Cultura | Letteratura

Bret Easton Ellis e il mistero del podcast che potrebbe diventare un libro

The Shards è un prodotto letterario non del tutto identificato di cui lo scrittore legge un nuovo capitolo ogni due settimane.

di Luca Mirarchi

Anche se per tutta la carriera, a cominciare da Meno di zero, ma soprattutto nella triade che costituisce l’ossatura principale del suo corpus — American Psycho, Glamorama e Lunar Park — ha fatto ricorso a vari unreliable narrator quasi come cifra estetica, Bret Easton Ellis è sempre stato nelle rare interviste fin troppo trasparente. Dopo il flop di Imperial Bedrooms, nel 2010, non aveva usato giri di parole: «Con la narrativa quello che avevo da dire l’ho detto, e rispetto a quando ero giovane i romanzi hanno perso quasi del tutto l’importanza che avevano nella società, preferisco dedicarmi al cinema e ai podcast».

Negli ultimi dieci anni BEE ha quindi lavorato per Hollywood, scrivendo svariate sceneggiature che non sono approdate a nulla, ne ha finalizzata qualcuna con film meno che mediocri — The Canyons, The Curse of Downers Grove, Smiley Face Killers — e ha realizzato su Patreon una serie di podcast dedicati soprattutto a cinema e pop culture, con lunghi monologhi iniziali e interviste a personaggi più o meno noti, da Art Tavana a Quentin Tarantino.

Nel 2019 alcune riflessioni contenute nel podcast sono confluitie in White, ibrido fra saggio e memoir che ha fatto arrabbiare parecchio i Millennial e i liberal, gli uni bersagliati per l’attivismo e la cancel culture, gli altri accusati di essere stati incapaci di prevedere e accettare il fenomeno Trump. Dall’anno scorso è partita la serializzazione di un nuovo prodotto letterario non del tutto identificato, The Shards, di cui ha preso a leggere ogni due settimane un nuovo capitolo, adottando una forma di fruizione decisamente inusuale, per uno scrittore del suo livello, nel saltare in blocco il filtro editoriale. È interessante anche perché ripropone in rete una prassi abituale nel romanzo ottocentesco (da Dickens a Dostoevskij, che fu capace di far uscire a puntate perfino un romanzo complessissimo come I fratelli Karamazov).

Lo ritroveremo un giorno in libreria? A giudicare da una foto postata sul suo Instagram a dicembre, in cui campeggia uno scatolone Penguin Random House, sembrerebbe proprio di sì; considerando il vuoto di notizie che è seguìto, è probabile che ci sia ancora da attendere. Sono di aprile ulteriori news, stavolta su Facebook, più che altro per promuovere l’edizione audio, con tanto di link alla pagina con la lista completa dei ventisette capitoli.

 

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Quali vette, o bassezze – vista la sua ben nota abilità di pescare dai riferimenti più pop per travasarli in letteratura – ha invece raggiunto Ellis con The Shards? Per prima cosa, meglio rinunciare a stabilire in modo netto se si tratti di un memoir o del primo romanzo dopo dodici anni. Sembra preponderante, da questo ascolto, e al di là delle differenze immaginabili nella successiva versione cartacea (quella che più attendono i fan), la componente di pura fiction, inserita però in un microcosmo che si fonda su due diversi piani di realtà.

Da un lato, il solito armamentario di riferimenti sociologici molto precisi di Ellis — tra sale cinematografiche, film, canzoni, locali, vestiti autostrade dove è avvenuta la diseducazione sentimentale del futuro scrittore — che restituiscono un credibile quadro ambientale della sua adolescenza nell’ultimo anno alla Barclay di Los Angeles, scuola privata per ragazzi ricchi e annoiati che poi avrebbero fatto da modelli per Meno di zero; dall’altro, sul piano dei contenuti, dello stile e delle ossessioni, continuiamo a muoverci negli scenari della sua produzione letteraria West Coast: vengono raccontate le efferate gesta compiute, fra il 1981 e il 1982, da The Trawler, un serial killer che sarà descritto con dovizia di dettagli mentre abusa dei corpi delle vittime.

Nei primi due episodi (quelli gratis, dopo si paga una sottoscrizione) l’autore tenta di persuadere gli ascoltatori dell’assoluta veridicità dei fatti narrati, a partire dal trauma sepolto in quei mesi che gli ha impedito per anni di scriverne, e che lo ha condotto a gravi crisi di panico quando ci ha provato, sinché durante il primo lockdown del 2020, e con questa formula dilazionata, si è sentito pronto a farlo. Viene inoltre introdotta, senza eccessivi spoiler, l’evoluzione del plot, e i “personaggi” principali: la ragazza di Bret, Debbie Schaffer, suo padre Terry, un produttore cinematografico gay con delle mire su di lui; Tom Wright e Susan Reynolds, il re e la reginetta del ballo alla Barclay; Ryan Vaughan e Matt Kelner, dai quali è Bret a sentirsi attratto (in seguito coinvolti a più riprese in amplessi meno legati violenza e sopraffazione di quanto ci si attenda dal vecchio Ellis). I loro destini si legano con l’arrivo a scuola di Robert Mallory, che sembra avere più di un tratto in comune con The Trawler, anche se i nomi originali – classico stratagemma per rinforzare l’dea di realtà – a quanto pare, sono stati cambiati.

Emerge subito una differenza non da poco con i suoi lavori precedenti. BEE racconta una storia immersa nel passato, dando conferma di quello che si può immaginare come un ripiegamento, seguìto alla classica crisi di mezza età, nel non riuscire a porsi più come acuto indagatore del proprio tempo, e nel tornare all’età – la giovinezza, sempre – che lo aveva consacrato, ma anche cristallizzato, come voce di una generazione.

The Shards, a questo stadio, si muove ancora in uno spazio ibrido, che attraverso il podcast ha consentito a Ellis di “testare” le reazioni del pubblico e valutare gli effetti dalla sua idea in divenire. Assomiglia più alle prove generali di un progetto di libro, che non a una sua “traduzione” orale. Viene da credere – e un po’ da sperare – che la versione cartacea (se e quando arriverà), possa distaccarsi da questo format e restituirci così la brillantezza, e l’efficacia, di Bret Easton Ellis quando si dedicava solo a quello che sa fare meglio: scrivere romanzi.