illustrano la perdita e il dolore, e sulla resistenza e resilienza degli ucraini, sulla loro lotta contro un nemico più grande e più potente.

ⓢ Al di là del suo lavoro di ricerca, qual è la sua opinione personale?
Le immagini hanno un effetto terapeutico per noi ucraini. Ci aiutano a vivere l’orrore della guerra. Ci permettono di condividere queste esperienze con gli altri e di accettare che la vita non sarà mai più come prima, perché la guerra ha trasformato radicalmente tutto: le nostre città, le nostre vite e la percezione di noi stessi e degli altri. Le immagini sono usate anche come armi, esprimono significati, trasmettono emozioni, modellano la comprensione degli eventi. Nel caso della Russia distorcono la realtà, creano interpretazioni alternative, ripetono la propaganda ufficiale (non è guerra, ma “operazione speciale”, non è invasione, ma “liberazione”, non è aggressione, ma “denazificazione”). La cosa più importante e che non dobbiamo dimenticare è chi è il vero aggressore, chi ha violato i confini di uno stato sovrano, chi ha trascurato tutte le norme del diritto internazionale, chi ha ucciso civili, uomini, donne e bambini nel cuore dell’Europa. La Russia.