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11:46 giovedì 11 dicembre 2025
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.
La Casa Bianca non userà più il font Calibri nei suoi documenti ufficiali perché è troppo woke E tornerà al caro, vecchio Times New Roman, identificato come il font della tradizione e dell'autorevolezza.
La magistratura americana ha pubblicato il video in cui si vede Luigi Mangione che viene arrestato al McDonald’s Il video è stato registrato dalle bodycam degli agenti ed è una delle prove più importanti nel processo a Mangione, sia per la difesa che per l'accusa.
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui per gestire lo stress invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.

Che cos’è il cocaine walk e perché è tornato di moda

Spezzoni di vecchie sfilate sono diventate virali su TikTok, a conferma di come la nostalgia tipica dei social ama riprendere e mitizzare epoche della moda ormai passate.

06 Febbraio 2025

Per chiunque si trovi al di fuori dei confini statunitensi è pressoché impossibile scrollare la propria for you page di TikTok senza imbattersi in un audio dalla viralità stranamente longeva. È la voce maschile e metallica di un telegiornale: «She’s had plenty of drug problems and has dated some questionable men. She’s been blamed for promoting anorexia and heroin use, and her nicknames include cocaine kate & kate mess. She’s Kate Moss and she’s a rockstar trapped in a supermodel’s body». Un audio la cui origine risulta sconosciuta ai più se non all’user che l’ha postato (_username1601) e che conta più di 3.8 milioni di condivisioni: in genere video di ragazze o modelle che volteggiano su loro stesse, si cimentano nel lip sync o mostrano il proprio outfit accompagnate dagli hashtag #katemossinspo, #katemosswinter, #katemosscoke. Indossano tutte shorts o skinny jeans sotto la taglia 36 abbinati a stivali da equitazione e pellicce, outfit che testimoniano il ritorno dell’Indie sleaze, della Cool Britannia e l’egemonia mediatica di un personaggio che non ha mai avuto bisogno di scusarsi davvero per sopravvivere alle prove del tempo.

Avvistata nel front row della scorsa sfilata di Dior a Parigi dopo la rottura con Nikolai Von Bismarck – il conte, 13 anni più giovane, aveva annoverato una “incompatibilità di stile di vita” tra le ragioni della separazione – “Kate Mess” ha compiuto 51 anni ma il suo aspetto e la sua prossemica risultano inalterate. Pupille dilatate, sguardo fisso e movenze scattanti: impossibile non pensare alle prime pagine americane del settembre 2005, quando il The Sun per primo diffuse le sue immagini a casa di Nelson Mandela. Sorridente, sigaretta alla mano e tre strisce di coca tirate sul tavolo. Oggi quello stato permanente di alterazione psicosomatica non ci desta più scandalo, anzi contribuisce alla sua miticizzazione, in un’epoca in cui uno dei più grandi magnati dell’economia globale confessa apertamente di fare uso quotidiano di ketamina. È cambiato il nostro modo di parlare di droghe, la Cancel Culture cede la sedia al secondo governo Trump e le modelle ci ricordano che prima dell’Ozempic, c’era e ci sarà sempre la cocaina. Lo dimostra quello che senza dubbio è stato l’album del 2024, brat, i cui testi sono ricchi di riferimenti al consumo ricreativo della sostanza. Una celebrazione che Charli XCX ha reso ancora più esplicita realizzando una nuova versione del disco in edizione limitata, un vinile trasparente ripieno di polvere bianca.

Il ritorno dell’estetica Indie Sleaze ha portato per la prima volta all’attenzione della Gen Z: figure controverse, mediaticamente a cavallo tra il 2000 e il 2010. Per citarne alcune: Sienna Miller, Sky Ferreira, Alexa Chung, Pete Doherty, Hedi Slimane (iconica la frase pronunciata da Karl Lagerfeld sui capi dell’allora direttore creativo di Dior Homme: «I lost 200 pounds to wear suits by Hedi Slimane»). È innegabile che il ritorno dell’Indie Sleaze coincida difatti non solo con il ritorno di un’estetica ma anche con la glamourizzazione dello stile di vita necessario ad ottenerla. La giornalista Maureen Callahan nel romanzo Champagne Supernova, che segue le vite dei personaggi della moda più significativi del decennio (McQueen, Moss, Marc Jacobs) e che prende il titolo dal più alienato lyrics mai composto dagli Oasis, racconta di come Kate in quegli anni fosse riuscita a codificare un «nuovo ideale di bellezza, infuso di imperfezione, pigrizia, vizio e decadenza». Erano anni in cui i riferimenti alle polveri bianche non si limitavano ai dietro le quinte: risale al 1997 lo show “Cocaine Nights” di Andrew Groves, in cui lo stilista inglese decise di cospargere il set della sua passerella di polvere bianca per poi far sfilare un abito interamente realizzato in scintillanti lame di rasoio. Dieci anni dopo Sisley fece scandalo con la campagna (presto censurata) “Fashion Junkie”, ritraendo due modelle dal trucco sbavato intente a “sniffare” le bretelle di un vestito bianco.

Oggi la controversa frase di Moss «nothing tastes as good as skinny feels» è diventata motto di una parte della Gen Z che scopre la model e diet culture tramite clip virali che ritraggono supermodelle  – principalmente dell’est (Vlada Roslyakova, Sasha Pivovarova, Jessica Stam, Kristina Siredikdze) tra backstage e passerelle. Sfilano sotto effetto di stupefacenti, litigano dietro le quinte, declinano i pasti del giorno (caffé, sigarette). Sulla piattaforma cinese i video della “Doll Walk”, un’andatura più morbida, da lolita, ma pur sempre dagli occhi sbarrati, si contrappongono alla “Cocaine Walk”, una falcata scattante, enfatica, quasi minacciosa che conta tra le sue rappresentanti anche l’italiana Mariacarla Boscono. Dopotutto fu Stephen Fried, autore della biografia di Gia Carangi, tra le prime supermodelle morte per dipendenza di stupefacenti e AIDS, a rivelare al The Independent che l’uso che facevano le modelle della cocaina non era poi diverso da quello dei camionisti: per migliorare le prestazioni sul lavoro.

Il survey annuale sulla body inclusivity realizzato da Vogue Business ci aveva avvertiti che ben presto avremmo assistito ad un radicale ritorno alla feticizzazione della magrezza, sottolineando come già lo scorso anno il movimento della body positivity aveva perso slancio nella cultura mainstream, complice l’aumento dell’uso di Ozempic e il conseguente dimagrimento di celebrità e influencer. Più recentemente, un’inchiesta di 1granary ha denunciato invece l’uso estensivo di droghe sul luogo di lavoro negli uffici stile delle principali case di moda tramite testimonianze di dipendenti anonimi. Resta difficile, pressoché impossibile quantificare e comparare la diffusione delle droghe nella fashion industry contemporanea rispetto al passato, ma è cruciale osservare come sia cambiato il nostro modo di scandalizzarci. Se le paparazzate del 2005 erano costate a Moss fino 4 milioni di perdite in campagne pubblicitarie per marchi come H&M e Chanel e le dichiarazione razziste di Galliano, frutto di un burn out per il troppo lavoro (e le troppe sostanze), lo avevano portato al licenziamento da Dior e un esilio lavorativo di quasi 3 anni, ci si chiede quali sarebbero oggi le nostre strategie di indignazione. Di una cosa però siamo certi: ci sarà sempre Alexander McQueen da qualche parte con indosso una maglietta dalla scritta «We love you Kate», ci sarà sempre Cocaine Kate, pericolosamente, anche per la Gen Z.

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