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Perché si sta parlando di Fake Accounts

Il libro della critica letteraria Lauren Oyler è uno dei rari esempi di come i social possano entrare in un romanzo.

di Studio

È un ottimo libro a giudicare dalle recensioni che si trovano in giro, ma non è soltanto per questo che Fake Accounts, il primo romanzo di Lauren Oyler, sta suscitando tanto interesse (aprite un sito americano, e troverete sicuramente un’intervista all’autrice o un articolo che ne parla). La trentenne nata e cresciuta a Hurricane, West Virginia, ha avuto il coraggio di accettare due grandi sfide in un colpo solo. La prima è quella che ogni scrittore che decida di ambientare la sua storia ai giorni nostri dovrebbe tenere ben presente, ovvero la possibilità, se non il dovere, di prendere una posizione nei confronti della nostra dipendenza dai social. Uno scrittore può anche comportarsi come se non esistessero, come fa Sally Rooney, negli ultimi anni definita spesso “la scrittrice dei Millennial”, purché ne sia consapevole. Nei libri dell’autrice irlandese non compaiono mai né Instagram né Facebook (in Parlarne tra amici c’è forse un pizzico di Twitter), i ventenni comunicano mandandosi lunghissime e-mail. Come ricorda Kevin Power sul Guardian nella recensione del libro di Oyler, durante una conferenza nel 2016 Rooney si era giustificata dicendo: «Non so come potrei rendere letterario il tempo che spreco su Facebook. È possibile che un bravo scrittore possa davvero renderlo molto interessante. Ma per me, lo scroll senza fine […] è davvero difficile elevarlo a qualcosa di bello». Secondo Power i romanzi che rendono letterario lo scroll infinito stanno arrivando (cita anche No One Is Talking About This di Patricia Lockwood, teniamolo d’occhio: esce il 16 febbraio). Tra questi c’è sicuramente Fake Accounts.

La protagonista è una Millennial di Brooklyn, che definisce la sua consapevolezza di essere privilegiata «in bilico sul confine tra simpatico e ripugnante». Il libro è ambientato nel 2016 e il punto di partenza è il primo di una serie di colpi di scena che si verificano esclusivamente online: spiando il telefono del suo ragazzo, la protagonista scopre che da tempo conduceva su Instagram una vita segreta come cospirazionista e che nel corso del tempo ha raggruppato in un account dedicato alla divulgazione delle sue assurde teorie una cifra di follower significativa. Poco dopo la scoperta, il cospirazionista segreto muore in un incidente in bicicletta. In uno stato di semi-shock la narratrice si trasferisce a Berlino, dove inizia a coltivare a sua volta degli account falsi, questa volta su siti di incontri. In questo libro i social (Facebook, Instagram, Twitter, Tinder) non funzionano né come tocchi di colore per dare un tono “contemporaneo” alla storia, né come semplici mezzi di comunicazione o strumenti per riempire i momenti di noia. Al contrario, sono il motore centrale della trama, gli ingranaggi che permettono alla storia di svilupparsi. Tutto quello che succede, avviene prima online, e poi nella realtà. «Fake Accounts si basa sull’intuizione che, nell’era online, tutti i progetti di interpretazione (del sé, del mondo, delle motivazioni di altre persone) si esauriscono quasi istantaneamente, lasciando dietro di sé solo un’ambiguità irrisolvibile», scrive Power. Come si evince dal titolo, la questione dell’identità è l’interrogativo intorno al quale ruota tutto il romanzo, che presenta a sua volta una struttura frammentata, metaletteraria, postmoderna.

La seconda grande sfida accettata dall’autrice di Fake Accounts riguarda lei stessa. In Italia non è famosa, ma a trent’anni Laurence Oyler è riconosciuta in patria come una critica letteraria audace e spietata, una che si è permessa di stroncare i libri di autrici venerate come Roxane Gay e Jia Tolentino. Dopo essersi laureata a Yale, ha lavorato come copy editor a Berlino. Nel 2015 si è trasferita a New York e ha iniziato a lavorare come redattrice per Broadly, la sezione “gender e identity” di Vice. Fino ad oggi ha scritto di libri sul New Yorker e sulla London Review of Books. Il suo romanzo, quindi, non viene alla luce come un esordio qualunque, ma come una specie di prova, un esame da superare: è l’opera prima scritta da chi per lavoro giudica – e spesso disintegra – i libri degli altri. La letteratura fa parte della vita quotidiana di Oyler, tanto che Fake Accounts è ricco di riferimenti a scrittori contemporanei come Ben Lerner, Jenny Offill e Katie Kitamura, che l’ha recensito (molto positivamente) sul New York Times: nel suo articolo si interroga anche sul senso di questi riferimenti letterari, compresa la scena in cui un personaggio commenta uno dei suoi libri. Kitamura definisce Fake Accounts «un romanzo sui social media e il loro insidioso insinuarsi nelle nostre vite, sul modo in cui ha riconfigurato il nostro comportamento, le nostre relazioni e – forse in modo più critico, per le ambizioni di questo libro – il modo in cui pensiamo e ci relazioniamo con noi stessi». E aggiunge: «La maggior parte dei lettori riconoscerà l’euforia e il degrado dell’attività online che Oyler descrive». Zadie Smith, che ormai sembra scrivere gli strilli sulle copertine dei libri degli altri per professione – quando su un libro compare un apprezzamento, di solito è suo – l’ha commentato così: «Questo romanzo mi ha fatto venire voglia di ritirarmi dalla realtà contemporanea. L’ho adorato».