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Perché gli scienziati pensano che il Coronavirus abbia origini naturali
Pensavamo di aver accantonato la teoria del Coronavirus creato nel laboratorio di Wuhan alle fasi iniziali della pandemia, quando la contagiosità del virus e la sua micidiale diffusione ci hanno colti di sorpresa investendoci in pieno. Eppure, a due mesi dall’inizio delle misure più restrittive nella maggior parte dei Paesi occidentali coinvolti, che proprio in queste ultime settimane cominciano gradualmente a “riaprire”, quella teoria torna a riprendere terreno, a partire dagli Stati Uniti. Lo scorso weekend, il segretario di Stato Mike Pompeo, nonostante avesse precedentemente affermato che non c’erano motivi per non credere alle valutazioni dell’intelligence americana che sin da subito ha escluso l’ipotesi che il virus fosse stato creato dall’uomo, ha affermato che esiste «una gran mole di prove» che affermano invece l’esatto contrario, e cioè che il nuovo Coronavirus sia legato al Wuhan Institute of Virology (WIV).
Gli analisti politici catalogano questo tipo di dichiarazioni come un tentativo di mettere pressione sulla Cina aizzando il sentimento di rancore nei confronti del Paese. Se la richiesta di trasparenza è assolutamente legittima (anche l’Unione Europea ha chiesto un’indagine indipendente sulle prime fasi del contagio), non lo sono le basi scientifiche su cui si baserebbe la teoria dell’origine in laboratorio. Come spiega FiveThirtyEight, un corpus sempre più ampio di ricerche oggi ritengono che il SARS-CoV-2 (e cioè il virus che causa Covid-19) è quasi certamente un virus naturale che inizialmente circolava nei pipistrelli e che, a un certo punto, si è riversato nell’uomo. «[La pandemia, ndr] è un evento così estremo che porta molte persone a cercare una spiegazione straordinaria che la giustifichi», spiega Stephen Goldstein, ricercatore dell’Università dello Utah che studia i Coronavirus.
Posto che del virus gli scienziati sanno ancora molto poco, al momento non esiste un singolo elemento di prova che confermi la sua origine, ma secondo molti esperti l’evidenza suggerisce che si tratti di un virus selvaggio, non di uno emerso da un laboratorio. Intanto perché per progettare geneticamente un nuovo virus, gli scienziati possono combinare pezzi di virus che già esistono: «Nel caso di un Coronavirus geneticamente modificato e progettato per infettare l’uomo, la maggior parte del suo materiale genetico – la sua “spina dorsale” – verrebbe dalla SARS o da un parente stretto, mentre gli strumenti che utilizza per infettare le cellule sarebbero innestati. Ma la spina dorsale di questo virus non assomiglia ad altri che già conosciamo così come alcune sue parti fondamentali sono del tutto nuove per la scienza».
Più in generale, poi, ne sappiamo ancora troppo poco sulla diffusione dei virus per poter ingegnare qualcosa di simile: «Nessuno ha quel tipo di conoscenza su come i virus si evolvono o su come causano le malattie», spiega infatti Robert Garry, professore di Microbiologia e immunologia alla Tulane University School of Medicine, «Si potrebbe provare, in modo casuale, ad apportare delle modifiche, ma stiamo parlando di migliaia di anni di tentativi di agenti patogeni. Sono stato davvero fortunato, nella mia vita, a conoscere molti virologi di talento e posso dire che non sono abbastanza intelligenti da inventarsi un virus che sia in grado di diffondersi». Non regge neanche la teoria che il virus si sia diffuso a causa di un “errore” dei tecnici di Wuhan, che studiavano i Coronavirus già da prima: non possediamo infatti nessuna prova schiacciante che colleghi il laboratorio della città cinese alla nascita del virus, mentre nei mesi passati il WIV ha condiviso con i laboratori di tutto il mondo i risultati delle sue ricerche permettendo di far avanzare il discorso scientifico in merito.
La spiegazione più plausibile potrebbe essere dunque quella meno appariscente, considerando che uno studio, pubblicato nel 2018, su quattro villaggi rurali nella provincia dello Yunnan, situati vicino a grotte dove vivevano pipistrelli noti per trasportare Coronavirus, ha scoperto che il 2,7% degli intervistati aveva anticorpi per malattie assimilabili alla SARS. «Migliaia, se non milioni, di persone sono esposte ogni anno ai Coronavirus selvatici. Molti di questi virus non sono pericolosi, ma se tiri i dadi abbastanza volte», ha detto Goldstein, «alla fine ne troverai uno cattivo».

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