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19:47 lunedì 27 ottobre 2025
Alcune AI starebbero sviluppando il “survival drive”, un istinto di sopravvivenza simile a quello che fece impazzire Hal 9000 in 2001: Odissea nello spazio Alcuni studi mostrano come molte intelligenze artificiali sabotano i tentativi di spegnerle, come Hal9000 di «2001, Odissea nello spazio».
L’Albania non solo ha una ministra AI, ma questa ministra AI è anche incinta di 83 figli AI Ogni "figlio" di Diella fungerà da assistente personale per uno degli 83 parlamentari del Partito Socialista d’Albania.
La nuova traduzione di Einaudi del titolo de Le metamorfosi di Kafka sta facendo molto discutere La casa editrice ha spiegato che il nuovo titolo è una traduzione più precisa e fedele dell'originale "Die Verwandlung".
Le elezioni in Irlanda le ha vinte Catherine Connolly, un’outsider, psicanalista e pro Pal Convinta antimilitarista e pacifista, durante la campagna elettorale ha ricevuto anche l’endorsement dei KneeCap.
È morto Björn Andrésen, «il ragazzo più bello del mondo» diventato famoso per Morte a Venezia L’attore svedese aveva settant’anni e per tutta la vita ha lottato con la difficile eredità del film di Luchino Visconti.
I ladri del Louvre sono stati catturati anche perché hanno lasciato indietro un sacco di indizi, tra cui dei guanti, un casco, un gilet, una fiamma ossidrica e un walkie-talkie Un sospettato è stato fermato all'aeroporto Charles de Gaulle mentre tentava di partire per l'Algeria, l'altro mentre si preparava a partire per il Mali.
Da quando è uscito “The Fate of Ophelia” di Taylor Swift sono aumentate moltissimo le visite al museo dove si trova il quadro che ha ispirato la canzone Si tratta del Museum Wiesbaden, si trova nell’omonima città tedesca ed è diventato meta di pellegrinaggio per la comunità swiftie.
Yorgos Lanthimos ha detto che dopo Bugonia si prenderà una lunga pausa perché ultimamente ha lavorato troppo ed è stanco Dopo tre film in tre anni ha capito che è il momento di riposare. Era già successo dopo La favorita, film a cui seguirono 5 anni di pausa.

La fama di Orsini è una maledizione soprattutto per lui

Fino a un mese fa nessuno sapeva chi fosse, oggi interpreta una funzione predefinita dei media di cui non sembra essere consapevole.

04 Aprile 2022

Forse varrebbe la pena essere più indulgenti con quel professore che, da quando ha cominciato ad apparire per parlare di guerra, si è praticamente immolato come bersaglio. Non solo perché è stato un errore privarlo di un ingaggio già concordato o perché (al solito, verrebbe da dire) la libertà di dire stupidaggini non può valere solo per gli amici, ma soprattutto perché gli è capitata in sorte una delle peggiori maledizioni che si possano augurare: la fama improvvisa.

Sono andato a controllare cosa accadeva sulla sua bacheca Facebook fino a poche settimane fa. Non con la pretesa del volenteroso che scrolla i profili all’indietro nel tempo alla ricerca di incoerenze e poi le mostra al pubblico con l’entusiasmo di chi urla “Tana!”, ma per verificare l’incremento dell’interesse nei confronti delle opinioni del professore. Un post pubblicato esattamente un anno fa che segnalava l’uscita sul Messaggero della sua rubrica settimanale raccoglieva 17 mi piace e nessun commento. (Un po’ più fortunati gli auguri di Pasqua che, come insegna ogni esperto di engagement social, solo qualche giorno dopo ottenevano maggior attenzione e si fermavano a un passo dall’importante soglia psicologica dei 100 mi piace). Al contrario gli ultimi commenti sulla guerra raccolgono oltre diecimila mi piace, mille condivisioni, centinaia di commenti. Rabbia, stupore, indignazione per ogni sua ospitata in tv, ogni articolo e ormai perfino per ogni intervento in oscuri convegni.

Non serve essere un moralista dell’antica Roma o Jean Baudrillard (“Niente varrà mai quanto lo sguardo sperduto della salumiera che ci ha visto in televisione”), per notare che, solo nell’ultimo lustro, abbiamo assistito alla rovina della reputazione di decine di altre persone (migliori? Peggiori? Giudichi ognuno secondo i propri standard) esposte d’improvviso alla tv, ai social e alla stampa. Abbiamo osservato increduli al tracollo del consenso di uomini politici (spesso, peraltro, un consenso costruito proprio con gli stessi mezzi superficiali), ma non sono riusciti a gestire la popolarità storici dell’arte di destra, come storici dell’arte di sinistra, concorrenti del Grande Fratello o filosofi, giornalisti, web-star prestate al piccolo schermo, tifosi di calcio di professione e commentatori sportivi. Non è inevitabile, ovviamente, non capita necessariamente a tutti, ma si può riconoscere un tratto comune anche nelle parabole di persone molto diverse.

Arriva, infatti, un momento in cui la continua richiesta di un’opinione anticonformista, scomoda o, il più spesso delle volte, solo scontatamente anticonformista trasformi certe persone in “attanti”. L’attante è, in narratologia, la persona che interpreta una funzione predefinita e, oggi, sui media italiani c’è tutto un fiorire di attanti, per questioni futili come per questioni capitali. (Il circo mediatico comprende social, stampa e tv al punto che è difficile ricostruire com’è nato un personaggio). Diceva Carmelo Bene che il bello di certi tennisti, lui si riferiva a Edberg, era che sembravano essere giocati dal tennis, invece di giocare a tennis. Ecco, certi opinionisti sembrano essere giocati dal dibattito culturale (o quel che è, ci siamo capiti) piuttosto che muoverlo in prima persona. Sono parlati, più che parlare. Offrono l’opinione, le prese di posizione, la simpatia o l’antipatia di cui c’è bisogno.

È naturale che i media sfruttino questo meccanismo per costruire ascolti, stupisce semmai scoprire che chi ottiene successo in certi ruoli spesso non si renda conto di partecipare a una messinscena con quella funzione. (Abbiamo anche scoperto che qualcuno confonde l’essere antipatico ai più col maccartismo, dimostrando oltretutto delle notevoli lacune in storia che fanno dubitare anche delle capacità di studioso su altri argomenti). Sappiamo bene tutti che l’unica soluzione possibile per rompere il meccanismo sarebbe rinunciare alla reazione indotta da ogni apparizione dell’attante, ma sono meccanismi atavici, non è semplice.

È spiacevole dire che ci sia qualcosa di Martin Scorsese che è invecchiata male. Ma purtroppo almeno un film c’è: Re per una notte. Possiamo essere abbastanza certi che se lo rigirasse oggi, Scorsese cambierebbe qualcosa della trama: il comico che vuole apparire a tutti i costi ed è disposto a sacrificare tutto pur di riuscirci non sarebbe più, per il conduttore televisivo, del film qualcosa da scartare, ma l’elemento da sacrificare perfetto.

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