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Operazione freezer

Effetti non secondari della safety-car di Napolitano: una Repubblica presidenziale di fatto e due problemi non da poco per Berlusconi e Bersani.

01 Aprile 2013

Roma – L’operazione freezer magistralmente architettata da Giorgio Napolitano la notte del ventinove marzo, dopo ventiquattro ore di spericolate spifferate quirinalizie sulle imminenti dimissioni del presidente della Repubblica (era tutta tattica, ovviamente), ha, come si è visto, di fatto congelato questa diciassettesima legislatura. Ma, oltre ad aver infilato dentro una ghiacciaia il risultato elettorale, ha prodotto alcuni effetti importanti che avranno un peso rilevante non solo nei prossimi giorni ma probabilmente nei prossimi anni.

Al di là della formula irrituale della doppia bicamerale nominata da Napolitano per tentare di ricreare sotto forma di bonsai una sorta di semi governo del Presidente, l’intera operazione freezer portata avanti dal Capo dello Stato ha fatto fare un significativo e improvviso salto costituzionale al nostro paese, trasformandolo, nel giro di pochi mesi, da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale. In Italia, si sa, la formazione del governo non è contemplata all’interno della Carta costituzionale e dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi in tutti gli esecutivi nati a seguito di un risultato elettorale, il ruolo del Presidente della Repubblica è sempre stato più simile a quello di un notaio che a quello di un dominus – e il più delle volte il capo dello Stato, una volta dato l’incarico a un Presidente del Consiglio, non si è mai rifiutato di trasformare quell’incarico in una nomina utile a formare un nuovo governo.
Con Pier Luigi Bersani invece Giorgio Napolitano ha seguito una prassi diversa rispetto a quella adottata durante la prima repubblica e pur essendo il segretario del Pd il leader della coalizione arrivata prima alle elezioni, seppur di un soffio, il Presidente ha scelto, in modo irrituale, di togliersi i panni del notaio e di vestire quelli del dominus. Fino a vincolare il percorso del Presidente del Consiglio incaricato ad alcuni paletti, i famosi numeri certi, che non essendo stati soddisfatti non hanno permesso al segretario di tentare di fare quello che in passato hanno fatto molti presidenti del consiglio risultati vincitori alle elezioni ma senza una maggioranza parlamentare certa: andare alle Camere e verificare i numeri.

Napolitano, invece, ha detto di no, ha scelto di prendere in mano la situazione, “personalmente”, e – dopo aver già dato una spallata decisiva allo status di Repubblica parlamentare del nostro paese un anno e mezzo fa sfiduciando lui (e non il Parlamento) un Presidente del Consiglio eletto (era Berlusconi) e sostituendolo con un nuovo Presidente del Consiglio politicamente partorito dal Quirinale e non da Montecitorio – ha, con un altro gesto irrituale, prima congelato il risultato elettorale e in seguito fatto entrare sul circuito parlamentare una safety car direttamente guidata dal Capo dello Stato.
La safety car di Napolitano, che oggi si chiama Convenzione e domani potrebbe chiamarsi governo del Presidente, ha congelato tutto e ha prodotto, all’interno del panorama politico, altri effetti non secondari: il primo riguarda Silvio Berlusconi e il secondo invece riguarda Pier Luigi Bersani. I due leader che per ragioni diverse hanno subito più danni dal contraccolpo generato dai siluri lanciati dal Quirinale.

Il primo, Berlusconi, pur potendosi vantare di essere uscito da questa fase post elettorale con un profilo più solido, e sorprendentemente più responsabile, rischia di essere quello che politicamente potrebbe più perderci dal congelamento del sistema. E’ vero che Napolitano ha imposto al Pd, nel governo bonsai, quelle larghe intese che il Pd ha sempre negato di volere, ma è anche vero che mettendo tutto in ghiacciaia Napolitano ha fatto saltare i piani del centrodestra: prima, l’elezione condivisa del Presidente della Repubblica era il fulcro delle trattative per far partire un governo; ora che invece un governo c’è già, chi può costringere il centrosinistra ad eleggere necessariamente con il centrodestra un Presidente della Repubblica? Risposta esatta.

Per quanto riguarda Bersani, invece, il discorso è leggermente diverso. E anche se tecnicamente Bersani è ancora in campo (chi lo sa cosa potrà accadere dopo l’elezione del Presidente della Repubblica) la verità, politicamente parlando, è che alla fine dei conti, e dopo una serie di entusiasmanti consultazioni in cui il leader del centrosinistra ha provato in tutti i modi a dimostrare che il vaffa di Grillo non era un vaffa ma era un gesto politico tutto da interpretare, il succo di questa fase elettorale è questo: Bersani ha dovuto arrendersi ai paletti del Quirinale e ha dovuto riconoscere che la linea “o governo Bersani oppure elezioni” è stata sostituita dalla linea “o governo Bersani oppure un governo qualsiasi per evitare le elezioni”. Se tecnicamente dunque il non vittorioso e non nominato segretario del Pd è ancora in campo politicamente, si può dire che nel giro di qualche giorno il leader del centrosinistra si è ritrovato a fare i conti con una maggioranza silenziosa che si era formata dietro le sue spalle e che, pur mostrandosi leale nei confronti del tentativo del segretario, si è manifestata un minuto dopo che quel tentativo ha mostrato la sua fragilità, e di colpo ha di fatto rottamato la linea del segretario. Una maggioranza silenziosa guidata da Matteo Renzi ed Enrico Letta – gli unici che in questi mesi hanno sempre rivendicato la necessità di evitare il voto qualora il tentativo di Bersani non fosse andato a buon fine – che è emersa venerdì sera quando il vicesegretario del Pd, alla fine del suo colloquio con Napolitano, ha promesso fiducia incondizionata alle scelte del Presidente della Repubblica.
Da quel momento la linea Napolitano è diventata la linea guida del Pd. E se le cose resteranno così anche dopo la fine della fase freezer si potrà dire allora che per il Pd sarà davvero cominciata una nuova stagione in cui il protagonista, comunque andranno le cose, non sarà più il non risolutivo segretario del Pd.

(Foto Sean Gallup / Getty Images News)

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