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20:46 venerdì 24 ottobre 2025
Da quando è uscito “The Fate of Ophelia” di Taylor Swift sono aumentate moltissimo le visite al museo dove si trova il quadro che ha ispirato la canzone Si tratta del Museum Wiesbaden, si trova nell’omonima città tedesca ed è diventato meta di pellegrinaggio per la comunità swiftie.
Yorgos Lanthimos ha detto che dopo Bugonia si prenderà una lunga pausa perché ultimamente ha lavorato troppo ed è stanco Dopo tre film in tre anni ha capito che è il momento di riposare. Era già successo dopo La favorita, film a cui seguirono 5 anni di pausa.
Al caso del furto al Louvre adesso si è aggiunto uno stranissimo personaggio che forse è un detective, forse un passante, forse non esiste È stato fotografato davanti al museo dopo il colpo, vestito elegantissimamente, così tanto che molti pensano sia uno scherzo o un'immagine AI.
L’azienda che ha prodotto il montacarichi usato nel colpo al Louvre sta usando il furto per farsi pubblicità «È stata un'opportunità per noi di utilizzare il museo più famoso e più visitato al mondo per attirare un po' di attenzione sulla nostra azienda», ha detto l'amministratore delegato.
I dinosauri stavano benissimo fino all'arrivo dell'asteroide, dice uno studio Una formazione rocciosa in Nuovo Messico proverebbe che i dinosauri non erano già sulla via dell’estinzione come ipotizzato in precedenza.
Nelle recensioni di Pitchfork verrà aggiunto il voto dei lettori accanto a quello del critico E verrà aggiunta anche una sezione commenti, disponibile non solo per le nuove recensioni ma anche per tutte le 30 mila già pubblicate.
Trump ci tiene così tanto a costruire un’enorme sala da ballo alla Casa Bianca che per farlo ha abbattuto tutta l’ala est, speso 300 milioni e forse violato anche la legge Una sala da ballo che sarà grande 8.361 e, secondo Trump, assolverà a un funzione assolutamente essenziale per la Casa Bianca.
L’episodio di una serie con la più alta valutazione di sempre su Imdb non è più “Ozymandias” di Breaking Bad ma uno stream di Fortnite fatto da IShowSpeed Sulla piattaforma adesso ci sono solo due episodi da 10/10: "Ozymandias" e “Early Stream!”, che però è primo in classifica perché ha ricevuto più voti.

La generazione che stiamo perdendo

Sono i boomer, quelli veri e non quelli dei meme su internet, ferocemente colpiti dal Covid-19.

27 Aprile 2020

Sembra quasi che il virus si sia propagato sulla Terra con questo unico obiettivo: annientare la generazione nata a cavallo fra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento. Quella dei primissimi baby boomer, che gli americani chiamano Leading-edge Baby Boomers. Forse la classe più fortunata e felice fra quelle nate dalle grandi guerre in poi, perché in fondo ha sfiorato appena i bombardamenti e il dolore del conflitto, respirando però a pieni polmoni rinascita, ricostruzione e boom economico. «La guerra finì e scoppiò il dopoguerra», diceva Nicola Palumbo/Stefano Satta Flores nel film C’eravamo tanto amati. Ed è stato proprio così.  

Quella in questione è stata la generazione che ha conosciuto per prima molte delle cose che hanno poi definito un’epoca, la tv per esempio, che per quelli che oggi hanno dai settant’anni in su è stata anche e soprattutto Studio Uno, Canzonissima, Lelio Luttazzi, Mina e Alberto Lupo. Sono quelli che al cinema si sono goduti Sordi, Totò e Mastroianni. Vittorio Gassmann e Nino Manfredi. I sorpassi di Dino Risi e le giornate particolari di Scola, i soliti ignoti di Monicelli e i matrimoni all’italiana di De Sica. Le canzoni dei Beatles e quelle di Battisti. Il primo uomo sulla luna, il Papa buono e le Olimpiadi di Roma. Il loro è stato un mondo a metà del guado, schiacciato tra la Guerra Fredda e il miracolo economico. Hanno vissuto i doppi turni a scuola perché non bastavano le classi, il servizio militare, il divorzio, l’aborto, poi i matrimoni a vent’anni con due o tre figli al seguito. Per il marketing sono ancora loro il boccone più succulento attorno a cui incentrare ogni attenzione, perché rappresentano l’ultima generazione a possedere risparmi e bisogni da soddisfare nonostante i capelli bianchi, qualche acciacco e le rughe sul viso.   

«Siamo stati noi a inventare la gioventù come categoria politica. È per questo che ci rifiutiamo di invecchiare», ha scritto Federico Rampini nel suo libro Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. E in effetti prima del virus, questa generazione sembrava indistruttibile. Ha scalato l’Everest del riscatto sociale e, alla fine degli anni Sessanta, ha pensato pure di fare la rivoluzione. Una rivoluzione combattuta a colpi di marce per il lavoro, per i diritti, per la libertà, per la pace. Ha visto se non fatto il Sessantotto. Quello delle università occupate, dei sampietrini che volavano ad altezza uomo e del diciotto politico. Ha alimentato la protesta giovanile, sfidando la cultura dominante, perbenista e conformista della generazione precedente, quella cosiddetta “silenziosa”. Ha attaccato l’autoritarismo della scuola e della famiglia rivendicando una propria identità culturale e politica. 

Ma la classe degli anni Quaranta è stata anche quella delle grandi contraddizioni. Che ha giocato un ruolo di primo piano sia negli anni di piombo (i leader brigatisti oggi hanno tutti più di settant’anni), che nel riflusso del decennio successivo. Oggi detiene l’ottanta per cento della ricchezza nazionale, è il punto di riferimento per ogni politica di welfare, il Paese si regge tutto o quasi su di essa. Ma non ha lasciato eredi. Perché, secondo alcuni, ha illuso i propri figli, crescendoli nel mito del “puoi avere tutto quello che vuoi”, senza comprendere che la società nel frattempo si era stravolta e che la certezza si era trasformata in precarietà. Più dei padri, ha potuto godere di benessere economico e sociale e di politiche di assistenzialismo pubblico che probabilmente non vedremo mai più. Ce l’ha in parte con loro anche Greta Thunberg, quando cerca i colpevoli del dissesto in cui versa la Terra.   

Il destino ha dato loro moltissimo, ma altrettanto sta togliendo, in questi giorni di pandemia. L’entità del vuoto che lasciano la scopriremo più in là, quando quest’inferno sarà finito. Quando non saremo più obbligati a indossare mascherine e guanti. Né a fare la fila prima di entrare al supermercato. Solo allora probabilmente ci renderemo conto di ciò che abbiamo perso. Ma anche di quanto abbiamo guadagnato nell’aver vissuto accanto a loro. 

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