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In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Perché Sherlock Holmes si chiama così

26 Gennaio 2017

«Una matassa ingarbugliata», scrisse Arthur Conan Doyle in uno dei suoi quadernetti rossi nel 1887, o poco prima, mentre iniziava a formarsi nella sua mente la trama di un racconto poliziesco che stava per iniziare a scrivere. La storia di Sherlock Holmes, raccontata da LitHub, ha il pregio di dimostrare come la più grande e celebre saga di gialli della storia sia nata a partire da ambienti e gusti personali di Doyle, persone con cui era venuto a contatto, nomi che doveva aver sentito o letto. La «matassa ingarbugliata» di cui sopra, ad esempio, era probabilmente un riferimento a un romanzo del suo genere preferito uscito nel 1867, Il dramma d’Orcival del francese Émile Gaboriau. In un passaggio del libro – tradotto in inglese nel ’71, quando Doyle aveva appena dodici anni – si leggeva: «The difficulty is to seize at the beginning, in the entangled skein, the main thread, which must lead to the truth through all the mazes, the ruses, silence, falsehoods of the guilty».

London 2012 - UK Landmarks

Poco dopo, quello che doveva essere il titolo d’esordio dello scrittore cambiò in «Uno studio in rosso» (A Study in Scarlet), spiegato nel quarto capitolo dell’opera, quando Holmes dice a Watson: «I might not have gone but for you, and so have missed the finest study I ever came across: a study in scarlet, eh?». Nella scelta di questo nuovo titolo c’era un preciso statement artistico, che avvicinava Doyle alla corrente dell’estetismo: parlare di uno «studio», cioè una prova, un work in progress, in un’opera finita era considerato quantomeno inopportuno all’epoca, ma non per chi si rifaceva al motto «l’arte per il gusto dell’arte».

Fin dall’inizio, scrive LitHub, Doyle pensò il suo romanzo a partire da scene distinte. Per il suo protagonista, un giovane investigatore suo coetaneo (lo scrittore all’epoca aveva 27 anni) che sapesse applicare il rigore scientifico alle indagini criminali di quel periodo, molto più vaghe e spezzettate rispetto a quelle oggi. Il riferimento ideale per l’atteggiamento da attribuire al personaggio si rivelò essere Joseph “Joe” Bell, un medico e docente all’Università di Edimburgo di cui Doyle era allievo e discepolo. Un osservatore formidabile, capace di rivelare particolari dei suoi interlocutori con un solo sguardo.

London 2012 - UK Landmarks

Ma perché i nomi scelti furono proprio “Sherlock Holmes” e “John Watson”? Per il primo, l’autore del romanzo non voleva nomignoli di sapore dickensiano che indicassero le qualità straordinarie del suo protagonista. Dopo aver scorso liste, registri di luoghi e di persone, a Doyle venne in mente “Sherrington Hope”, e lo appuntò. Presto, tuttavia, il cognome divenne un omaggio a un autore molto amato all’interno della sua famiglia, Oliver Wendell Holmes, nonché un riferimento al titolo di una nota storia della Londra vittoriana, uscito proprio nell’anno dell’Esposizione universale del Crystal Palace, Holmes’s Great Metropolis: or, Views and History of London in the Nineteenth Century. Sherrington divenne prima “Sherrinford”, ma questo nome continuava a non soddisfare appieno Doyle. La cronaca nera del tempo raccontava spesso le imprese investigative di due ispettori della polizia di Londra: William Sherlock, della divisione L di Lambeth, e James Sherlock, della divisione B di Rochester Row. Nessuno può essere certo del collegamento, ma in qualche modo Sherrinford Holmes divenne Sherlock Holmes.

Quanto al suo assistente, lo sparring partner John Watson, Doyle aveva mire ambiziose per il co-protagonista, che non voleva una semplice spalla in grado di esaltare le doti di Holmes: “Ormond Sacker”, come l’aveva chiamato all’inizio, doveva essere la risposta ordinaria alle fisime straordinarie di Sherlock, e completarlo in qualche modo. Scartato il nome precedente, dai toni troppo altezzosi, Doyle si orientò quindi sul nome con cui conosciamo il co-protagonista oggi, perché “John Watson” suonava come il nome di un cittadino inglese medio di quel periodo.

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