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02:49 sabato 25 ottobre 2025
Da quando è uscito “The Fate of Ophelia” di Taylor Swift sono aumentate moltissimo le visite al museo dove si trova il quadro che ha ispirato la canzone Si tratta del Museum Wiesbaden, si trova nell’omonima città tedesca ed è diventato meta di pellegrinaggio per la comunità swiftie.
Yorgos Lanthimos ha detto che dopo Bugonia si prenderà una lunga pausa perché ultimamente ha lavorato troppo ed è stanco Dopo tre film in tre anni ha capito che è il momento di riposare. Era già successo dopo La favorita, film a cui seguirono 5 anni di pausa.
Al caso del furto al Louvre adesso si è aggiunto uno stranissimo personaggio che forse è un detective, forse un passante, forse non esiste È stato fotografato davanti al museo dopo il colpo, vestito elegantissimamente, così tanto che molti pensano sia uno scherzo o un'immagine AI.
L’azienda che ha prodotto il montacarichi usato nel colpo al Louvre sta usando il furto per farsi pubblicità «È stata un'opportunità per noi di utilizzare il museo più famoso e più visitato al mondo per attirare un po' di attenzione sulla nostra azienda», ha detto l'amministratore delegato.
I dinosauri stavano benissimo fino all'arrivo dell'asteroide, dice uno studio Una formazione rocciosa in Nuovo Messico proverebbe che i dinosauri non erano già sulla via dell’estinzione come ipotizzato in precedenza.
Nelle recensioni di Pitchfork verrà aggiunto il voto dei lettori accanto a quello del critico E verrà aggiunta anche una sezione commenti, disponibile non solo per le nuove recensioni ma anche per tutte le 30 mila già pubblicate.
Trump ci tiene così tanto a costruire un’enorme sala da ballo alla Casa Bianca che per farlo ha abbattuto tutta l’ala est, speso 300 milioni e forse violato anche la legge Una sala da ballo che sarà grande 8.361 e, secondo Trump, assolverà a un funzione assolutamente essenziale per la Casa Bianca.
L’episodio di una serie con la più alta valutazione di sempre su Imdb non è più “Ozymandias” di Breaking Bad ma uno stream di Fortnite fatto da IShowSpeed Sulla piattaforma adesso ci sono solo due episodi da 10/10: "Ozymandias" e “Early Stream!”, che però è primo in classifica perché ha ricevuto più voti.

Censura nell’era della soggettività

Giornalismo e onestà intellettuale. Storia di "Le Mur", il controverso documentario francese sull'autismo (e l'approccio psicoanalitico a questa malattia) che fu rimosso da YouTube ed è tornato online a distanza di due anni.

05 Aprile 2012

Tocca fare una premessa: questo articolo, nei piani originali di chi scrive, sarebbe dovuto essere corredato da un video, perché parla di un documentario francese che è stato censurato in patria ma che fino a pochi giorni fa era fruibile su internet, con tanto di sottotitoli in inglese. Nel frattempo però il filmato è stato rimosso pure da YouTube, quindi mi trovo nella (spiacevole) situazione di parlarvi di un video che io ho visto ma che voi non potete vedere, il che ci rimanda all’annosa questione del rapporto di fiducia tra lettore/spettatore e giornalista di cui ha già scritto Cristiano de Majo.

Dunque, famo a fidasse: se non altro, potete trovare la sbobinatura dei dialoghi, tradotti in inglese, che un fruitore ha avuto l’accortezza di trascrivere in via del tutto ufficiosa all’inizio della querelle. Magra consolazione, perché da sole le parole non trasmettono appieno il messaggio del documentario.

Fatto il disclaimer, veniamo al punto: Le Mur (ou la psychanalyse à l’épreuve de l’autisme) è un documentario di circa 50 minuti, prima opera da regista dell’autrice televisiva Sophie Robert. Parla di autismo infantile e del modo in cui è curato in Francia. L’autrice segue una famiglia con due figli autistici, un bambino e un adolescente, intervista alcuni psicanalisti e giunge alla conclusione che l’autismo in Francia si cura tardi e male: tutta colpa di un sistema dominato dalla psichiatria, a sua volta influenzata dalla psicoanalisi. In particolare, Robert rinfaccia agli psichiatri/psicoanalisti di: 1) ignorare, per mero sciovinismo culturale, le terapie che seguono il modello cognitivo-comportamentale, che sarebbero più efficaci; 2) rinchiudere in strutture psichiatriche ragazzini che, se curati correttamente, potrebbero tranquillamente andare a scuola; e infine 3) mortificare i loro genitori, addossando la “colpa” dell’autismo infantile alle “madri frigorifero.”

Il documentario è stato messo in rete lo scorso settembre ed è stato proiettato in alcuni festival internazionali sull’autismo. A quel punto tre degli psicoanalisti coinvolti hanno fatto causa, sostenendo che la regista avesse apportato tagli tali da “snaturare il senso delle interviste” e farli “sembrare dei fanatici”. Hanno vinto. In base a una sentenza pronunciata dal tribunale di Lille, Robert deve sborsare un indennizzo e il documentario non può essere distribuito in Francia. La settimana scorsa, infine, il video è stato rimosso da YouTube – sotto richiesta, è bene precisare, degli stessi avvocati della regista.

Ne hanno parlato la Bbc (il podcast qui) e il New York Times (l’articolo qui), in termini generalmente favorevoli, più che al documentario di Robert, alla tesi della superiorità delle terapie cognitivo-comportamentali – in fondo, si trattava di difendere la superiorità del modello anglosassone rispetto a quello francese. In Italia ne ha scritto sul Venerdì di Repubblica Marco Filoni, che parla di “psicoanalisi come religione di Stato” in Francia; sul Sole24Oreè uscito un editoriale a firma di Gilberto Corbellini, che ha dato, letteralmente, dei “ciarlatani” agli analisti di scuola lacaniana. Uno di loro ha risposto, piuttosto piccato, su Repubblica.

In breve il dibattito è scaduto nel tifo in stile “giornalisti contro psicoanalsti”, titolo adatto alla candidatura come sequel di un noto film della Dreamworks. O stai con la libertà di espressione, o stai con Lacan. A nessuno – quasi a nessuno – è saltato in mente che forse la censura in una democrazia occidentale di un documentario, per quanto fazioso, è un fatto che merita di essere discusso indipendentemente dal fatto che la regista abbia torto o a ragione sull’autismo? Che è ora di farsi due domande sul senso di censurare un filmato che mette, per quanto faziosamente, in cattiva luce gli intervistati, in un’era che ha mandato in pensione il mito dell’oggettività?

Ho visto il documentario di Robert. Non mi è piaciuto. Se non fosse altro perché è una classica storia di vittime buone, carnefici cattivi: in questo caso i buoni sono la famiglia cicciottella con i figli autistici, i cattivi sono i professoroni che vogliono curarli ma-non-con-i-metodi-americani – il tropo qui assume una sfumatura anti intellettuale. Non sono un’esperta di autismo, quindi non do giudizi di merito sulla tesi avanzata dal documentario – in compenso però ho trascorso due estati ospite di una famiglia dove c’era anche un ragazzino autistico, e quel tanto mi è bastato per capire che film tipo Rain Man o libri come Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte fanno sembrare la cosa una passeggiata rispetto alla cruda realtà.

Il documentario mi è parso bruttino, oltre che di parte. Ma non è un buon ragione censurarlo, no? Passi interrompere la distribuzione, poi, ma arrivare a rimuoverlo da YouTube, cancellando ogni traccia… tra l’altro, avrei voluto saperne che cosa ne pensavano gli altri, cosa che non saprò mai perché il video online non c’è più. Mi ha allarmato, tra l’altro, la reazione da parte di un’associazione psicoanalitica italiana, che liquidava così chi ha protestato contro la censura: “Le sentenze dei tribunali come i matrimoni – si sa – non possono mai essere giudicate dall’esterno”. Un rogo di libri, la giustizia che è al di sopra dei giudizi.

Nel frattempo però ho dato un’occhiata al sito di sostegno per Sophie Robert – la cui tesi di fondo si può riassumere con “la psicoanalisi è responsabile del buco nell’ozono” – e mi hanno colpito la virulenza degli attacchi, il senso di missione buoni-contro-cattivi. Una caccia alle streghe.

Una volta una conoscente che fa comic journalism mi ha detto di non credere nell’obiettività, ma nell’onestà intellettuale. Il reporter sopra le parti non esiste più, ammesso che mai sia esistito: il solo fatto di scegliere un tema, una notizia, anziché un altro è una scelta soggettiva, se facciamo credere a chi ci guarda o ci legge di essere obiettivi, stiamo prendendo in giro qualcuno: «L’onestà intellettuale è l’unica nostra arma, fare sapere al nostro pubblico di non avere secondi fini».

Continuo a essere contraria alla censura, di ogni genere. Continuo a pensare che il documentario di Robert dovrebbe essere fruibile per tutti. Continuo a credere nel giornalismo soggettivo. Ma pure la disonestà intellettuale mi fa un poco tristezza.

Aggiornamento: a seguito di una sentenza della corte d’appello, il documentario Le Mur è tornato fruibile su Internet dal gennaio 2014.

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