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Perché Cioè esiste ancora

Ragioni per cui la rivista che ha formato un'intera generazione di ragazze, vera incarnazione degli anni Ottanta, continua a esistere ai tempi di Facebook.

06 Maggio 2016

«Caro Cioè, se il mio ragazzo mi tiene per mano sulla strada di scuola posso restare incinta???». Oggi nessuna ragazzina dopo la scuola materna avrebbe dubbi del genere, o comunque li affiderebbe alle Yahoo Answers, eppure la posta del cuore è l’inizio di ogni amarcord delle trentenni sul Cioè. «Me lo comprava mio nonno», «lo prendevo la domenica, dopo la messa», ma poi lo si leggeva in un segreto un po’ cospiratorio e imbarazzato, distese sul letto a pancia in giù assieme a compagne delle scuole medie a cui era proibito.

A trentasei anni dalla prima edizione, noi tutte ex-ragazzine cresciute tra i maxi-poster ripiegati al suo interno, ci chiediamo che senso può avere il Cioè per un millennial. Una volta c’era Maurizio Costanzo che commentava i fotoromanzi, e l’inserto l’Eco dei Sorcini di Renato Zero, anche se le collaborazioni celebri non sono rimaste tra i neuroni di nessuna delle ragazze nate tra il ‘78 e l’89 che mi hanno regalato i loro ricordi di Cioè, rispondendo con la solerzia e l’entusiasmo che usano solo i vecchi interrogati sulla loro gioventù.

cioe-copertinaC’erano tutti i retroscena delle ragazze di Non è la Rai, il posterone di Dylan di Beverly Hills, ed «ero innamorata di un protagonista fisso dei fotoromanzi», quel glabro con gli occhi marini che poi è entrato nei Ragazzi Italiani, primo e unico tentativo di boy-band italiana (ricordate il singolo “Vero amore”? Loro.)

«Mi ricordo ragazzi senza peli a torso nudo, e un box finto-tecnico sul petting, però così vago che mi lasciò notti intere a elucubrare sui risvolti pratici di questa parola». La copertina adesiva, citata come novità dirompente nei claim d’antan, ha attecchito a dovere nell’immaginario preadolescenziale anni Ottanta: «Non me lo compravano, ma le amiche mi regalavano gli sticker della copertina da appiccicare sul diario». È stato Cioè (e non Veltroni con le videocassette nell’Unità) il primo magazine a compiere la rivoluzione copernicana di infilare i gadget nel cellophane: il primissimo fu, suggestione potente di quel mondo, una gomma rosa a cuore.

Mi sono chiesta se possono essere ancora i poster di carta, e i braccialetti impacchettati col giornalino, a giustificare un prodotto che in quanto a voyeurismo non potrà mai combattere con tutti i social alla mercé delle tredicenni. Dopotutto, mi sembrava che qualsiasi emanazione del Cioè (i succitati sticker, i regalini, il gossip sugli show Fininvest) incarnasse pienamente lo spirito gadgettaro e frivolo degli anni Ottanta, e che fosse dunque impossibile da resuscitare.

Questa settimana mi sono recata in edicola e ho comprato lo speciale #Cioè Tube, grande novità introdotta di recente all’inseguimento disperato del nativo digitale, per rendermi conto di quali potevano essere i tratti distintivi di un Cioè 2.0, e per capire in che modo un anziano magazine per giovanissime potesse competere col gesto di followare Justin Bieber e percepire istantaneamente notifica del suo nuovo taglio di capelli, e ho trovato qualche risposta.

Da un canto, la sostanza non è cambiata, trasformando pedissequamente le Ambre Angiolini in showgirl di Italia’s got talent, X-factor e Amici. Anche l’estetica è rimasta sorprendentemente invariata, perché evidentemente invariata dev’essere l’ideale di bellezza di una dodicenne: bellocci angelicati, biondi capelloni puliti, e niente peli (morfologia spiegabile con le date di nascita dei divi, mai più lontane del 1998, e con la biografia artistica delle dive, appena uscite da Nickleodeon per diventare twitstar).

cioecoveraeuro190D’altro canto, un secondo cruciale scarto, che invece ha più a che fare col contenuto, è la sostituzione dei personaggi di Melrose Place con gli youtuber, o comunque con imberbi musicisti il cui ascolto è rimandato com’è giusto a Deezer e Spotify. Il nuovo Cioè, che naturalmente ha una pagina Facebook piena di: «Abbiamo incontrato Benji e Fede, e sono dolci come sembrano», vive un parassitismo inevitabile e direi sano con l’Internet, che, a rigor di logica, non potrebbe far altro che rincorrere.

Invece, per quanto anacronistici, i commenti ai post Instagram di Ariana Grande e la rubrica che ti consiglia i canali Youtube della ClioMakeUp italiana o di tale Antony (liceale che risponde a un’intervista rievocando i suoi «grandi fallimenti DEL PASSATO») sembrano acquistare quasi il senso di un testo multimediale, nel complesso tessuto del tempo di una ragazzina, costretta a spegnere lo smartphone durante le ore di scuola.

C’è un altro particolare che non abbiamo considerato. E riguarda noi adulte, che ci struggiamo di nostalgia ripensando a quando compilavamo quei test sull’amica che ti ruba il fidanzato: si fa un gran parlare dell’era in cui gli interessi di genitori e figli si sono mischiati in un’unica massa fatta di romanzi cross-over e cartoni Pixar. Ecco, se nostra madre si sarebbe vergognata di sapere chi era Zack Morris, una mamma moderna non solo non si vergogna di sapere chi è Zack Efron, ma si sente una mummia noiosa se non sa chiamare per nome ogni One Direction e ogni Kardashian. Siamo noi, i sempre-giovani invadenti, che un po’ non vediamo l’ora di comprare il vecchio Cioè ai nostri figli. Quasi fosse un luogo sicuro per la prole digitale, dove divertirsi alla maniera di una volta, al riparo dai paventati usi negativi della Rete, e soprattutto insieme a noi, che non vogliamo invecchiare.

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