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Ma che vi ha fatto di male, Carlo Conti?

L'indignazione per il suo ritorno come direttore artistico di Sanremo, la dicotomia con l'illuminato Amadeus, le accuse di criptomelonismo: come un navigatissimo professionista è diventato all'improvviso l'uomo più odiato della tv italiana.

di Lorenzo Camerini

Quindi era vero, nessun ripensamento. Dopo un lustro, stessa vita di una legislatura, è finita a Sanremo l’era Amadeus. E chi ti va a scegliere la Rai per sostituirlo? Carlo Conti. Apriti cielo. L’annuncio è stato dato al Tg1 delle 8 del mattino, non in quello della sera, forse un tentativo da vecchia Democrazia Cristiana di far passare la notizia un po’ sottotraccia, e evitare le critiche. Non ha funzionato. Carlo Conti, che in effetti non si è presentato proprio benissimo (la sua prima battuta è stata “i Conti tornano!”), è stato etichettato in fretta da spietati commentatori online quando va bene come un insipido traghettatore, e quando va male come un restauratore, un alfiere di TeleMeloni, simbolo della nuova, presunta, egemonia culturale della destra. In molti hanno scritto la stessa spiritosaggine: peggio di Conti c’era solo Pino Insegno. Tutte opinioni in contrapposizione con l’amore per Amadeus, la cui reggenza è ricordata come un periodo illuminatissimo e barricadero, e Ama in esilio sul tasto Nove del telecomando è rimpianto nemmeno fosse una specie di incrocio fra Renzo Arbore e Fabio Fazio.

Ma che ha fatto di male, il povero Carlo Conti, per meritarsi questo scetticismo? In 40 anni di carriera in Rai, dice lui, non ha mai avuto appoggi dalla politica. Conti si occupa di leggerezza, non si schiera. Impossibile ripescare sue vecchie dichiarazioni divisive o partigiane. Come disse in un’intervista a Cazzullo sul Corriere di qualche anno fa: «Preferisco non attribuirmi un colore. Sono un giullare tv: tutti devono guardarmi nello stesso modo, vedersi riflessi nella mia normalità». A dirla tutta, spulciando il suo profilo Instagram si nota un penchant per molte tematiche care al governo in carica, o almeno a qualche suo ministro: c’è la foto della prima comunione del figlio, il post di auguri a tutte le mamme, con i ritratti delle due mamme più importanti della sua vita, c’è la foto di un mazzo di mimose per la festa della donna. Ma è sufficiente per attribuirgli affinità a idee politiche destrorse?

Tra l’altro, Conti ha già condotto tre Sanremo, e negli anni in cui al governo c’era il Partito democratico. Con il suo classico stile rassicurante, senza disturbare o provocare. Nel 2015, la sua prima edizione, vinse Il Volo, e Conti portò sul palco la famiglia Anania, la più numerosa d’Italia (sedici figli), certo. Ma a Sanremo quell’anno si esibì anche Conchita Wurst, e Conti scelse tre donne al suo fianco nella conduzione, tra le quali Arisa, che si è presentata una sera strafatta sul palco e, prima di introdurre sbiascicando l’esibizione di Annalisa, ha elogiato il dottore di Sanremo che le aveva prescritto degli anestetici. Non esattamente un approccio proibizionista. E nel 2016? Super ospiti del calibro di Nicole Kidman e Elton John, più un medley di Laura Pausini la prima sera (e anche uno dei Pooh di giovedì, da tradizione). Poi certo, hanno vinto gli Stadio, ma in gara c’erano anche i Bluvertigo e Neffa. Nel 2017 trionfò Gabbani, la sua “Occidentali’s Karma” è riconosciuta come prima scintilla della svolta giovanilistica imboccata poi da Baglioni e Amadeus. Finale della prima era contiana con il botto, all’Ariston si presentarono Zucchero, Keanu Reeves, Ricky Martin. Carlo Conti ha ereditato il festival flop di Fabio Fazio, che registrò record negativi da incubo l’anno prima di lui, e ha riconsegnato al Paese uno spettacolo in forma, con ascolti che non si vedevano da anni.

Porterà solo vecchi e fascisti, anche così è stato diffamato da opinionisti anonimi sui social ignari dell’insospettabile fiuto da talent scout di Carlo Conti, che nei suoi vecchi Sanremo (dove è sempre stato direttore artistico) ha lanciato nella sezione Nuove Proposte appunto Gabbani, Ermal Meta, Mahmood e Irama. C’è una sola accusa, fra tutte quelle mosse in questi giorni a Carlo Conti, che in effetti non è proprio campata per aria: è troppo amico di Panariello e Pieraccioni. Conti ha già annunciato che probabilmente li inviterà, magari non tutte le sere, ma una se ne può parlare. Forse i suoi sodali non saranno Ricky Gervais e John Oliver, e sono un inequivocabile peggioramento rispetto a Fiorello, ma di momenti comici agghiaccianti ne abbiamo visti parecchi negli anni a Sanremo, e non sempre per colpa dei toscani.

Insomma, l’unica differenza con Amadeus sarebbe questa: uno è amico di Fiorello, e quell’altro no. Ormai siamo talmente abituati a tifare su tutto, e a dividere ogni argomento in comode alternative binarie, che persino due docili mestieranti del palcoscenico televisivo tutto sommato interscambiabili fra loro possono scatenare battaglie ideologiche. Per fortuna, queste strampalate battaglie rimangono nei nostri telefoni. Anche in quello di Carlo Conti, che probabilmente in questi giorni è troppo impegnato a schivare le autocandidature e i messaggi ruffiani per badare a queste scaramucce social: sul suo ultimo post Instagram, una foto in stile “andiamo a Sanremo!”, ci sono le congratulazioni pubbliche nei commenti – tra gli altri – di Marco Carta, Giusy Ferreri, Bianca Atzei, Nina Zilli, e chissà le esplosioni di affetto nei dm.

Sanremo seguirà il solito rassicurante canovaccio, non è ancora tempo di scelte rivoluzionarie tipo affidare la conduzione a un “giovane” sotto i cinquant’anni o a una conduttrice. Ascolteremo in concorso, come da recente tradizione, qualche idolo della nuova leva pop e rap, stuzzicato dai successi in classifica dei colleghi sull’onda delle visitine in Riviera degli ultimi febbraio. Se anche balenasse a Carlo Conti l’idea di invitare solo vecchie glorie e comici di area meloniana, basterebbe un’occhiata ai dati che indicano quale fascia d’età regala più soldi all’industria musicale italiana per convincere il nuovo sceriffo a proseguire il processo di svecchiamento del Festival. Mancano soltanto nove mesi, ma niente panico: avremo anche l’anno prossimo la nostra dose di polemiche sterili e passioni passeggere, i nostri Geolier e le nostre Angelina Mango.