E il suo si è confermato il film italiano dell'anno, portandosi a casa ben sette statuette.
Il cinema più antico di Mosca ha riaperto dopo sette anni di restauro
Guardare un film nella stessa sala frequentata da Tolstoj, nel cinema che ospitò alcune delle prime proiezioni della Corazzata Potemkin nel 1926. Mentre i cinema in tutto il mondo affrontavano le difficoltà dovute alla pandemia, il Khudozhestvenny di Mosca si preparava ad aprire dopo sette lunghi anni di ristrutturazione. Inaugurato per la prima volta nel 1909, il cinema d’epoca imperiale ha riaperto le porte il mese scorso. Prima dell’inizio dei lavori di ristrutturazione, nel 2014, le sue condizioni erano pessime: come segnala Russia Beyond, negli anni ’90 era diventato un casinò pieno di slot machine. Se tutto va come previsto, il cinema Khudozhestvenny non proietterà blockbuster ma film indipendenti, progetti d’autore e opere in versione originale con sottotitoli in russo.
Il Guardian ha riportato le parole di Alexander Mamut, l’uomo d’affari miliardario che si è occupato della ristrutturazione e che ora gestisce il cinema tramite la sua società cinematografica, Pioner. «Questa strana malattia passerà. La gente non vuole vivere la vita solitaria imposta loro dall’epidemia. Vogliono vivere uno stile di vita urbano … Non appena usciranno nuovi titoli e le restrizioni finiranno, il pubblico tornerà al cinema anche qui». La ristrutturazione di quello che secondo Mamut era «ciò che il teatro Bolshoi è per il balletto», ha avuto un costo di 30 milioni di dollari e ha comportato il restauro della facciata storica, caratterizzata da un enorme modello di nave da guerra per la serata di apertura del classico di Sergei Eisenstein, su cui oggi si legge “Khudozhestvenny Electro-Teatro”. La facciata ha conservato gli elementi di una celebre riprogettazione del 1913 firmata dall’architetto Fyodor Schechtel, mentre la ristrutturazione degli interni dell’edificio ha suscitato polemiche perché non ha per niente rispettato lo stile originale. Specchi riflettenti, marmo e metallo: «Una reinterpretazione stilizzata del grande cinema», scrive il Guardian. Proprietario della catena di librerie Waterstones dal 2011 al 2018, Mamut ha scommesso molto sul Khudozhestvenny: il progetto era partito diversi anni prima che l’epidemia fermasse l’industria cinematografica globale. Parlando col Guardian ha commentato il suo rapporto con la vecchia sala usando una metafora molto efficace: «È come se tuo figlio nascesse e andasse a scuola e prendesse sempre D, studiasse male, non fosse bravo. Ripensandoci, avresti ancora voglia di partorirlo? Ovviamente sì. E prima o poi inizierà a ottenere buoni voti».