Swift non fa nomi, ma i fan sono sicuri che la persona di cui parla in “Everything is Romantic” sia Charli. Gli indizi, in effetti, sono tanti.
So che è una cosa un po’ folle, ma ho sempre associato Taylor Swift a Chiara Ferragni. Entrambe sono alte, magre, bionde e si vestono male. Entrambe hanno rappresentato (per Ferragni tocca usare il passato) un certo ideale di donna di successo, la “girlboss”, termine che tra l’altro compare nel nuovo album di Swift, The Life of a Showgirl, e che insieme ad altri modi di dire un po’ obsoleti ha messo in imbarazzo le fan più giovani e non solo (si chiama “Millennial cringe” ed è quello che si prova nei confronti di certi usi e costumi dei millennial). Lo stesso identico tipo imbarazzo che ho provato quando Chiara Ferragni ha presentato il rebranding della sua linea di abbigliamento, tutto a base di “autoironia” (lo pensa lei, non io) con magliette, felpe e cappellini con scritto “world’s best sottona” e “club illusi per sempre”. Un altro tipo di imbarazzo, invece, è quello si prova dopo aver ascoltato la canzone dell’album che si chiama “Wood”, un’ode alle generose dimensioni del pene del futuro marito di Swift, Travis Kelce: potremmo trovare un corrispondente pensando a come ci sentivamo da adolescenti se i nostri genitori si lasciavano scappare qualche informazione sulla loro vita sessuale e amorosa («che schifo!»). Perfino le swifties non l’hanno presa bene. Perché per loro, immagino, oltre che amica, icona, ispirazione, salvezza, e chissà cos’altro ancora, Taylor Swift è anche un po’ una madre.
Il matrimonio come scopo della vita
È interessante notare come, per la prima volta, moltissime swifties (sono le sue fan: se vi serve un ripasso qui trovate l’articolo “Taylor Swift spiegata ai boomer”) si stiano lamentando della qualità dell’album sia dal punto di vista musicale che dei testi, dimostrando di non essere così fanatiche come vengono sempre dipinte ma capacissime di esercitare un giudizio critico nei confronti della loro beniamina. Lanciato alla fine di una puntata del podcast di Kelce e preceduto dall’annuncio del fidanzamento, questo album si è da subito distinto dagli altri per il modo in cui si intreccia a una relazione felice e ancora in corso, con il matrimonio celebrato come IL traguardo finalmente raggiunto. L’immaginario sembra rimasto quello della festa di fine anno in cui la cheerleader e il capo della squadra di football vengono incoronati come re e reginetta del ballo. Da Jimmy Fallon, Taylor Swift mostrava tutta fiera il suo gigantesco anello di fidanzamento, catapultandoci negli anni Cinquanta (non a caso è un diamante vintage). Commentando questo suo nuovo mood da trad wife (la moglie devota il cui unico sogno è sfornare figli: e dire che si definiva una “proud childless cat lady”) era inevitabile che qualcuno iniziasse a fare battute politiche. In “Actually Romantic” Taylor Swift se la prende con Charli XCX che, una volta, l’avrebbe definita una Boring Barbie (ed ecco tornare Chiara Ferragni, con la sua Barbie immersa nell’insalata). Il presunto dissing ha creato due schieramenti. Chi sta dalla parte di Taylor e chi sta dalla parte di Charli. E un improvviso colpo di genio: se Kamala era brat, allora Trump è showgirl? In effetti, a pensarci, non fa una piega. Soprattutto considerando che il colore dominante dell’album è l’arancione.
La poetessa non è più tormentata
Swift non è mai stata una cantautrice politica, anzi, nei suoi album ha sempre parlato solo e soltanto di sé stessa, in modi così specifici e personali che le swifties si sono sempre divertite, con uno spirito da vere nerd, a scovare le miriadi di easter egg che lei molto abilmente riesce a disseminare ovunque (testi delle canzoni, look dei concerti, video musicali e caption Instagram), messaggi di vario tipo che di solito sono frecciatine ai suoi ex o indizi sulle future canzoni o album e che solo chi conosce bene la sua vita privata e la sua carriera musicale può capire. Oltre a questo le fan hanno sempre amato la sua capacità di raccontare le relazioni infelici e i momenti di crisi e i sogni di rivalsa in un modo che percepivano come diretto e sincero. Swift è sempre stata la loro poetessa tormentata (per citare il titolo dell’album del 2024, The Tortured Poets Department), così generosa nel ripercorrere insieme a loro tutte le sue sfighe e a scandagliare apertamente il suo rancore, ricercando nella sua musica la motivazione per reagire. Difficile trovare della poesia in questa nuova versione di Taylor: tutta soddisfatta del suo brillocco e del suo Big Jim ma al tempo stesso ancora incazzatissima con chi l’ha offesa dicendo una certa frase dieci anni fa. Secondo i più spietati, questo suo totale distacco, anche musicale (è tornata coi suoi vecchi produttori Max Martin e Shellback e il risultato è una sequela di allegre musichette monotone), dai problemi del presente, e in particolare del presente degli Stati Uniti, potrebbe essere letto come l’involontaria dichiarazione politica di una conservatrice.
Record di bruttezza e di successo
Fino a qui questo suo dodicesimo album sembra il più sbagliato di sempre, ma c’è dell’altro: si sta parlando di come il tema della “showgirl” non sia stato esplorato in alcun modo, si sta parlando di come Swift cerchi evidentemente di imitare, senza riuscirci, l’umorismo gioiosamente sporcaccione di Sabrina Carpenter, che non a caso è l’unica cantante invitata a fare un duetto, proprio nell’ultima canzone che dà il titolo, si sta parlando di come le recensioni siano o negativissime (Atlantic, New Yorker, Pitchfork, Guardian) o positivissime, come quelle di Rolling Stones e del New York Times. Si sta parlando del record di copie vendute nella prima settimana negli Usa (il precedente risaliva ancora a 25 di Adele), perché la polarizzazione paga. Tra tutte queste chiacchiere, vorrei anch’io dare la mia opinione, come spesso mi diverto a fare quando scrivo di musica, ma non posso: non sono mai riuscita nella mia vita ad ascoltare un intero album di Taylor Swift. Ogni volta vengo respinta dalla sua voce, che ha su di me un misterioso effetto irritante, ma soprattutto dalla musica, le melodie semplici e ripetitive, i motivetti motivazionali, i video musicali che sembrano pensati per un pubblico under 12, un immaginario con cui non ho nulla da spartire. Non ci sono dubbi che Taylor Swift sia un genio strategico, ma questo album sembra aver finalmente aperto una grossa crepa nella sua armatura dorata di genio della scrittura (quella, se mai, è Lana Del Rey) dando finalmente a noi scettici la possibilità di esprimere le nostre perplessità senza paura di subire gravi ripercussioni.