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L’Iliade di Don Winslow

Dalle classiche ambientazioni californiane con Città in fiamme, quello che viene spesso definito il miglior scrittore di crime al mondo, sposta l'ambientazione in New England, riscrivendo la guerra di Troia con mafiosi italiani e irlandesi.

di Francesco Longo

«Magari dovremmo trasferirci in qualche posto dove è sempre estate» propone Danny, uno dei protagonisti del romanzo Città in fiamme di Don Winslow. «Tipo dove?» gli chiede Terri, la moglie. «In California, per esempio». Lei sorride e gli ricorda che lì non hanno parenti. Ma lui ha in mente un cugino di secondo grado che vive proprio a San Diego. Nell’ultimo romanzo di Don Winslow la California è remota. È un sogno irrealizzabile, una terra idealizzata, un eden dove vivere finalmente in pace. In queste pagine invece – tutte impregnate di crocchette di vongole fritte e di bottiglie di Bushmills – siamo lontani da quel sole sferzante e da quei paesaggi con palme e surfisti, lontani quindi sia da romanzi balneari come La pattuglia dell’alba, che dalla frontiera con il Messico che caratterizzava Il potere del cane e il Cartello. Il New England di Città in fiamme (HarperCollins) è un altro mondo: dell’oceano si percepisce quasi solo la minaccia di umidi inverni. Però come sempre sono i luoghi a dettare le regole per i personaggi. Qui sono tutti di Providence, venuti su nello stesso quartiere in cui sono cresciuti i loro genitori. La storia si apre su una di queste coste: «ogni agosto scendono da Dogtown a Goshen Beach perché è quello che facevano i loro genitori e loro non sanno fare altro». È una bellissima scena di riposo americano, che al lettore resta impressa per tutto il libro, e anche dopo averlo chiuso: cottage vicino alla spiaggia, sedie a sdraio, corpi stesi su teli da mare, occhiali da sole, donne che sorseggiano vino bianco fresco dai frigo portatili e leggono riviste o chiacchierano, uomini che bevono birra e lanciano una lenza, «la sera fanno grigliate di hamburger e hot dog sulla striscia di prato tra un cottage e l’altro, di solito portando ognuno qualcosa».

Questo squarcio di tranquillità estiva salta in aria per una ragazza che esce da quelle acque, bionda, con occhi di un blu profondo e «un corpo che il bikini nero accentua, più che coprire». Il suo ruolo è esattamente quello di Elena di Troia, attorno a lei si scatena una guerra. In questo caso una guerra tra bande, con minacce, pestaggi e violenza, a un terzo del libro si percepiscono i primi spari, la gente rotola sulla ghiaia tenendosi una gamba e il sangue filtra tra le dita. Escono fuori classici mafiosi italiani, con capelli neri tirati indietro col gel, camicia nera a maniche arrotolate, jeans firmati e mocassini. È il momento di morti e vendette tra irlandesi e italiani. Terri, con la pelle irlandese delicata come la porcellana, è la figlia di un boss di Dogtown, Danny è un gregario, tutto intorno ci si contende il controllo dei moli, l’usura, il gioco d’azzardo, il contrabbando.

«Providence è una città grigia. Cieli grigi, strade grigie. Granito grigio duro come i pellegrini del New England che lo hanno scavato per costruire la loro Città sulla Collina», scrive Winslow. Providence resta una città profondamente letteraria, come tutto il New England descritto dai racconti ottocenteschi di Nathaniel Hawthorne con patti faustiani, terrori gotici, senso di colpa e del peccato, angosce puritane. Il figlio modello di Providence non a caso è H.P. Lovecraft che ha concentrato nei suoi libri tutta l’inquietudine e le energie sinistre dell’area. Di ritorno dalle sue passeggiate raccontava luoghi «antichi, orribili dove le lapidi d’ardesia sono scolpite con curiose lettere e simboli  grotteschi come il teschio e le tibie incrociate. In alcuni di questi posti si può camminare per un pezzo senza imbattersi in tombe più fresche di centocinquant’anni». Anche Lovecraft si aggira tra i cottage «immersi dietro alti argini coperti di musco». Un secolo prima di Winslow, nel 1926, Lovecraft scrive in una lettera: «è sorprendente la ricchezza di strade nascoste e intricate, e quartieri inauditi, che esistono a Providence», tornato da una perlustrazione tra case grigie sbeccate scrive «ho scoperto un ambiente mostruoso la cui esistenza non sospettavo neppure: una regione abitata da forme di vita degradate e semiumane dove supponevo che ci fossero solo fabbriche e binari ferroviari». Non riesce mai a distinguere tra i propri incubi e ciò che lo circonda: «io sono Providence e Providence è me: insieme, indissolubili come un tutt’uno, resistiamo ai secoli».

Un secolo dopo la città continua a dare vita alla letteratura, emanando ulteriori forme di malvagità. Winslow si rifà qui esplicitamente all’Iliade. Ciò non colpisce, spesso infatti anche autori apparentemente poco letterari si rifanno all’epica classica latina o greca, basta pensare al capolavoro di Sol Yurik I guerrieri della notte, ispirato al viaggio dei soldati dell’Anabasi di Senofonte. Winslow è un autore di genere letto anche moltissimo da chi di solito non legge thriller o polizieschi. Questo è il primo passo di una nuova trilogia, dopo i libri dei suoi detective mitici: seguiranno Città di sogni e Città in cenere. Winslow si mostra qui capace, attraverso Danny e Terri, di raccontare momenti di intimità, nascite di figli e malattie comprese, senza perdere il tono ruvido tipico delle sue pagine. Da quello che dichiara Winslow dovrebbe essere anche la sua ultima opera narrativa. Poi si dedicherà ad altro. Vive a San Diego, in California. Ha nelle ossa e nella mente ancora fresca l’infanzia nel Rhode Island, la durezza del New England, magari sogna lo stesso riposo dei suoi protagonisti, avverte lo stesso desiderio intenso di estate e sole: «le estati erano un divertimento, gli inverni una sofferenza».