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14:45 lunedì 17 novembre 2025
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.

Il declino dell’impero barberiano

Da quelle sul Green pass alle ultime dichiarazioni sul gender gap: perché da più di un anno Alessandro Barbero si sta impegnando a distruggere il suo stesso mito?

22 Ottobre 2021

Il passaggio fondamentale dell’ormai famigerata intervista di Alessandro Barbero a La Stampa non è lo screenshot che è girato moltissimo sui social, quello sulle «differenze strutturali tra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi». A un certo punto Barbero risponde a una domanda di Silvia Francia sulle polemiche seguite all’opinione espressa dal professore sul Green pass, e dice che «le critiche ho evitato di leggerle e di ascoltarle». Si capisce. Se Barbero le critiche le avesse lette e ascoltate, avrebbe evitato di pestare tre volte la stessa merda. La merda è il dibattito pubblico italiano. Una merda sempre cangiante – una volta son le foibe, un’altra il Green pass, un’altra ancora il gender gap – ma sempre merda. Norberto Bobbio diceva che c’è bisogno di tornare ai classici, cioè al passato, per capire i contemporanei, cioè il presente. Tra i classici c’è questo verso di Jacques Prévert: «Non bisogna lasciar giocare gli intellettuali con i fiammiferi». Non è una critica, professor Barbero, quindi mi auguro lei la legga.

«Posso rispondere da cittadino che si interroga sul tema», dice Barbero prima del patatrac sulla mancanza di aggressività, spavalderia e sicurezza di sé delle donne. Evidentemente il professore non ha capito come funziona oggi il dibattito pubblico: non vogliamo cittadini né interrogativi né temi, vogliamo ambassador – si dice così, giusto? – delle certezze che abbiamo già. Aggressività, spavalderia e sicurezza di sé, appunto. «Se ci sono poche donne ingegnere o generali, la colpa è di quelli come lui, degli uomini in posizione di potere e in particolare degli educatori», ha scritto Stefano Feltri in un pezzo pubblicato ieri sul sito di Domani. Niente di meno. Barbero avrebbe dovuto sapere che la risposta a quella domanda di Francia sta scritta su un muro di via de’ Carracci, una delle uscite della Stazione Centrale di Bologna: «Andrà tutto bene quando l’ultimo maschio di merda sarà morto», altro che vale la pena chiedersi e credo sia interessante rispondere. Il patriarcato esiste? Sì. È un raffinato e pervicace sistema di repressione delle donne, basato anche su differenze biologiche che poi diventano norme, consuetudini, aspettative in società e cultura? Lo scopriremo quando l’ultimo maschio di merda sarà morto. Se avessimo avuto voglia di fare il discorso da fare e di prendere dalle parole di Barbero lo spunto che le nostre intelligenze meritavano, cioè quello su una società che richiede alle donne lo stesso carattere per il quale non vede l’ora di isolarle, sfotterle, condannarle, a questo punto avrei consigliato un’intervista di Hillary Clinton a Humans of New York. Siamo nel pieno della campagna elettorale del 2016 e Clinton spiega che: «Da giovane ho dovuto imparare a controllare le emozioni. Ed è un sentiero difficile da prendere. Perché bisogna proteggersi, bisogna tenere duro, ma allo stesso tempo non si vuole sembrare “distanti”. E talvolta penso di risultare più “distante” che altro. E se è questa la percezione che genero, allora me ne prendo la responsabilità. Non mi considero fredda o anaffettiva. Nemmeno i miei amici la pensano così. E neanche la mia famiglia. Ma se è questa la percezione che genero, allora non posso farne una colpa alla gente».

«Rischio di dire una cosa impopolare», dice Barbero nel mezzo della risposta che gli costa un altro pezzo di reputazione presso il “grande pubblico”. In quelle poche parole ho letto la fine del Barbero di cui aveva scritto Arnaldo Greco qui su Rivista Studio poco più di un anno fa: «[…] Barbero non si discute, si venera. Ciò che lo rende unico, infatti, non sono i numeri, ma l’adesione al suo stile e al suo impegno da parte dei suoi ascoltatori più assidui: Barbero non si ascolta, si aderisce alle sue parole». Aveva ragione, quindi immagino il problema di Barbero stesse lì sin dall’inizio: non si può avere ragione per sempre eppure viviamo i tempi in cui bisogna avere ragione sempre. L’alternativa è non avercela avuta mai e, soprattutto, non avercela mai più. Ieri girava molto sui social media una versione ritoccata della risposta della discordia: si legge, più o meno, «Premesso che io sono uno storico e quindi il mio compito è quello di indagare il passato e non il presente o futuro, non posso rispondere». Greco scriveva che uno dei pregi, forse il pregio di Barbero, è stato essere un grande umanista in un mondo che tende a iperspecializzare il sapere. Appunto. «Barbero ha la capacità di rispondere, o almeno di provare a rispondere, alle domande che ci stanno a cuore». Fesso lui, avrebbe fatto meglio a seguire il consiglio di quella vecchia volpe di Borges: «Il vero intellettuale rifugge dai dibattiti contemporanei: la realtà è sempre anacronistica», disse uno capace di sopravvivere alle cene eleganti con Pinochet. Non giocare con i fiammiferi, insomma.

Premesso che io sono uno storico […] non posso rispondere. Mi è tornata in mente una cosa detta anni fa da Chimamanda Ngozi Adichie: «La paura di offendere, la paura di scompigliare i prudenti livelli del comfort, diventa un feticcio». Quando questa cosa succede, il punto della discussione smette di essere la verità e diventa l’abitudine. «Spesso mi è stato detto che non dovrei parlare perché sono soltanto una scrittrice. Ma io sono una cittadina tanto quanto sono una scrittrice». Premesso che io sono uno storico […] non posso rispondere. Mi è tornato in mente un bellissimo pezzo scritto su Il Foglio da Sabino Cassese: si chiama “Il tramonto degli intellettuali”, ma avrebbe potuto chiamarsi anche “La tentazione iperspecialistica”.

È dal 23 gennaio del 2020 che Barbero pare impegnato nella distruzione del suo stesso mito. L’opera di picconamento cominciò con un’intervista al Fatto Quotidiano in cui spiegava al Parlamento Europeo la differenza tra una via Stalingrado e una via Hermann Göring. Proseguì, sempre sul Fatto, con la battaglia «vuota e assurda» contro le statue nelle piazze americane (esportata poi anche in Italia, ovviamente senza lo sforzo fisico e drammatico dell’abbattimento del monumento). Poi le foibe e apriti cielo, il veterocomunista che ancora aspetta la rivoluzione che abbatte «il capitalismo disgraziato» della nostra epoca. Poi il Green pass, e l’accusa strisciante di essere il cattivo maestro dei compagni Fiore, Castellino e Passaro che danno l’assalto alla sede romana della Cgil. Adesso il gender gap, il grande slam dell’impresentabilità è completato. «Boomer, maschio bianco, imperialista, razzista e tutto l’armamentario di accuse preconfezionate senza argomenti», diceva Greco delle accuse che Barbero riusciva a evitare muovendosi dentro il dibattito pubblico come Neo dentro la matrice: in bullet time, lento ma veloce, medievalista e presciente, attuale e invulnerabile grazie a un’aneddotica infinitamente vasta e adattabile.

Forse il professor Barbero sapeva tutto dall’inizio, sapeva che così passa la gloria del mondo e che ogni epoca ha la sua gloria e ogni tempo ha il suo “così”. «Ho dubbi sul fatto che la Storia piaccia perché la gente ha voglia di scappare dall’attualità. Semplicemente, il passato è un posto divertente in cui passare un po’ di tempo. Poi noi ci illudiamo che serva anche a imparare qualcosa, ad aprire un po’ le teste». Ci illudiamo, infatti.

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