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Black nerd

Nell'era Obama, la comicità nera americana si è scoperta imprevedibilmente "bianca". Ecco come

03 Aprile 2012

Qualche tempo fa Comedy Central ha lanciato un nuovo sketch show, Key & Peele. A parte il successo della premiere, la cosa che ne ha fatto parlare sui media è stato il carattere dichiaratamente “birazziale” del programma. Questo termine così asettico e politically correct sta a significare semplicemente che i due sono sia bianchi che neri (oppure né l’uno né l’altro) e, in termini di comicità, che è loro permesso parlare di stereotipi razziali, ma che lo fanno in maniera rigorosamente provocatoria e socialmente progressista. Ovviamente lo show non poteva che essere paragonato all’ormai storico successo abortito di Dave Chappelle, con l’Atlantic che è arrivato a definirlo proprio il Chappelle’s Show dell’era Obama (guarda caso un personaggio ricorrente nelle gag del duo). Ai tempi del predecessore l’attuale presidente Usa era solo all’inizio dell’ascesa che l’avrebbe portato a diventare il primo presidente (parzialmente) nero nella storia del paese, ma oggi sembra che con la sua elezione la comicità afro-americana stia evolvendosi oltre i propri confini tradizionali, e non solo in termini di mix melaninico.

Prendiamo un altro comico recentemente uscito con uno special su Comedy Central: Donald Glover (quello di Community). Glover, nella sua stand-up, si presenta come un “black nerd”, una figura che secondo lui era “illegale fino al 2003”. Lui per nerd non intende uno sfigato come lo Steve Urkel di Otto sotto un tetto, ma il senso lato e transitivo oggi più largamente accettato. Secondo l’ex scrittore di 30 Rock, infatti, anche Obama è un black nerd, e pure Kanye West, siccome gli piace “roba strana e specifica”.

Come Glover, anche altri comici afroamericani stanno emergendo in questi anni, da circuiti più o meno alternativi: Hannibal Buress, Wyatt Cenac, W. Kamau Bell, Victor Varnado. Alcuni fanno humor razziale, altri no, ma in generale hanno tutti un approccio decisamente in rottura con il trend degli anni ’90, dettato dalla sitcom dei fratelli Wayans In Living Color e dalla serie HBO Def Comedy Jam. Se la black comedy era diventata sguaiata e decisamente street, basata su performance energetiche e sul confronto aggressivo con il pubblico (oltre che sulla conferma e riappropriazione degli stereotipi comunemente associati con la cultura nera), la nuova generazione ci tiene meno all’etichetta cromatica certificata. Questo ottimismo è sicuramente un segno dei tempi e, sì, anche dell’era Obama, ma il black nerd era in nuce già da decenni nella cultura americana. Ecco una breve cronologia.

Negli anni ’60, in tempi di segregazione, sul palco si possono trovare sia Dick Gregory, fortemente legato ai movimenti civili, che Bill Cosby, invece deliberatamente non razziale nei contenuti. Secondo molti (tra cui il New York Times, che ne ha scritto immediatamente dopo le elezioni del 2008) negli anni ’80 il suo Cosby Show ha contribuito grandemente al cambiamento culturale che ha spianato la strada ad Obama, dando per la prima volta sulla tv nazionale l’impressione che i problemi e le tematiche familiari fossero le stesse aldilà del quartiere e del colore della pelle.

Sia Gregory che Cosby possono essere considerati precursori del black nerd, ma durante gli anni ’70 (gli anni della blaxploitation, del funk e della controcultura, nonché di Richard Pryor) e a seguire negli ’80 e primi ’90 (quando arriva Eddie Murphy e poi Def Comedy Jam, con l’influenza dell’hip-hop) il loro punto di vista passa in secondo piano.

A metà anni ’90, però, si manifesta già l’esigenza di prendere le distanze dagli stereotipi del gangsta rap e dello stile di vita autodistruttivo e superficiale promosso dai media. Nel 1996 escono sia The Boondocks, la strip di Aaron McGruder che esplora criticamente le contraddizioni della cultura nera, che Bring the Pain, lo speciale HBO di Chris Rock che segna una vera e propria svolta nella sua carriera, e non solo. Se prima Rock voleva fare l’Eddie Murphy, con il suo leggendario “Niggas vs. Black People” prende le distanze da tutto ciò che contribuisce a mantenere le masse afroamericane ignoranti e vittime di se stesse. Marcando la differenza tra “neri” e “negri” (con i secondi che sono la rovina dei primi), Chris Rock torna sui passi di Dick Gregory e, anche se con toni decisamente diversi, anche sugli intenti socialmente progressisti di Bill Cosby, suo grande ispiratore. E non è un caso se Donald Glover, nella sua mezz’ora su Comedy Central, fa una divertente imitazione del pezzo di Rock, provocatoriamente senza usare la “N word”.

Con la svolta del millennio, la generazione cresciuta ascoltando Bring the Pain non è ancora matura, ma l’identità dell’umorismo black è un argomento urgente. Nel 2000, Spike Lee (che nello stesso anno se ne esce con Bamboozled, floppone satirico low-budget che prende in giro l’abbrutimento culturale dell’intrattenimento nero) dirige The Original Kings of Comedy, una specie di stato dell’arte della comicità nera del momento in forma di mega concerto. I comici presenti sono Steve Harvey, Bernie Mac, Cedric the Entertainer e D.L. Hughley, tutti orgogliosamente ebonici e per niente nerd.

All’inizio degli anni ’10, però, mentre il Village Voice saluta “l’ascesa del black nerd” in sfere culturali più “alte”, le due voci più forti della comicità, non solo nera, sono il sempre più amato Chris Rock e Dave Chappelle, che in tv sfida le barriere del politically correct. Entrambi sono caratterizzati da un senso di responsabilità nei confronti della comunità (Chappelle più a posteriori: dopo il suo inaspettato abbandono di Comedy Central si troverà infatti da Oprah ad interrogarsi sulla responsabilità sociale dei propri sketch), ma anche da forti legami professionali e non con colleghi bianchi. Rock scrive, recita e dirige film con Louie CK, mentre il Chappelle’s Show viene scritto a quattro mani da Dave e dal compare caucasico Neal Brennan.

Nel 2008 (anno significativo) nasce un progetto di stand-up originariamente intitolato The Awkward Kings of Comedy (poi uscito su Comedy Central e in DVD come The Awkward Comedy Show). La tagline è “Comedy plus Blackness. To the nerd power” e il regista è il nero ma albino Victor Varnado, con performance di Hannibal Buress e altri. La differenza fondamentale tra gli Awkward Kings e gli Original Kings non sta tanto nell’orgoglio o nella coscienza sociale, ma nell’approccio più pacato alla stand-up e nella scelta di argomenti più alternativi, oltre ad un evidente abbandono dell’ebonics. Il fatto di essere albino è sicuramente un elemento importante nella stand-up di Varnado, ma Buress per esempio non parla praticamente mai di temi razziali. E con Glover e Key & Peele l’approccio alle differenze e alla necessità di apparire “black” a tutti i costi è sempre ironico.

Se è lontano l’abbattimento delle barriere tra cultura bianca e nera, sembra che la generazione dei black nerd odierni abbia assorbito la lezione di Cosby. A far loro ridere non sono più tanto le differenze (“i bianchi fanno così, i neri fanno cosà”), ma il fatto stesso che ci debbano essere. Si accontentano di raccontarsi come persone, senza fare da portavoce, e magari di fare loro l’imitazione di Obama. Perchè quella di Fred Armisen su SNL è imbarazzante.

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