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Andrea Purgatori, giornalista vero

A 70 anni è morto uno dei più noti e apprezzati cronisti italiani. Di lui restano le tantissime cose scritte in cinquant'anni di carriera, tra quotidiani, televisione e cinema.

di Gianmaria Tammaro

Andrea Purgatori era un fuoriclasse, lo dicono tutti. Lo dicono quelli che ora lo stanno ricordando, come Paolo Conti sul Corriere, che ha fatto il ritratto di un giornalista attento, puntuale e innovativo; o come Alessandro Aronadio, che sulla sua pagina Facebook ha parlato di tutte le volte che ha lavorato insieme a Purgatori, per una o due pose nei suoi film. Ha scritto, e lo citiamo perché è una definizione perfetta, che era un «jukebox di storie straordinarie».

Purgatori non si risparmiava. Non era uno che si negava. Era curioso. Una volta ha partecipato a un’intervista su Twitch, con Dario Moccia e si è prestato al gioco. Non sapeva cosa aspettarsi perché, per lui, quello era un mondo nuovo, ancora inesplorato. Ma non aveva detto di no. Aveva capito il potenziale del mezzo e la possibilità di avvicinarsi a un pubblico più giovane: a ogni domanda rispondeva puntualmente, con cura; e non si tirava mai indietro davanti allo scherzo. E in questo era semplicemente inamovibile.

Aveva investigato su Ustica e aveva fatto in modo che il caso non si chiudesse tra menzogne e depistaggi. Aveva coperto il caso Moro e scritto di terrorismo nazionale e internazionale. Si era occupato di mafia, e se ne era occupato solo come i più bravi sanno fare: cercando i dettagli, dando una tridimensionalità ai racconti, ai protagonisti, alle vittime e ai carnefici; avvicinando, e non intortando, gli spettatori e i lettori. Ha collaborato con Corrado Guzzanti ed è stato, con la sua voce, un simbolo. Con Il caso Scafroglia avevano anticipato i tempi, avventurandosi in una dimensione che ancora adesso, ancora oggi, resta incomprensibile per la sua capacità di ossessionare le persone: la cronaca nera. In una puntata di Propaganda Live ha intervistato Padre Pizarro, e non è uscito mai, nemmeno per un istante, dal personaggio.

Era uno che sapeva divertirsi, Purgatori. E se ha fatto tanti film come attore è stato precisamente per questo motivo: perché voleva divertirsi, perché voleva stare a contatto con una materia che gli piaceva e lo appassionava profondamente come il cinema. Per la sua sceneggiatura de Il giudice ragazzino, ha vinto anche un Globo d’oro. Con Sandro Petraglia e Stefano Rulli ha scritto Il muro di gomma di Marco Risi; e con Jim Carrington, Maurizio Cerino e lo stesso Risi, Fortapàsc su Giancarlo Siani, con uno straordinario Libero De Rienzo nei panni del protagonista. Libero, ha raccontato Purgatori, aveva preso a cuore questa storia e si era completamente trasformato: lo vedevi nel volto, lo vedevi nello sguardo.

È stato uno dei fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, ha interpretato sé stesso in The Bad Guy di Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana, e ha saputo muoversi sulla sottile linea della serietà. Di qua, e lo sapeva, era troppo. Di là, invece, era troppo poco. E allora Purgatori saltava, pizzicava, si adattava – o adattava il mondo che lo circondava alle sue esigenze, alla sua visione. Il cinema, alla fine, gli permetteva di fare esattamente questo. Aveva fatto lo stesso anche alle cronache di Roma, come ha ricordato Conti. Se ne è andato lo stesso giorno in cui, quattro anni fa, se ne andò Mattia Torre. Tutti e due erano maestri di parole, ognuno nel proprio campo e ognuno a modo proprio, e si conoscevano, si volevano bene e si rispettavano.

Purgatori ha fatto la storia del giornalismo in Italia. È una verità impossibile da contestare o da mettere in dubbio. Diceva: ci vuole preparazione per fare questo mestiere, ma per un giornalista spesso è tutta una questione di culo. I fuoriclasse sono così: non sono arroganti, non tengono per sé i trucchi e le intuizioni; li condividono con gli altri, e finiscono per fare da maestri anche se non è quella la loro intenzione. Durante gli esami di maturità, ricordava Purgatori, aveva preso il punteggio più basso al tema di italiano. Perché, diceva l’insegnante, questo non è un tema, è un articolo. E da allora, scherzava Purgatori, qualcosa deve essere attecchito e deve aver messo radici. Insisteva: ci vuole curiosità, per fare questo lavoro. E ci vuole pure l’umiltà per capire che altri, prima e meglio di noi, possono arrivare alle persone con il loro linguaggio.

È importante, ribadiva, sintetizzare nuovi approcci e nuove prospettive da cui guardare il mondo e le cose. L’unico modo per dare spazio ai fatti e alla loro autenticità, diceva Purgatori, è insistere. E anche se insistendo si rischia di diventare antipatici e di essere visti come scocciatori, bisogna andare avanti. Eccolo, allora, Andrea Purgatori: deciso, inflessibile, professionale, innamorato del proprio lavoro, scocciatore per il bene della verità.