Attualità
Chi sale e chi scende nella Silicon Valley
Sono usciti i trimestrali delle aziende tech: ma non si leggono tanto i risultati quanto le potenzialità. Chi ha in mano la nuova big thing? Chi sta perdendo terreno?
La presentazione delle trimestrali a Wall Street, specie di quelle di fine anno, che sono pubblicate tra fine gennaio e inizio febbraio dell’anno successivo, è da sempre uno show per un pubblico con strane esigenze. I Ceo e i Coo (Chief operating officer, direttore operativo) si presentano in conference call, danno dimostrazione della merce, ma sanno che ai clienti non basterà quello che vedranno. Se il Ceo in questione presiede una società tecnologica della Silicon Valley, i clienti, gli azionisti, avranno ancora meno interesse per i numeri e le tabelle. A loro importa poco se una società è stata fiscalmente responsabile e ha mantenuto i conti in ordine. A questo livello, tutti hanno risorse per rimanere a galla a lungo: Usa Today ha calcolato che Twitter ha abbastanza denaro per mantenere aperto il suo servizio per 412 anni senza intoppi. Alla presentazione della trimestrale, il Ceo deve far brillare davanti agli occhi degli azionisti la speranza di qualcosa di diverso, far credere loro di avere in mano la prossima big thing, la rivoluzione in grado di cambiare i consumi, il prossimo iPhone. Per questo tutti, scavando tra i numeri delle trimestrali delle aziende tech, non cercano risultati ma potenzialità, non responsabilità ma innovazione, misurabile in investimenti. L’ultimo round di trimestrali, che trattano i risultati fiscali dell’ultimo trimestre del 2015, è stata una conferma quasi plastica di questa regola: nella Silicon Valley l’innovazione decreta il successo sui mercati, secondo regole che non valgono per gli altri settori economici.
L’implosione del gigante stanco Yahoo invece è storia vecchia, è il declino straziante dell’anziano re che lotta impotente per cercare di recuperare l’influenza perduta. Nel 2012 l’arrivo del nuovo Ceo Marissa Mayer fu salutato come salvifico. Lei, tra i massimi dirigenti di Google, generò entusiasmo con una serie di acquisizioni di alto profilo, la più importante delle quali è stata Tumblr, comprata nel 2013 per un miliardo di dollari. Questa settimana, alla presentazione dell’ultima trimestrale dell’anno, Yahoo ha registrato perdite per circa 4,4 miliardi di dollari, ha ammesso che il suo business mobile è anni luce dietro a quelli di Facebook e Google, e di aver sopravvalutato pesantemente il suo gioiello Tumblr. La società ha deciso di licenziare il 15 per cento della forza lavoro e si prepara a mettere in vendita il suo core business, in pratica decretando la propria fine per come la conosciamo.
Poi c’è Apple. Ha i numeri dalla sua parte (nessun altra azienda quotata nella storia ha guadagnato tanto quanto Apple nell’ultimo trimestre del 2015) e perfino l’innovazione, vista la gran mole di nuovi prodotti presentati nel 2015, dall’Apple Watch all’iPad Pro. I commentatori e gli azionisti però rumoreggiano di una crisi strutturale. Alcuni la vedono nei particolari, in certe scelte di design poco rifinito «che Steve Jobs non avrebbe mai accettato»; altri la vedono nell’eccessiva dipendenza dell’azienda nei confronti delle vendite degli iPhone, che fanno oltre il 70 per cento del fatturato e sono in rallentamento. Ma quello che tutti temono veramente è che la vena creativa lasciata in eredità da Steve Jobs si stia ormai esaurendo, che Apple finora abbia vissuto di rendita e perfezionamenti ma non sia in grado di reggersi da sola. Non bastano risultati economici spettacolari; gli azionisti cercano di fiutare la prossima big thing e temono che il Ceo Tim Cook non sia in grado di dargliela. Lui lascia sornione che i leak su nuovi progetti circolino liberamente sulla stampa, dall’auto con la mela, di cui si parla da ormai un anno, a nuovi device per la realtà virtuale, novità di questi giorni. Anche Apple ha i suoi “moonshot”, ci tiene a dire. Ma è stato Steve Jobs, si sa, a mettere l’asticella delle aspettative nei confronti di Apple più in alto di tutti gli altri.