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Luci e ombre di Call My Agent – Italia

La versione italiana della fortunatissima serie francese ha dentro più finzione ed è stata lanciata da un monologo virale di Paolo Sorrentino.

di Giancarlo Mancini

Erano in molti ad avere dubbi sulla possibilità di adattare felicemente in Italia la fortunata serie francese Dix pour Cent (Chiami il mio agente, distribuita da noi su Netflix), basata su un’agenzia cinematografica alle prese, in ogni episodio, con un personaggio diverso del ricco panorama francese, nutrito anche di qualche appropriazione indebita come Monica Bellucci. L’inesistenza da noi di un sistema industriale vero e proprio, rendeva di conseguenza problematico poter avere dei divi da raccontare e anche da parodiare. La soluzione scelta per Call My Agent – Italia (prodotta da Palomar e Sky Studios) dai creatori nostrani è stata quella di mettere tra parentesi il dato di realtà e inventarsi un sistema divistico e produttivo di sana pianta. Quest’operazione però non è stata effettuata con un mero volo di fantasia, ma attraverso un procedimento che chiama in causa il nostro glorioso passato, quando cioè il cinema italiano vinceva Oscar, Palme d’oro ed esportava in tutto il mondo volti maschili e femminili.

Già la scena inaugurale, sui titoli di testa, mentre i vari agenti si apprestano a iniziare la loro giornata, è abbastanza esplicativa. C’è la cartolina panoramica della Roma papalina e barocca, “mai troppo abusata”, inframmezzata a un minitour dei locali dell’agenzia, tappezzata di foto e locandine di “quando eravamo grandi”. Incorniciati ci sono i divi e i capolavori del bel tempo che fu: Tognazzi, Cardinale, La ragazza con la pistola, Io la conoscevo bene, e così via fino, ovviamente a La Grande bellezza. Certo, in mezzo ci sono anche Il Traditore di Bellocchio, e Call Me by Your Name di Guadagnino, ma si capisce che sono riferimenti messi solo per dovere di attualizzazione. L’idea è quella di far finta che tra ieri e oggi non vi sia la cesura netta che c’è, ma una linea di continuità. Nell’anno in cui tutti i cavalli che si riteneva vincenti si sono scontrati al botteghino con incassi drammaticamente al di sotto delle aspettative, Call My Agent – Italia mette in scena produttori americani disposti a rinunciare alle loro pretese pur di riuscire a girare le 12 stagioni di Tuskia, dedicata alle gesta dell’antica civiltà etrusca. Piccolo inciso: Come è plausibile presentare una produzione in procinto di creare 12 stagioni, una dietro l’altra, come se ognuna non fosse, come è noto, legata al successo di quella precedente?

Per una curiosa coincidenza questa visione fantasmatica del nostro presente cinematografico appare sui nostri schermi negli stessi giorni in cui l’opinione pubblica è soggiogata, per non dire annebbiata o turlupinata, dalle chiacchiere attorno alla “destrorsità” di Dante, scatenate dalle dichiarazioni del ministro della Cultura Sangiuliano. Un segno ulteriore che testimonia di un rapporto difficile con la storia e con la nostra eredità culturale, elementi con i quali si fatica a fare i conti lucidamente. Su questo fragile e delicato equilibrio, su questa realtà favolistica, da lieto fine a tutti i costi, riesce però tutto sommato a mantenersi Call My Agent – Italia, svelando anche le differenze rispetto all’originale francese. Se infatti quello era una satira dei vezzi e dei lezzi delle maggiori star transalpine, in uno scavo immersivo nella loro macchina industriale, qui si opera su toni immaginari, creando qualcosa che forse, sulla scorta del nostro passato, sarebbe potuto esserci ma che tutti sanno non esistere più da diversi decenni. Nel primo episodio, intitolato “Paola”, la guest star attorno alla quale ruota l’intreccio principale è Paola Cortellesi. Già da settimane al lavoro sull’agognato ruolo di regina (con tanto di lezioni di etrusco da Alberto Angela), viene improvvisamente scaricata perché l’ingaggio di Brad Pitt spinge gli americani a cercare una coprotagonista più giovane e spendibile sul mercato internazionale.

Imbufalita dalla notizia, Paola scarica le responsabilità sul suo agente, il sensibile, umano Gabriele, per affidarsi al collega Vittorio, cinico e determinato a tutto pur di recuperarle il ruolo. L’obiettivo sarà portato a termine a costo però di un pesante intervento di chirurgia plastica tale da rendere Paola, per usare le parole di Gabriele, «gonfia». Su un piano contenutistico Call My Agent – Italia segue abbastanza fedelmente il calco originale, se non fosse per un particolare. Lì, il fondatore, Samuel, partito per il Brasile, moriva al termine del primo episodio per aver ingoiato una vespa, qui, partito per Bali, semplicemente non mostra più desiderio di tornare, lasciando i suoi quattro associati, smarriti, a contendersi i suoi clienti, ovviamente i più importanti e blasonati dell’agenzia.

Uno di questi è Sorrentino, il nostro ultimo premio Oscar, l’autore de La Grande Bellezza sul cui manifesto terminavano i titoli di testa del primo episodio, l’ultimo film italiano di cui s’è parlato nel pianeta, almeno così pare o si vorrebbe. È il regista napoletano il protagonista del secondo episodio, ovvero quello dell’artista geniale ma beffardo che seduce gli agenti con il suo nuovo progetto, la terza stagione della serie sul Papa, dedicata stavolta a una Papessa, da far interpretare a Ivana Spagna con Madonna e Lino Banfi come coprotagonisti. Salvo poi rivelare, in ascensore, alla ragazzina appena arrivata, ultima fra le assistenti, trattarsi di un pesce d’aprile. Sorrentino nei panni di se stesso che fa se stesso, sembra molto a suo agio, così come sembra già avviato ad una duratura carriera fra i social e gli inoltri a catena il suo monologo sugli incontri genitori-figli definiti «la cosa più prossima alla morte» che termina con una «lettera a Dio» nella quale gli chiede di occuparsi lui dell’educazione, non dei figli, bensì dei genitori.