In Twist, Colum McCann si è ispirato a Joseph Conrad per scrivere il Cuore di tenebra del colonialismo digitale

Lo abbiamo incontrato a Milano e con lui abbiamo parlato del suo nuovo romanzo, di cavi in fibra di vetro piazzati sul fondo del mare, di Leonardo DiCaprio, del Papa, di ChatGPT e di vini bianchi.

16 Novembre 2025

È uscito l’altro giorno Twist, il nuovo libro di Colum McCann, pubblicato in Italia da Feltrinelli. Nato in Irlanda sessant’anni fa, biografia avventurosissima, McCann appartiene alla scuola degli scrittori che si immergono nelle storie fino al collo prima di raccontarcele. Twist è narrato dalla voce di un giornalista dalla carriera decadente, Anthony Fennell, intossicato dall’alcol e dai rimpianti, che va in Sudafrica per smettere di rimuginare sulle sue bassezze con il pretesto di scrivere un reportage: tutte le informazioni online, le ricerche accademiche, le chat criptate dei governi, i porno, i meme, le foto di famiglia, le conversazioni inutili, viaggiano attraverso cavi in fibra di vetro piazzati sul fondo del mare. Quando questi cavi si rompono, per evitare il blocco di Internet, navi con a bordo marinai e ingegneri salpano per ripararli. Fennell riesce a imbarcarsi su una di queste navi, la Georges Lecointe, capitanata da John Conway, un tizio misterioso e carismatico, occhi verdi e capelli arruffati. Incontro McCann a Milano nella sede della Feltrinelli. Inizialmente mi ignora, è più attratto dal calciobalilla. Facciamo una partita veloce prima di sederci per l’intervista. È molto zen, sciarpina rosa, calze viola, camicia aperta, capelli rasati a zero da poco, l’espressione felice di un europeo in gita.

ⓢ Ciao, come stai? Contento di essere qua? Vieni spesso in Italia?
Non conosco bene Milano, sono felice di avere l’opportunità di gironzolare un po’ per la città. Oggi avevo un paio di ore libere, e invece di pranzare me ne sono andato a zonzo. Adoro stare in Italia. Mio figlio abita a Firenze.

ⓢ Che ci fa lì?
Insegna inglese. È una specie di viaggiatore, un vagabondo filosofo. Adesso è in ospedale, ma sta migliorando. Un brutto incidente in bicicletta, due settimane fa. Il sistema sanitario qua da voi è fantastico. Impeccabile, sono rimasto impressionato. Siete fortunati.

ⓢ Come hai iniziato a scrivere Twist? Hai letto un articolo sui cavi che attraversano l’oceano, o sei partito da un personaggio?
Sono rimasto scioccato quando ho scoperto che il 95 per cento delle informazioni intercontinentali non viaggia attraverso satelliti in cielo, ma sul fondo dell’oceano. Nuvole di dati si spostano in fondo al mare. Mi è sembrata un’immagine spettacolare, e piuttosto interessante. Mi ha affascinato questa idea di nuovo colonialismo digitale delle informazioni, e questo spunto mi è parso un bel pretesto per approfondire il tema. Non ne sapevo nulla, non sono un grande esperto di tecnologia, non ero mai stato a bordo di una nave che ripara i cavi. Quindi sono andato in Sud Africa per fare delle ricerche. All’inizio ero mosso solo dalla curiosità. E anche da un pensiero ricorrente: il mondo è connesso e disconnesso allo stesso tempo, più che mai. Siamo connessi in maniera sbalorditiva, posso messaggiare con il Borneo in questo momento, se mi va. Posso parlare con qualcuno in Cile. Mi sembra però che più siamo connessi, più ci sentiamo soli. Stiamo vivendo un’epidemia di solitudine e isolamento.

ⓢ Di solito, prima di scrivere un libro, fai ricerche approfonditissime. Sei stato su una nave tipo quella che descrivi in Twist?
Sì, ma sono rimasto in porto. Ho avuto la tentazione di salpare, ma i viaggi di riparazione durano mesi. Non voglio abbandonare la mia famiglia per tutto questo tempo.

ⓢ Hai avuto anche tu forti mal di mare come Fennell?
Io? No. Vorrei precisare una cosa: il narratore del libro non sono io. È un’informazione molto importante.

ⓢ Tranquillo, lo scriverò. Comunque, non sembravi tu. Prima il filo teso fra le Torri Gemelle (Questo bacio vada al mondo intero, premiatissimo libro di McCann del 2009, racconta della mattina del ’74 in cui Philippe Petit camminò su un filo teso fra le Twin Towers, ndr), ora i cavi sottomarini: c’è una correlazione?
Ci dev’essere, in effetti. Non ci ho pensato mentre scrivevo Twist, ma ora che è uscito continuano a dirmelo. Quando ero giovane ho scritto un libro sui senzatetto che vivono nei tunnel della metrò di New York. In qualche modo nelle mie opere ci sono sempre questi fili, queste connessioni. Forse è perché sono un immigrato e un migrante, vivo diviso fra moltissimi posti, principalmente fra l’Irlanda e gli Stati Uniti.

ⓢ New York, se non ricordo male.
Esatto.

ⓢ Sei contento dell’elezione di Mamdani?
Molto contento.

ⓢ Noi europei, per colpa di Trump, osserviamo a distanza la situazione negli Stati Uniti perdendo le speranze, spesso con le mani nei capelli.
Ci sono molte bolle negli Stati Uniti. Non bisogna mai dimenticare che il 50 per cento del Paese è scontenta di ciò che sta succedendo. È una schifezza. È disturbante, fa arrabbiare in mille modi diversi, sei sempre lì a sperare che il sistema non collassi. Ma ci sarà sempre New York, ci sarà sempre San Francisco, ci saranno sempre persone che spingono perché le cose migliorino. La storia è circolare, lo state vedendo anche voi in Italia. Sono sicuro che le nuove generazioni cambieranno le cose, e fra dieci anni vivremo in tempi diversi. Spero solo che il danno causato oggi da certe persone non sia così grave da rovinare in futuro ogni speranza di ricostruzione.

ⓢ A chi appartengono questi cavi sottomarini? Sono privati o governativi?
Non sono di proprietà del governo, il che è assurdo. Dovrebbero esserlo. Ecco perché parlo di colonialismo digitale. Per esempio, intorno all’Africa c’è un cavo di Google, e Meta ne sta costruendo un altro in questo momento. Costa venticinque miliardi di dollari. Non sono proprietari soltanto del cavo fisico, e delle stazioni d’approdo a riva di questi cavi, ma possiedono anche tutte le informazioni che transitano attraverso il cavo. È molto, molto, molto spaventoso. Io e te stiamo viaggiando sul fondo dell’oceano, tutto quello che abbiamo fatto e i posti dove siamo stati. Tutte le volte che mandi una mail, le foto che spedisci. Queste aziende digitali hanno accesso a una quantità impressionante di dati. La mole di soldi che stanno facendo, il modo in cui controllano questi algoritmi… lo so, non è niente di nuovo. La novità è che adesso possiedono pure questi cavi. E tra l’altro, questi cavi non verranno rimpiazzati. Anche i computer quantistici hanno bisogno di un cavo, tutto deve viaggiare attraverso la luce. È quello che succede dentro questi cavi, semplificando al massimo: una luce velocissima viene sparata dentro. E se questi cavi si rompono, o vengono sabotati, può essere pericoloso.

ⓢ Sembra un argomento sensibile. Hai avuto difficoltà, tentativi di depistaggio, minacce, mentre facevi ricerche per Twist?
Zero. 

ⓢ Sono così importanti, ma così poco protetti?
Sì. Io e te potremmo andare… dunque, non so bene a Milano. Qual è la città sulla costa più vicina a Milano?

ⓢ Credo Arenzano, in Liguria.
Sarzana?

ⓢ No, Arenzano. Vicino a Genova. Un’oretta e mezza di macchina.
Potremmo andare lì e trovare una stazione d’approdo di questi cavi. Sono casupole, tipo bunker, con il tetto piatto. Si riconoscono perché hanno un grosso generatore d’energia fuori. C’è una piccola recinzione, ma senza particolari protezioni o persone di guardia. Puoi anche alzare una delle botole e vedere il cavo, io l’ho fatto a New York. La mancanza di sicurezza è allucinante.

ⓢ Diamo per scontato che il mondo digitale sia ineluttabile, ma bastano un paio di sforbiciate per bloccare tutto.
Esatto.

ⓢ È ancora possibile immaginare una vita offline, o negli ultimi vent’anni siamo andati troppo in là?
Penso che il processo sia irreversibile, ma puoi fare la tua scelta. La direzione in cui stiamo andando è chiarissima. Ma se vuoi andartene via su un’isola e vivere offline con qualcuno, lo puoi fare. Certo, è improbabile. (Prende in mano il telefono dove sto registrando l’intervista, momento di panico, nda). Non è questo il problema. Che cos’è questo oggetto, alla fine? Sabbia, plastica, silicone. Il problema è la nostra relazione con questi oggetti. Non è necessariamente colpa nostra, ma siamo stati manipolati in modi incredibili.

ⓢ C’è un sentimento comune, fra i libri usciti negli ultimi anni: la tecnologia contemporanea è la cosa peggiore mai accaduta all’umanità. È possibile scrivere libri ottimisti sulle nuove tecnologie?
Sì. Io credo che dal lato opposto di ogni argomento ci sia un argomento contrario ma altrettanto valido. Su un piano molto semplice la tecnologia è cattiva, lo sappiamo tutti, vediamo che cosa ci sta facendo. Ma la tecnologia è anche straordinariamente buona. Mio figlio era in ospedale, la scorsa settimana, a Firenze. Io ero a New York, non potevo spostarmi. Lui stava soffrendo terribilmente, in ospedale, di notte, da solo. Ma aveva il suo telefono, e anche se a distanza, sono stato con lui per cinque ore. Continuavo a ripetergli che era tutto a posto, che tutto si sarebbe sistemato, mentre lui piangeva. Avevo la sua voce sul mio cuscino, sul mio petto. Questo è un miracolo straordinario. Non è tutto bello, non è tutto brutto. Di certo, tendo a essere d’accordo con chi dice che dobbiamo stare attenti.

ⓢ Conway è un personaggio positivo o negativo?
Positivo. È un eroe buono. Ci sta avvisando.

ⓢ Se dovessero girare un film tratto da Twist, chi sceglieresti per il ruolo di Conway?
Leonardo Di Caprio. In realtà… Di Caprio vorrebbe davvero farlo. È interessato al ruolo.

ⓢ Ah! Stai già lavorando a un adattamento cinematografico?
Non è ufficiale, ne stiamo parlando.

ⓢ Wow. Che scoop. Posso scriverlo?
Mmm… non saprei, in realtà. Magari potresti scrivere “ho sentito che forse Leonardo di Caprio è interessato alla parte”.

ⓢ D’accordo. Cambiando argomento, quanto sei stato influenzato scrivendo Twist da Moby Dick e da Cuore di Tenebra?
Moby Dick, non tanto. Cuore di Tenebra, moltissimo. Anche Il Grande Gatsby: c’è quest’uomo misterioso, nessuno sa bene chi sia, che affronta quest’arco narrativo. E anche quel poema di T.S. Eliot, non so se hai presente, The Love Song of J. Alfred Prufrock… quello che dice: «We have lingered in the chambers of the sea / By sea-girls wreathed with seaweed red and brown / Till human voices wake us, and we drown». Parla della solitudine dell’uomo moderno, di sentirsi perso, di non essere capito. Mi ha ispirato moltissimo. Ovviamente, Twist è ambientato sulla costa ovest dell’Africa, da qui le atmosfere alla Cuore di Tenebra. Questo citazionismo è una novità per me. Di solito non saprei indicarti le mie influenze, per i vecchi libri non avrei saputo cosa risponderti.

Twist è scritto, se non sbaglio, con una voce diversa dai tuoi ultimi libri. Meno caleidoscopico, più asciutto. È stata una scelta?
Sì, l’ho scelto io. Avrei potuto impazzire, scrivendolo. È una storia in teoria molto semplice, apparentemente facile da buttare giù, ma che poi in realtà è complicatissima. Il narratore non è un tipo sveglio, non risolve nulla, ci pone soltanto domande. Potevo scegliere un narratore che sapesse esattamente che cosa è successo, dov’è Conway, che fine abbia fatto. Ma alla fine ho scritto con il tono di un uomo sconfitto dalla vita, imperfetto, una persona rotta che ci racconta storie su cose rotte.

ⓢ Ho letto su Wikipedia che hai vinto il Young journalist of the year award in Irlanda nel 1983. Se tu avessi vent’anni oggi, sceglieresti lo stesso lavoro?
Sì. Ovviamente all’epoca il giornalismo aveva più fuoco, più potere. Un giorno potrebbero sparire i giornali, potrebbero sparire addirittura i libri, ma le storie non spariranno mai. Le storie sono la cosa più potente che abbiamo per creare coinvolgimento, oltre che lo strumento di lavoro di noi scrittori. Se perdi di vista le storie, perdi di vista te stesso, le altre persone, l’umanità. La distanza più breve fra due persone è una storia. È così che ci riconosciamo come esseri umani.

ⓢ Ho anche letto che insegni scrittura creativa, è vero?
Lo facevo, ho smesso cinque anni fa.

ⓢ Prima della rivoluzione di ChatGPT…
Sì, ma comunque i miei erano studenti di alto livello. E poi sarebbe stupido barare usando ChatGPT, è come imbrogliare te stesso. Se qualcuno vuole usarlo chissenefrega, succederà. Comunque… hai mai provato a scrivere una storia usando Chat Gpt?

ⓢ No. Mi fa un po’ paura.
È ridicolo, non dovresti avere paura. È soltanto un imitatore, uno specchio. Un pessimo specchio. Da quello che vedo, magari mi sbaglio, non c’è nessuna creatività, bellezza o genio. Niente di spettacolarmente bello. Ha bisogno di un sacco d’acqua, di un sacco d’elettricità. Il tuo cervello è molto più interessante di ChatGPT, hai 86 miliardi di neuroni, più delle stelle nel nostro sistema solare. Prova a indovinare quanta energia consuma il tuo cervello? Massimo venti, venticinque watt. Come una piccola lampadina. Sai quanta energia serve a ChatGPT per rispondere a una domanda stupidissima? Molta di più. Noi siamo più intelligenti delle macchine. Parte della magia è che siamo una cosa importantissima che tendiamo a dimenticare: siamo fortunati. Usate pure ChatGPT, fanculo, a me non interessa. 

ⓢ Com’è la tua routine di scrittura?
Mi piacerebbe moltissimo avere una routine. Idealmente vorrei svegliarmi alle quattro del mattino, andare diretto alla scrivania, lavorare fino alle sette o alle otto, niente suoni, internet, risultati calcistici…

ⓢ Che squadra tifi?
Stoke City. Mio padre era un calciatore professionista. Comunque, a quel punto il resto della casa inizia a svegliarsi, un caffè, colazione, una passeggiata con il mio cane, poi tornare in studio e riprendere a lavorare dalle nove a mezzogiorno, un po’ di esercizio, lavori di riscrittura nel pomeriggio e verso le sei incontrare un amico, o stare a casa con mia moglie a bermi un buon bicchiere di vino bianco, se possibile italiano. Avete il miglior vino bianco del mondo. E poi ancora correzioni, dopo cena. Questo sarebbe un giorno perfetto. Me ne capita mai uno? No.

ⓢ Ti va di parlarmi della tua associazione no profit, Narrative 4?
Volentieri. È un’organizzazione straordinaria, ne vado molto fiero. Sono felicissimo di avere l’opportunità di mettere in dialogo tutte queste giovani menti. Siamo una no profit globale, presente in trenta paesi, dodici nazioni africane, moltissime sedi in giro per gli Stati Uniti, in Irlanda e in Messico. Mettiamo insieme, grazie alle scuole, migliaia di ragazzini che hanno bisogno di stima e ascolto, come tutti. Il principio con cui lavoriamo è: tu mi racconti la tua storia, io ti racconto la mia. Attraversiamo i confini. Per farti un esempio pratico, facciamo incontrare i ragazzini del Kentucky con quelli del South Bronx. Bambini bianchi, con famiglie che abitano da generazioni nello stesso paesino, incontrano figli di immigrati, di nativi americani, di ispanici. I figli dei democratici incontrano i figli dei repubblicani, bimbi urbani e bimbi rurali, li riuniamo tutti in una stanza. All’inizio sono terrorizzati: ho visto veri bulli, giovanissimi appartenenti a gang, sul punto di scoppiare a piangere. Poi si rilassano, e nel giro di un’ora le cose cambiano, il focus si sposta sulle storie. Tutti parlano, e vengono ascoltati. Niente di didattico, o di politico. Storie sul tuo cane, sulla tua bicicletta.

ⓢ  Molto nobile, complimenti. A tal riguardo, com’è stato essere citato da Papa Francesco in un suo libro, e poi incontrarlo di persona?
Stranissimo. I miei amici erano basiti: tu, proprio tu… incontrare il Papa?

ⓢ Sei credente?
Bè… non è una domanda facile. Boh. Tu sei credente? È difficile rispondere. Credo nelle persone, nell’educazione, nella bontà, nel riconoscerci attraverso confini e muri, credo che possiamo migliorare. Papa Francesco non voleva incontrare me, ma Bassam e Rami (due papà, uno israeliano e uno palestinese, che diventano amici dopo la morte traumatica delle figlie, raccontati da McCann in Apeirogon, libro di cinque anni fa, ndr), io ero là all’udienza per raccontare la loro storia. Ma quando l’ho incontrato, onestamente… non ho mai visto nessuno che ascoltasse intensamente quanto Papa Francesco. Mai. Era un ascoltatore eccezionale, con un’energia diversa da chiunque altro. Potevi fisicamente vedere che stava ascoltando. Lo percepivi. Non solo con gli occhi, ci ascoltava con tutta la sua figura. Alla fine abbiamo passato un sacco di tempo con lui, è stato molto generoso, molto gentile, divertente, ti direi un tipo spassoso.

ⓢ In che lingua avete parlato?
Noi parlavamo in inglese, e lui rispondeva in inglese. Non spessissimo, per la maggior parte del tempo ci ha ascoltati. Diceva “yes, very interesting, thank you for saying that”. Ma poi, di tanto in tanto, quando voleva davvero dirci qualcosa sulla pace, sulle interazioni umane, parlava in spagnolo. Avevamo un traduttore per l’occasione. Uno dei momenti più straordinari della mia vita. Credo che Papa Francesco sia stato uno degli uomini più notevoli degli ultimi decenni. Ah, a proposito: ho incontrato anche Papa Leone XIV.

ⓢ  Ma come? Quando l’hai incontrato?
Lo scorso agosto. Ho scritto un libro che si chiama Una Madre, insieme a Diane Foley, mamma di James, il giornalista americano rapito in Siria nel 2012 e decapitato poi dall’Isis due anni dopo. Il team di Leone XIV ha chiesto di incontrare Diane Foley, e così siamo stati invitati a un’udienza in Vaticano. Leone era Papa da poco, secondo me stava ancora cercando di capire che cosa gli stesse succedendo. Comunque, anche lui è un ottimo ascoltatore.

ⓢ Hai sentito la stessa energia di Francesco? Si tramanda di Papa in Papa?
No, non la stessa. Probabilmente se la costruirà, in modi a noi sconosciuti. Ho avuto l’impressione che sarà forte. Starà in giro per un po’: è in forma, è sano, è curioso. Non mi sembra neanche un americano. Ha giusto un po’ di accento.

ⓢ E la passione per il baseball. Prima di incontrarti mi aspettavo che tu avessi un accento americano, dopo tutti quegli anni a New York.
Giammai. Rimango fieramente irlandese. Nemmeno i miei figli ce l’hanno, fortunatamente. Giusto un po’ mia moglie, ma lei è americana, non vale.

ⓢ Com’è stato scrivere Una Madre?
Facile. Certi libri sono facili, altri più difficili. Twist è stato difficilissimo da scrivere.

ⓢ Ah già, non te l’ho ancora chiesto. Quanto ci hai messo a scriverlo?
Circa tre anni. Per Una Madre mi è bastato un anno. Per Apeirogon, quattro anni. Forse, pensandoci, Apeirogon è il libro di cui sono più fiero. Feltrinelli l’ha messo fra i settanta libri più importanti dei primi settant’anni della casa editrice. Ero felicissimo, vedere quell’edizione speciale mi riempie d’orgoglio. Sono ancora in contatto con Bassam e Rami, i protagonisti del libro. Lo scorso mese siamo andati tutti insieme in Irlanda.

ⓢ Vi siete divertiti?
Un sacco, abbiamo girato in tour facendo mille eventi e raccogliendo dovunque standing ovation. Abbiamo fatto più noi per la pace nel Medio Oriente che la maggior parte dei politici, credo.

ⓢ A cosa stai lavorando adesso, se ti va di dirmelo?
Niente di particolare. Un anno e mezzo fa mi sono ammalato, e ho dovuto operarmi due volte al cervello (mi mostra le cicatrici sul cranio, ndr). Non ho potuto scrivere per circa un anno. Sono stato in ospedale pochissimi giorni, ma è stata dura.

Sembri proprio in condizioni psico-fisiche scintillanti, oggi.
Grazie. Sono stato fortunato, continuo a migliorare. Quando sono andato a incontrare Papa Leone, questa estate, non ero in gran forma. Ero spaventato, dovevo assicurarmi di prendere abbastanza medicine per controllare le emicranie. Terribile. Ma ora sono guarito, è tutto passato. Nelle ultime settimane mi sento benissimo.

ⓢ Un altro dei miracoli della tecnologia.
Già. Stasera ho un evento qua a Milano, una bella cena, dopo andrò a Bergamo e volerò a Marrakech, un mio amico mi ha chiesto di tenere lì un corso per tre giorni. Non ci sono mai stato. Poi tornerò a Firenze da mio figlio, con l’agenda sgombra. Una bella fortuna. Ricordi che ti parlavo del cervello? Forse dovrei scrivere qualcosa sul cervello. Ci penserò. 

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