Stili di vita | Consumi
L’invasione degli abiti piastrella
Ricordo lontano di abiti griffati, sono ormai ovunque e definiscono le vacanze (e i contenuti social) di tanti turisti in vacanza nel nostro Paese.
Ci sono 34 gradi, si suda, ma per fortuna tira un po’ di vento. Positano è costeggiata da un’unica strada, piccola e tortuosa, ma molto trafficata, perché è l’unica. L’unica vera via in un susseguirsi di borghi fatti di scale, arroccati sulle rocce del Golfo. Auto, moto, autobus carichi di turisti, ma anche tir e furgoni delle consegne, si susseguono uno dopo l’altro. A rendere la “statale” ancora più stretta sono i dehor di ristoranti italiani, in cui i buttadentro mi parlano solo in inglese. Non solo, il percorso è reso meno praticabile anche da carovane a piedi che, capeggiate da una bandierina, si spostano tra un tour e l’altro in fila indiana, costeggiando il promontorio dirette verso il prossimo belvedere, lo scenario perfetto per il prossimo post. Cercando di superare una carovana, finisco in mezzo alla carreggiata, e rischio di finire sotto una Vespa a noleggio. Ho parcheggiato la macchina dove ho trovato – cioè lontano – e sono di fretta perché ho un appuntamento per un’intervista. Sono in uno dei posti più belli del mondo. Ma sotto il sole, un senso di angoscia mi assale. Il fatto è che tutti attorno a me sembrano essere in vacanza. Anzi, sono davvero tutte in vacanza, le persone intorno a me. Più avanzo, più mi rendo conto di cosa ha davvero triggerato la mia inquietudine.
Un unico, straziante outfit spunta ad ogni angolo di Positano. È l’onnipresente “abito piastrella”, che sembra particolarmente popolare tra le turiste straniere (e non solo, ovviamente), che lo trovano “romantico” e “molto italiano”. È stata questa la risposta che ho ricevuto quando ho chiesto, a una donna di 33 anni, perché le piacesse quell’outfit, che tanto ce l’avevano tutte. Ovviamente non era la prima volta che notavo la diffusione del pattern “maiolica”, un leitmotiv di tutte le destinazioni costiere più turistiche del Sud Italia. Ma a Positano – dove ho resistito un giorno e mezzo prima di fuggire sopraffatta da una sensazione apocalittica – varianti dell’abito piastrella sono disponibili ovunque e per tutte le tasche. Tutti i negozi del centro storico, comprese le tabaccherie, vendono la propria versione. Ci sono quelle molto cheap (uguali a quelle che si trovano su Aliexpress) e le più eleganti, come quelle proposte dallo chicchissimo Emporio Sirenuse. C’è la versione caftano a manica lunga, da contadinella, con maniche a sbuffo, a tubino. I colori sono il bianco, il blu, il giallo limone (ovviamente) e altre tonalità di azzurro. Il pattern, che occasionalmente include elementi floreali o limoni (ovviamente), è un generico mix di Azulejo portoghesi e maioliche siciliane, un’etichetta estetica un po’ posticcia che fa sembrare le masse di ragazze che li indossano il cosplay di un’idea di femminilità italiana rimasticata da un’intelligenza artificiale.
Sento un odore tossico emanare da queste masse uniformi, accalcate nei minuscoli viottoli di un paesino di quattromila abitanti: evoca l’idea spaventosa e distopica che possano esistere esseri umani prodotti in serie. Se avete visto La Donna Perfetta con Nicole Kidman – dove la protagonista si ritrova in una ricca, inquietante comunità con un torbido segreto – capite di cosa parlo. Dopo aver notato le “Tile-Girl” a Palermo (in minor concentrazione) e a Capri, a Positano era impossibile muoversi senza incrociarne almeno quattro, cinque alla volta. Non mancano le bambine-piastrella, abbinate alle madri. In fila al Franco’s Bar ne ho contate otto; altre sono entrate mano a mano che il servizio del bar procedeva e la fila sfumava. Impossibile contarle per strada o nei pressi dei panorami più fotogenici.
Come in un Larp (Live Action Role Playing, giochi di ruolo dove i partecipanti mettono in scena storie fantasy in ambientazioni reali, interpretando personaggi di fantasia attraverso specifici codici), migliaia e migliaia di loro si accalcano in spazi angusti, procedendo pazientemente in fila indiana, rischiando di rimanere intrappolate nei viottoli più stretti e nelle scalinate più frequentate. Nei Larp, i giocatori possono vestirsi come il loro personaggio preferito e portare con sé un equipaggiamento appropriato. Queste maioliche svolazzanti con cappelli di paglia a tesa larghissima passeggiano scattandosi selfie, inciampando nei sampietrini del centro storico, e sudando per portare il luggage di due settimane in salite abbarbicate sulle rocce; posano davanti a spritz e pasta al pomodoro, sorprese da quanto un piatto possa essere so simple yet so delicious. Ma a cosa stanno giocando queste figure travestite? A cosa stanno cercando di assomigliare? Ovviamente, a qualcosa di italiano. Un’italianità immaginaria, dato che nessuna local si vestirebbe così.
Prima ancora che di Instagram e TikTok, penso sia un po’ per via di Dolce&Gabbana se il mondo ha pensato fosse desiderabile vestirsi come una piastrella bianca e azzurra. Come la maggior parte di ciò che gioca sugli stereotipi, anche la loro donna del Sud è stata definita irreale e problematica, ma di questo si è già molto discusso. Perciò non sospettavo che il tema “maiolica” fosse non solo rimasto popolare, ma si fosse ulteriormente diffuso. Emanate dall’originale griffato, varie versioni dell’outfit piastrella si sono moltiplicate come metastasi, masticate e digerite dagli algoritmi fino ad uscire dal feed per saturare le località più turistiche. L’“Italy Tile Dress” (è così che dovete cercare se ne volete uno affordable, su Etsy) è una storia vecchia, vista e rivista, e proprio per questo speravo in via d’estinzione.
Cosa c’è di romantico nell’assomigliare a delle maioliche siciliane (ma anche portoghesi o spagnole, tanto è uguale)? Sicuramente c’è chi non vuole perdere l’occasione di nutrire l’hashtag #Positano o #Capri con la propria rappresentazione, sempre uguale, della vita lenta. Ma forse c’è dietro anche qualcos’altro, che c’entra col potere di immagini virtuali nate e moltiplicatesi online di trasformare effettivamente la realtà, facendola somigliare a un prodotto cringe di OpenAI – o a un episodio di Black Mirror. Sono anni che andiamo avanti con la “Mediterranean Aesthetic”, sfruttata ma anche aiutata da film come A Bigger Splash (o la recente versione de Il Talento di Mr. Ripley), da brand, influencer, e dalla stessa industria turistica. Emanazioni più recenti sono la “Tomato Girl”, ma anche la “Lemon Girl” o il “Dolce far niente”, formatesi e consolidatesi attraverso TikTok, basate su una rappresentazione 4.0 della vita lenta alla Sophia Loren, dove trovano posto anche i vestiti a pois.
Ripostata in massa, questa italianità posticcia fatta di sole, mare, limoni e serenate si manifesta in folle in carne ed ossa, e sappiamo che può diventare un problema: recentemente a Santorini, il sindaco ha addirittura invitato i residenti a rimanere a casa a causa di una “emergenza turisti”. Stella morente dell’Estetica Mediterranea, l’abito piastrella è ancora qui, ed emette i suoi bagliori finali più forte che mai; La sua fastidiosa, insistente presenza potrebbe essere il segnale della sua decadenza definitiva. Ma a cosa lascerà il posto? Mentre entro nella hall, refrigerata e tranquilla, dell’hotel dove ho appuntamento, mi viene l’idea per un gioco: Perché non applicare a questo Larp mediterraneo le regole di una escape room, che renda effettivamente possibile (anche se difficile) scappare da questa realtà spaventosa? Funzionerebbe così: i personaggi – Tile Girl accompagnate dai loro boyfriend in calzoncini e camicia di lino a maniche corte (variazioni sul tema sono ammesse) — continuano a entrare in scena, e lo spazio, una ricostruzioni realistica di un antico borgo italiano con alcuni ostacoli (strade anguste, scalinate ripide, temperature sopra i 30) continua a riempirsi sempre di più, diventa sempre più affollato, rendendo il gioco progressivamente più impegnativo. I partecipanti dell’escape game, vestiti diversamente per riconoscersi, devono cercare una via d’uscita.