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C’era una volta il terzo fratello Grimm

Anche lui, come i fratelli maggiori, decise di dedicare parte della sua vita alla raccolta e rielaborazione di storie fantastiche, ma perché le sue non vennero unite insieme a quelle dei fratelli?

10 Febbraio 2023

Chi lo sapeva quando si guardava Matrimonio a 4 mani negli anni ’90 che le gemelle Olsen avevano una sorella che sarebbe diventata una star dell’universo cinematografico Marvel? La precocissima fama di Mary-Kate e Ashley è stata ormai oscurata da quella disneyana di Elisabeth / Scarlet Witch, con la sua miniserie dedicata, Wanda Vision. Le due gemelline restano un ricordo vintage, meme del tempo che fu, macchiette di un’epoca passata pre-binge Netflix, dell’era di film-tv interrotti da pubblicità del Crystal Ball. Ma la storia dell’intrattenimento è piena di gruppi di fratelli famosi dove alcuni restano un po’ indietro, e solo a volte si riprendono – pensiamo ai quattro fratelli Baldwin, all’apice il liberal Alec, con una nomination agli Oscar, e in fondo alla lista Stephen, trumpiano, nato cattolico e diventato un evangelico dopo l’11 settembre, tanto da leggere pezzi di Bibbia a voce alta ai suoi compagni nel reality Celebrity Big Brother. Oppure le sorelle Bronte – per cui si intende solitamente il duo Charlotte ed Emily; dopotutto qualcuno ha mai letto La signora di Wildfell Hall della minore Anne? Nella lista va aggiunta una delle coppie di fratelli più influente sull’immaginario europeo, per via della loro gigantesca opera di ricerca e catalogazione delle fiabe: i Grimm. Jacob e Wilhelm, resi pop nelle interpretazioni di Matt Damon e Heath Ledger nel film fantasy di Terry Gilliam del 2005, The Brothers Grimm. Ma, appunto, anche nel film mancava un fratello, Ferdinand. Anche lui, come i maggiori, decise di dedicare parte della sua vita alla raccolta e rielaborazione di storie fantastiche, ma perché non vennero unite insieme a quelle dei fratelli?

I due Grimm maggiori ebbero un grande successo in vita, con diverse edizioni delle loro opere, comprese quelle di grammatica e filologia, oltre a posizioni accademiche all’università che gli permisero di avere un peso sul dibattito politico. Ferdinand no. Scomparso, senza titoli. Nella pagina Wikipedia italiana sui fratelli maggiori non viene nemmeno citato. E le teorie sul suo oblio vanno ricercate soprattutto negli epistolari della famiglia. Jacob e Wilhelm parlano spesso di lui come di un pigrone e di uno scansafatiche, ma quello che probabilmente lo ha fatto emarginare è stato il suo coming-out. Quando aveva ventidue anni, avrebbe rivelato la sua omosessualità al pranzo di Natale del 1810 davanti ai familiari. In altre lettere i fratelli parlano di “disgrazia incurabile” e della sua “vita deviata”.

Ferdinand, quintogenito, appassionatissimo del poeta e drammaturgo Heinrich von Kleist ne curerà le opere e la tomba, lavorando come editor a Berlino. Riuscirà solamente con uno pseudonimo – non potendo quindi sfruttare il cognome e la fama dei fratelli – a pubblicare la sua raccolta di fiabe, Leggende e fiabe popolari tedesche e straniere, presso un editore di Lipsia. Lo pseudonimo: Lothar, che significa “infuso da uno spirito guerriero”. Riuscì a pubblicare altre raccolte con altri pseudonimi. Per lui quelle brevi fiabe avevano la forza “di scuoterci come il richiamo di un corno alpino e di compenetrarci come solenni rintocchi di campane, riportando alla memoria le primigenie scene dell’infanzia”. Non cercando nel mondo accademico una sicurezza, a differenza dei due fratelli famosi, fu sempre piuttosto povero e, perso uno dei suoi lavori editoriali, a un certo punto fu costretto a farsi ospitare dalla famiglia a Gottinga. Lì però scrisse un romanzo a puntate che si prendeva gioco della vita borghese dei fratelli e degli zii e fu cacciato. Morì a cinquantasette anni, dimenticato.

L’editore di Annie Ernaux, L’Orma, porta ora in Italia una selezione di questi testi del folclore del fratello “pecora nera”, in un’edizione a cura di Marco Federici Solari con il titolo La montagna dei gatti. Le storie, spesso brevi, mantengono quel tono dark dell’epoca, crudo e violento. Ci sono nani con mantelli invisibili che si vendicano, gatti che scompaiono misteriosamente, maghi malefici che fanno ballare i soldati fino a che non stramazzano a terra, furfanti furbissimi che riescono a rubare la fede dal dito della regina. Molti re a cui manca qualcosa per completare il proprio dominio, o terrorizzati dall’idea di non avere un genero che possa portare avanti il regno. Alcune hanno una forte morale, puniscono superbia e tentativi di scalate sociali, difendendo lo status quo aristocratico, altre premiano la scaltrezza. Alcune hanno anche una funzione eziologica, sono quasi miti. Sia per i contenuti delle fiabe, sia per il suo disinteresse nell’avere un ruolo politico-accademico, la differenza con il lavoro dei fratelli sembrerebbe risiedere nell’obiettivo della compilazione e della raccolta di fiabe. Per Ferdinand non sembra che la centralità del loro ruolo stia nel definire il patrimonio identitario del paese, a differenza della missione dei fratelli. Ferdinand sembra guidato più dalla meraviglia di una storia fantastica dove accade qualcosa di inaudito.

I due Grimm, cavalcando la wave romantica, hanno aiutato il consolidamento dell’heritage nazionale, in un periodo in cui venivano forgiate le idee stesse di nazione. Girare per il paese alla ricerca di storie sedimentate nel passato comune è anche un modo per tracciare l’identità di un popolo e creare una collettività comune. Diceva Stuart-Mill che più di razza, linguaggio e geografia, “la sorgente più viva” della nazione è “il possesso di una storia nazionale e di conseguenza di una comunità di ricordi”. Tra gli interessi di Jacob e Wilhelm ci fu anche la ricerca di mitologie ancora più antiche, pagane, nonché il tentativo di rimandare il folclore germanico a una comune radice esopica indoeuropea. Allo stesso tempo c’era la volontà di trascrivere il più fedelmente possibile le storie raccontate dai contadini, per non perdere l’autenticità di chi sta vicino alla terra.

Per chi ha letto Le origini culturali del terzo reich di Mosse diventa inevitabile vedere una sottile linea che dal romanticismo arriva al nazismo, anche in questa dimensione della glorificazione contadina e popolare. Non è un caso che alla fine della seconda guerra mondiale i libri dei Grimm vennero bannati dagli alleati che occupavano la Germania, anche per via di una celebrazione della violenza, ben visibile nel folklore del centro-Europa. Addirittura, lo scrittore tedesco anti-nazista Günther Birkenfeld disse che nelle fiabe raccolte dai Grimm si poteva trovare la risposta a: “come hanno fatto i tedeschi a perpetuare tali atrocità a Belsen e Auschwitz?”. Certo, non le hanno inventate loro, erano lì da migliaia di anni, raccontate attorno ai focolari per spaventare ed educare. Oggi sono, edulcorate, su Disney +.

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