Cultura | Dal numero
L’anno dei Coma_Cose
Intervista alla coppia nella musica e nella vita, ora in tour per tutta l'Italia. Tra Sanremo, i ricordi dei primi tempi, i progetti dei prossimi, e l'importanza della nostalgia come sentimento comune. Dal numero in edicola.
A dispetto di quanto cantava Battisti, per due come loro la città non è stata troppo grande per incontrarsi. E infatti la coppia, nella musica come nella vita, è nata proprio a Milano, dove Francesca Mesiano e Fausto Zanardelli si sono innamorati e hanno dato vita ai Coma_Cose, il duo che dal primo Ep Inverno ticinese del 2017 fino al nuovo album Nostralgia, uscito il 16 aprile e di cui a giugno è iniziato il tour, ha raccontato storie di sentimenti metropolitani tra rap e cantautorato, l’hangover, le casse rotte dello stereo, il tabaccaio di via Gola. Immagini di lontananza o del desiderio di mancarsi che fotografano prima di tutto la loro vita, come l’appartamento in Giambellino dei primi tempi con la voglia di credere ancora ai propri sogni dopo anni di disillusione: quella di Fausto, in arte Fausto Lama, già musicista e produttore, e di Francesca, friulana, con un nickname – California – nato quando smanettava con i suoni nel mondo della techno.
Li incontriamo da Asian Fake, «la tana delle nostre decisioni», e per comprendere i motivi per cui i Coma_Cose funzionano così bene basterebbe ascoltarli fuori dalle canzoni dove si compensano e si alternano anche nelle risposte, due realtà definite e finite tanto da incastrarsi come nei giochi delle costruzioni. Lo hanno dimostrato anche all’ultimo Festival di Sanremo in cui hanno cantato “Fiamme negli occhi” guardandosi costantemente l’un l’altro. «Ma non ci guardiamo sempre così», California sorride. «È la cosa complicata dell’essere in due, su un palco o in un servizio fotografico, ricreare sempre l’intimità. Poi la vita è ovviamente una cosa diversa».
ⓢ Molte delle date del tour sono andate sold out. Vi immaginavate una risposta simile?
Fausto Lama: È tutto strano, ma non vediamo l’ora. Stiamo preparando uno spettacolo che sia godibile e psichedelico anche da seduti, l’importante è tornare finalmente ai concerti, poi per noi questa assenza è stata tremenda anche come fruitori. Da quant’è che non andiamo a sentirne uno?
California: Eh, due anni.
ⓢ Il primo a cui vorreste andare, a parte il vostro?
F Spero di andare a sentire Beck, suonerà proprio due giorni prima di noi al Vittoriale [si esibiranno il 27 giugno, nda], lui per me è un idolo d’infanzia ed è il classico che passa una volta e poi chissà.
C Io vorrei vedere dal vivo Colapesce e Dimartino, anche Billie Eilish.
ⓢ Allora parliamo subito di musica. Come funziona il processo creativo quando si è una coppia non solo nel lavoro ma anche nella vita?
C Le canzoni nascono in casa. Ci sono dei quaderni con annotate frasi, idee, tendenzialmente è fatto quasi tutto su carta. E queste parole restano lì fino a quando non ci mettiamo nell’angolino di casa dove ci sono il pc e due chitarre e iniziamo a parlarne. Ma è Fausto che si occupa di questa “sartoria” delle canzoni, io sono più istintiva. Sempre a casa facciamo i provini, tra di noi, il mood della canzone lo fa Fausto, si mette al piano e alla chitarra, ed è come se la canzone nascesse già in una fase avanzata.
F C’è la parte della raccolta in cui si accumula materiale, e poi quel momento in cui ti deve scattare il movente. E infatti noi siamo poco prolifici perché abbiamo un sacco di materiale ma facciamo sempre fatica a trovare il motivo per scrivere una canzone. Per noi deve raccontare un segmento di qualcosa. Una critica, un’idea, un concetto, un momento di felicità, se no non può sopravvivere. Forse siamo un po’ romantici.
ⓢ «Bruciami piano come il basilico al sole sopra a un balcone italiano», di “Fiamme negli occhi” ormai la conosciamo tutti. Se l’ha scritta tu, Fausto, mi sa che non ci sono dubbi su chi dei due sia il più romantico.
C E pensa che quella pianta esisteva pure. È morta.
F Quella è una frase che avevo da dieci anni nel quaderno perché nasce da un’esperienza vera. Vivevo in questa casa con un balcone bellissimo davanti al lago, entusiasta ho preso la pianta di basilico. Ha resistito per una settimana.
ⓢ Parlavate di una presenza di critica nelle vostre canzoni. È come se ci fosse un 50 e 50 nei testi, tanta quotidianità personale e tanto di quello che riguarda tutti?
F Cerchiamo di rimanere nel nostro territorio, non vogliamo raccontare cose che non conosciamo, vogliamo raccontare le cose vere, reali, che sia la nostra intimità o quello che ci spaventa, quello che ci piace, come la musica stessa di cui parliamo sempre tantissimo.
C È importante per noi che con la musica si dia anche un senso sociale, ma tutto è filtrato dalla nostra percezione. Proprio per questo Nostralgia è un album che parla del passato, perché è stato scritto in un periodo in cui la vita non era possibile e l’unica cosa che potevi fare era guardare indietro.
ⓢ Nei brani di Nostralgia, come in “Discoteche abbandonate”, cantate le macerie. Sono le vostre?
C Sì, anche se purtroppo quella canzone viene letta legandola a questo momento storico, e ci dispiace. Perché non è volutamente attuale, parliamo delle discoteche della decade 1995- 2005. Fatalità.
F Le canzoni sono di chi le fa ma nel momento in cui metti giù la chitarra e chiudi il pianoforte, diventano di chi le ascolta. Allo stesso modo, quando racconti le tue macerie la gente ci si può riconoscere.
ⓢ Partiamo dall’inizio. Quando è iniziata la vostra vita insieme?
C Quando ci siamo ritrovati a lavorare come commessi in un negozio di accessori in Porta Ticinese a Milano, che oggi ha chiuso, e siamo andati a convivere dopo quasi dieci giorni. Non era un periodo buono per nessuno dei due, “Coma” è nato per esorcizzare quel momento in cui ci sembrava di aver perso tutto, soprattutto i sogni. Io nel mondo della scenografia e del design, Fausto in quello della musica. Eravamo stanchi.
F Io facevo musica da sempre ma non ci credevo più, avevo quasi 40 anni e suonavo nei peggiori bar di Milano. Pensavo di lasciare la città, ho detto a Francesca «ok, la musica può essere un hobby, ora mi devo inventare un lavoro», e lei mi ha cambiato la vita. Mi sono trovato un nuovo baricentro, per citare i Coma_Cose.
ⓢ È a quel punto che è nata la genesi del vostro progetto?
C Fausto aveva dei brani in cassetto e quando me li ha fatti sentire ho detto «guarda che questa roba è mega figa!». Ma io ero solo un’appassionata di musica, ho studiato scenografia perché volevo lavorare nei dietro le quinte. Mi immaginavo impegnata nella costruzione di cose materiali.
F La strada è stata lunga, io nella testa avevo l’idea di un duo, lei ha iniziato a propormi delle sue amiche per cantare i brani ma nessuna andava bene, invece quando li provava lei c’era una linfa completamente nuova. Sta tutto lì, nel trovare la persona giusta.
ⓢ Nel 2017, forse uno degli ultimi anni prima che la musica indipendente diventasse mainstream, vi siete buttati e avete inciso il primo Ep, Inverno Ticinese. Come si fa a continuare a crederci, e come sono stati i primi tempi?
C Innanzitutto, ci hanno licenziato. Però ci è servito, perché abbiamo investito la liquidazione in questo pensando di provare a fare musica fintanto che non avremmo finito quei pochi soldi che avevamo. E poi èèandata bene.
F Era giugno, Milano già vuota. C’è voluto coraggio ma anche una sana incoscienza. Ma tanto ci dicevamo «la nostra vita non funziona, nessuno ci assume e siamo felici di stare insieme. Quello che viene viene, al massimo ci pensiamo a settembre».
ⓢ Non avete mai pensato potesse essere rischioso fondare un progetto lavorativo su un sentimento?
C Certo, sempre, ma all’inizio era rischioso tutto. Però credo sia fondamentale alla fine che ci sia un sentimento alla base, che sia amore o amicizia, o affetto. Se no creerai sempre una cosa meno vera di quella che potresti creare.
ⓢ C’è un vocale in Nostralgia in cui Francesca suggerisce che il nome dell’album dovrebbe avere a che fare con la malinconia. È una cosa che è un po’ caduta per inerzia, come collante che ha unito tutte le canzoni a posteriori, o era davvero l’idea iniziale da cui siete partiti per il disco?
C È venuta alla fine, quell’audio è vero. Ha risvegliato in Fausto una parola che si era appuntato nei suoi famosi quaderni di carta.
F “Nostralgia” era la parola che dicevo nel testo di una canzone che avevo scritto per altri, come autore, e che poi è stato cestinato, e mi era dispiaciuto da morire, era «la nostra nostalgia è così nostra che si chiama nostralgia», o una cosa simile. È rimasta nel quaderno.
ⓢ Mi vengono in mente quei quaderni di carta preziosissimi in cui Adam Driver in Paterson, di Jim Jarmusch, si appunta tutte le poesie. Inestimabili.
C Sì ma nessuno li può leggere. Sono geroglifici, sembrano un elettrocardiogramma.
F Neanche io li capisco, vado a ricordi.
ⓢ Voi di cosa provate nostalgia?
F La nostalgia è un sentimento personale, per me è fatto soprattutto di sensazioni come i cambi di stagione, ma sarebbe bello che ce ne fosse anche una collettiva. Che poi è il senso dell’album.
C La mia è una nostalgia di cose che non puoi più avere, l’infanzia, l’adolescenza, la famiglia, gli amici. Vivendo a Milano mi capita di vedere quelle classiche compagnie grandissime di ragazzi e di ragazze, che spesso sono ancora quelle che si sono formate al liceo, e penso che fortunati che vivono ancora qui e non si sono persi. Perché chi va via dalla propria città natale quella cosa lì non la potrà mai più avere. Quando torni le cose sono cambiate, quel pezzo di vita che hai vissuto senza di loro ormai è troppo ingombrante.
ⓢ C’è tanto di Milano nelle vostre canzoni, ma voi non siete milanesi.
F Siamo due milanesi per caso, o provinciali in fuga. Francesca viene da Pordenone, io da Salò. Ma alla fine a Milano gli autoctoni sono pochi.
ⓢ La provincia riaffiora in più momenti nel nuovo album, è ancora un luogo da cui si scappa o è diventato un posto a cui si torna?
F La provincia è un bagaglio culturale, ma il punto di arrivo è la città. Noi siamo affamati di precarietà, vogliamo il cambiamento, la mia paura più grande è quella di sedermi artisticamente.
C Dipende a che età te lo domandi. A me spaventa la monotonia, preferisco le difficoltà. Milano rimane per noi il posto delle opportunità ma ogni tanto pensiamo di andarcene via. Pensiamo a Bangkok.
ⓢ Con le vostre canzoni fotografate luoghi e sensazioni. In “Zombie al Carrefour” raccontate quella stasi del “dopo festa” usando la metafora del supermercato, mentre in “Deserto” compaiono i calamari freschi di Piazza 24 Maggio, un immaginario lontano da quello brutale, periferico, che siamo abituati ad ascoltare adesso. Da cosa nasce questa poetica?
F Quello della spesa al Carrefour è l’esempio di un aneddoto piccolo che nasconde tanto. Quando magari sono le 05, hai ancora in circolo qualcosa di strano e i pensieri sono fluidi. È come se avessimo parlato quasi di un passaggio di età. Alla fine, fare la spesa è una cosa da adulti.
C Anche i calamari di 24 Maggio sono veri. Noi abitavamo in Ascanio Sforza e per andare a lavorare passavamo sempre davanti al chioschetto, e si sentiva questo odore assurdo di pesce fresco a qualsiasi ora.
F Oppure ancora in “Anima lattina” ci sono gli anni di mio padre, c’è anche la famiglia con cui entrambi viviamo un rapporto conflittuale, di irrisolto, che logora dentro e che quindi fuoriesce da quello che facciamo spontaneamente. Forse stiamo diventando grandi e capendo di assomigliare ai nostri genitori ci siamo costruiti dei paracaduti interiori per esorcizzarlo.
ⓢ A proposito, ne “La rabbia” Francesca canti di aver fatto le cose peggiori alla bambina che ride sulla credenza dei tuoi. Neanche quello è inventato?
C Di quella strofa non ho mai parlato con mia madre, abbiamo lasciato correre. Nelle nostre canzoni c’è disseminata la nostra vita, in “Mancarsi” cantavamo che avere 20 anni faceva schifo ma che era bello avere paura. Ed era vero, anche se adesso siamo cresciuti e anche la paura si è evoluta, ma in quei versi lì ci siamo sempre noi. Povera mamma.