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Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.
L’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix sta mandando nel panico tutta l’industria dell’intrattenimento La geografia del cinema e dalla tv mondiale cambierà per sempre, dopo questo accordo da 83 miliardi di dollari.
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Cosa ci fa la moda a Berlino

Mentre anche le fashion week più solide ripensano il loro modello, la capitale tedesca prova a trovare il suo spazio nel confuso panorama attuale.

26 Gennaio 2018

Non sono anni felici per le fashion week, soprattutto per quelle di lungo corso. New York e Londra sono in grande difficoltà (l’ultimo ad abbandonare la nave è stato Alexander Wang) perché sempre più marchi scelgono altri luoghi e modalità per presentare le proprie collezioni, Milano traballa pericolosamente mentre Parigi e il Pitti di Firenze, per ora, sembrano le manifestazioni che meglio reggono i colpi dei cambiamenti in atto. Contemporaneamente, sempre più attenzione viene rivolta dai media specializzati verso le “altre” settimane della moda, quelle che si tengono in luoghi più o meno lontani dal tradizionale perimetro che va dagli Stati Uniti alla Francia. La scorsa primavera avevamo raccontato l’interessante caso di Tbilisi, evento anch’esso parte del circuito sponsorizzato da Mercedes-Benz che, dal 15 al 18 gennaio scorsi, ha fatto tappa a Berlino. Che tipo di moda produce la capitale tedesca? E come si relaziona con le altre scene performative della città?

«Non esiste uno stile di Berlino» ha detto recentemente a Deutsche Welle Christiane Arp, direttrice di Vogue Germany e presidente del Fashion Council Germany (FCG, l’equivalente della nostra Camera della Moda), aggiungendo che – a fronte della globalizzazione del gusto – non esistono più specifici stili legati a specifiche città. «In fin dei conti, è la varietà [di persone e immagini] che rende attraente un posto come Berlino». Se è vero che mai come oggi il consumatore è l’ago della bilancia ultimo delle strategie dei marchi e i designer sempre più in grado di costruire la propria immagine attraverso i nuovi strumenti digitali, l’opinione di Arp su Berlino è in parte provocatoria, soprattutto in un città che è diventata brand suo malgrado, una città il cui problema è che «tutti pensano essere più cool di quanto in realtà non lo sia», come ha raccontato Jessica Hannah di Sleek Magazine a Osman Ahmed su Business of Fashion.

Fashion HAB Runway Moods - Fashion Council Germany 3

Fondata nel 2007, la settimana della moda berlinese ha sempre stentato a decollare. Non è un caso che, dieci anni dopo, la manifestazione si presenti all’appuntamento delle collezioni per l’Autunno Inverno 2018 con un’edizione rinnovata, che punta da una parte a stimolare l’interesse di buyer e giornalisti intorno ai marchi tedeschi e dall’altra a consolidare il mercato interno, la cui forza è confermata dal recente studio di Sistema Moda Italia per Pitti Immagine, secondo cui la Germania è il primo traino europeo per l’export del made in Italy. Svolgersi in contemporanea con Parigi non dev’essere di grande aiuto nella ricerca di rilevanza mediatica, ma come mi spiega Caroline Pilz, Head of Product Placement and Fashion Sponsoring di Mercedes-Benz, «Berlino non deve certo fare Parigi». Piuttosto, l’intenzione (ambiziosa) è quella di trasformare la città in punto di riferimento per i designer emergenti, una piattaforma dove lo spirito avanguardista della città, quello almeno esistente, possa concretizzarsi com’è successo in altri campi, dalla musica all’arte contemporanea.

Ed è interessante, poi, registrare l’operazione di Mercedes-Benz, che a Berlino gioca in casa, marchio che da più di vent’anni è presente nel mondo della moda con oltre sessanta diverse manifestazioni in più di quaranta Paesi. Sembrerà strano che una casa automobilistica sia presente nel consiglio di amministrazione del FGC, ma secondo Pilz è la logica conseguenza dell’essersi trasformati da “semplice” sponsor a partner attivo dell’industria. Nel 2009, ad esempio, Mercedes-Benz ha lanciato l’International Designer Exchange Program, che promuove lo scambio di creativi tra le diverse manifestazioni e permette ai designer di farsi conoscere e raggiungere nuovi consumatori. E la moda non è la sola area di interesse in cui Mercedes-Benz ha deciso di “sforare”: nel 2017, infatti, l’azienda ha stretto una partnership con ESL, il più importante campionato internazionale di videogiochi, sancendo così il suo primo grosso investimento negli e-Sports (sport elettronici).

Fashion HAB Installation - Fashion Council Germany 23

Per celebrare il rilancio di Berlino, invece, si è scelto di «riportare a casa» Damir Doma, stilista di origine croata ma naturalizzato bavarese, che da qualche anno sfila con successo a Milano. Il suo show è stato l’evento della settimana berlinese, se non fosse altro per la location: l’Halle am Berghain, in collaborazione con il club più famoso del mondo (no, la sfilata non si è tenuta dentro al Berghain, spazio che rimane riservato alle attività del locale nei giorni di apertura, ma nelle “sale” adiacenti dell’ex centrale elettrica). E in virtù di quella formula mista che caratterizza alcuni dei più interessanti concept store della città, da Voo Store a Darklands passando per Andreas Murkudis, una delle cose più riuscite è stato il Berliner Salon presso il Kronprinzenpalais, uno dei palazzi storici che si trova sul viale Unter den Linden e che una volta ospitava gli eredi al trono. Una mostra collettiva ha riunito stilisti, interior designer, fotografi e maestri della porcellana, tutti tedeschi: da segnalare i marchi di abbigliamento da donna Horror Vacui, che riadatta i motivi floreali delle camicie bavaresi all’estetica Vetements, Peter Schaad e Belize. ZEIT Magazine e Vogue, poi, hanno organizzato un talk di apertura intitolato “The Relevance of Fashion”, al quale hanno partecipato il Ceo di Birkenstock Oliver Reichert, Brunello Cucinelli, Linda Loppa del Polimoda e l’editore Gerhard Steidl fra gli altri.

In molti si sono chiesti perché la Germania, considerate le potenzialità del suo mercato, non abbia mai avuto un ruolo predominante nell’industria della moda. Come dimostra l’impegno di Mercedes-Benz nel sostenere lo sviluppo delle piattaforme “locali” – che devono sempre trovare le strategie che meglio rispondono ai loro interessi, sottolinea Pilz – e lo stesso caso di Tbilisi, anche i mercati più periferici possono infatti catturare l’interesse internazionale, soprattutto in un momento in cui lo stesso modello della fashion week sembra funzionare meglio per le piattaforme più nuove che per quelle del circuito tradizionale. I motivi dell’assenza della Germania (e di Berlino) dal discorso sulla moda sono stati molteplici, a partire dal fatto che i marchi tedeschi globalmente rilevanti come Hugo Boss, Escada e Jil Sander, hanno sempre preferito sfilare altrove invece che in casa propria, fino alla carenza e alla frammentazione della filiera produttiva, distrutta dall’avvento del nazismo (perché prima, e basta guardare Babylon Berlin per rendersene conto, era tutta un’altra storia), che ancora oggi spinge molti giovani designer a scegliere manifatture turche o polacche.

Berlino d’altronde è una città che, come tutte le capitali, è lontanissima dal binario del Paese in cui si trova e non ne rappresenta per niente lo stile – la Germania è pur sempre il regno dei marchi medio-alti come Gerry Weber, di cui nessuno ha sentito parlare al di fuori dei confini tedeschi – e il cui vero problema sembra la sostanziale mancanza di strutture che possano sostenere le attività imprenditoriali, unita all’attitudine a considerare la città di per sé uno status e una generalizzata indifferenza per la moda. «È difficile trovare un’altra capitale europea in cui la gente si veste così male», mi dice un’amica che ci vive. Eppure gran parte del fascino di Berlino deriva proprio da quell’indifferenza, da un certo compiaciuto innamoramento verso il fallire piuttosto che il farcela, che è allo stesso tempo ispirazione e freno per la costituzione di un’industria vera e propria. Le storie di successo di giganti come adidas, Birkenstock e Zalando, il variegato panorama dell’editoria di qualità, indipendente e non, di Berlino (si pensi a 032c e il già citato Sleek) e Amburgo, i concept-store della capitale, tra i più interessanti in Europa, e i piccoli marchi intelligenti come Ottolinger, Mykita e il collettivo di GmbH fra gli altri, dimostrano abbastanza chiaramente che un fermento creativo legato alla moda eccome se c’è. Se sia una fashion week il modo migliore di catturarlo saranno i posteri a dircelo.

In apertura e nel testo: location e un momento della sfilata di Damir Doma, installazione del FASHION HAB presso l’Halle am Berghain. Photo Courtesy of Berlin Fashion Week.
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