Cultura | Architettura

Quando Gordon Matta-Clark tagliò Genova

Cinquant'anni fa l'Italia assisteva alla creazione della prima opera di Anarchitettura mai realizzata in Europa: fu l'inizio di un intenso rapporto tra l'artista-architetto americano e il nostro Paese.

di Roberto Carvelli

Nel 1973 il gallerista Paolo Minetti, che insieme a Emilio Rebora aveva fondato Galleriaforma, invita Gordon Matta-Clark ad lavorare a Genova. Matta-Clark, figlio di artisti e studente di architettura alla Cornell, da quando era entrato in contatto con la scena newyorchese si era dedicato a performance artistiche nelle quali la ricerca di edifici con una chiara identità storica e culturale e riconoscibilità della forma sociale aveva stimolato i primi lavori di sezionamento di fabbricati. La parola giusta per dirlo, anche se riduttiva come tutte le etichette, fu Anarchitettura (di cui fa parte tra gli altri anche la musicista e performer Laurie Anderson, in quegli anni spesso a Genova). La pratica è il gesto di vero e proprio taglio delle case, lavorando per sottrazione, quasi a voler riportare l’architettura alla sola struttura portante.

L’incontro tra Minetti e l’artista-architetto statunitense viene organizzato dal critico Germano Celant nello stesso periodo in cui Gordon Roberto Echaurren Matta (questo il suo nome completo prima dell’aggiunta del cognome della madre nel nome d’arte) era a Milano per assistere e partecipare, nella Galleria Toselli (17-18 Ottobre 1973), alla performance della Trisha Brown Dance Company, di cui la fidanzata di quel tempo, Carol Goodden, faceva parte. Gordon Matta-Clark aveva con l’Italia un rapporto basato sulla fascinazione, con il Paese intratteneva rapporti intensi e proficui. Ma qual è l’importanza dell’intervento genovese al di là della ricorrenza? Lo chiedo a Emanuele Piccardo, che ha da poco dedicato un saggio in lingua inglese, edito anche in Italia per Plug_in, a quell’evento: Gordon Matta-Clark. The hole architecture (244 pp., 30 euro).

«Genova per Matta-Clark – spiega Piccardo che ricorda come pochi giornali in città si accorsero dell’opera – rappresenta la prima opera legale e la prima mostra, in assoluto, in Europa. Nel novembre del 1973 realizza “A W-Hole House”, un’opera di cutting di una casa nell’area industriale di Sestri Ponente, Borzoli, di proprietà di Rebora. Il rapporto con Genova e con Minetti è costante come dimostrano le numerose lettere che si scrivono, sia per nuove collaborazioni, per organizzare mostre, sia per questioni economiche legate alla vendita delle opere». La ratio dell’intervento è dichiarata: «Ho tagliato linee orizzontali – scrive Matta-Clark – che correvano parallele al pavimento in tutto l’interno dello spazio, in modo che tutte le pareti fossero separate dal soffitto… Quello che ho cercato di fare è stato cercare in qualche modo di compiere alcuni gesti che unificassero l’intero edificio. Ho tolto il centro del tetto e poi un altro nucleo dalla parte superiore del tetto verso il basso».

Emanuele Piccardo, che è architetto e fotografo, si è posto nei confronti di questo intervento e dell’intero corpo italiano dell’opera successiva di Matta-Clark più che come un semplice ricercatore, come un vero investigatore, lavorando a “ingrandimenti successivi”, alla ricerca di un dettaglio che gli aprisse nuove piste interpretative dell’opera dell’artista. Per esempio, sapeva che nel 1976 dopo l’incontro milanese con il gallerista Salvatore Ala, lui e la futura moglie, Jane Crawford, avevano percorso a piedi le strade dal basso Piemonte verso la Liguria. Matta-Clark fotografava il paesaggio fatto di capanni agricoli e di agglomerati di case. «Sono partito da lì – spiega il curatore del volume – e nella mia investigazione ho rintracciato nel paesaggio uno dei luoghi, Mignanego, appena in Liguria, dopo il passo dei Giovi, ritratto dall’artista americano in una sequenza di scatti in 6×6. Mettendo quegli scatti vicini ai miei, e ingrandendoli, sono riuscito a recuperare la posizione attuale del luogo ritratto in quelle immagini, aiutandomi anche con la presenza di un dettaglio ferroviario e di un capanno degli attrezzi». Da questo attraversamento a piedi del territorio è nata la serie fotografica Little Houses in Genoa, un titolo fuorviante, in quanto Genova non appare mai e sono i suoi dintorni ad essere il soggetto dell’artista.

In che contesto artistico italiano si inserisce l’intervento della città ligure e che relazione ha in generale con l’opera di Gordon Matta-Clark? «Genova ha una forza dirompente – spiega Piccardo – perché sintetizza insieme a Splitting in New Jersey nel 1974 e a Conical Intersect, realizzato per la Biennale de Paris nel settembre 1975, la sua ricerca di dissezione dello spazio per definire un nuovo linguaggio. Con il successivo parigino l’intervento ligure crea un ponte di anticipazioni e rimandi. Tuttavia, proprio nel 1975, l’Italia ritorna centrale. Questa volta sarà il gallerista Salvatore Ala che gli consentirà di operare a Sesto San Giovanni con l’opera, dal titolo evocativo nel senso in cui dicevamo, Arc de Triomphe for workers (chiamato anche Working’s Man Arch e Walking Man’s Arch)».

Come tutti quegli artisti la cui opera finisce per essere importante tanto quanto la loro vita – nel suo caso, peraltro, se non dannata, breve, dato che morì appena trentacinquenne a causa di un tumore al pancreas – Gordon Matta-Clark negli anni è stato circondato da un’aura fascinosa e mitizzata, trasmessa ai luoghi nei quali lasciò la sua firma. Uno di questi è il ristorante che aprì a SoHo assieme a degli amici artisti, FOOD, che diventerà un vero centro di aggregazione culturale. «Abbiamo viaggiato da Parigi a Milano – ricorda l’amico e assistente Gerry H. Hovagimyan – dove Gordon aveva una mostra presso la galleria Salvatore Ala. Salvatore aveva organizzato affinché Gordon potesse effettuare un taglio in un complesso di fabbriche abbandonate occupato da un gruppo di giovani marxisti […] Ala non aveva il permesso di tagliare l’edificio, ma Gordon pensava che se avesse effettuato il taglio e donato l’opera alla comunità, sarebbe stato un modo per raccontare la loro causa, forse generare reddito e alla fine preservare una delle sue opere».

Gordon Matta-Clark fece dei disegni che ricordavano le opere costruttiviste sovietiche e propose di tagliare un arco geometrico nella facciata di un muro del cortile di uno degli edifici. L’architettura “forata” dell’artista americano è raccontata dal tempo della performance demolitiva, di cui condivide il destino entropico. Restano però le fotografie, i video, i disegni e i collage dove l’artista accentua il tema del taglio operandolo una seconda volta su questi supporti, che assembla poi per enfatizzare il cono ottico. Questo approccio testimonia quanto l’opera di Matta-Clark artista performativo somigli a quella di un architetto de-costruttivista come Frank Gehry. E se siamo qui a raccontarlo è perché nulla davvero si distrugge – e quindi si perde – nell’arte come nell’architettura.