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I più famosi e importanti comici americani stanno litigando a causa del Comedy Festival di Riad
Dave Chappelle, Louis C.K., Bill Burr, tra gli altri, sono stati criticati duramente dai colleghi per aver accettato di partecipare all'evento organizzato dal regime saudita.

Dave Chappelle, Louis CK, Bill Burr, Kevin Hart, Whitney Cummings, Pete Davidson, Aziz Ansari, Jimmy Karr e Jo Koy: è grazie a questi nomi che il Comedy Festival di Riad, neonato evento dedicato alla stand up comedy, già si accredita come tra i più rilevanti a livello mondiale. A direi sì all’organizzatore, direttamente collegato alle autorità politiche saudite, è stato un vero e proprio dream team della comicità statunitense. Molti di quelli che hanno scelto di partecipare all’evento hanno commentato la decisione come un gesto a difesa della libertà di parola e di espressione. Non fosse che proprio l’Arabia Saudita è una delle nazioni in cui questo diritto (e molti altri) viene sistematicamente negato, sia ai comici locali che agli oppositori politici che ai giornalisti. Tanto che Human Rights Watch ha definito l’evento un tentativo di fare «whitewashing della situazione all’interno del Paese, dove la repressione sta aumentando».
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In un lungo reportage, il Guardian ha raccolto la posizione dei partecipanti che si sono espressi pubblicamente a favore dell’evento e dei colleghi che li hanno criticati per questo stesso motivo. Le argomentazioni dei favorevoli – tra cui figurano molti comici che in questi anni si sono più volte espressi a favore della libertà di espressione in opposizione alla cancel culture – si fondano proprio sulla possibilità di esprimersi liberamente in un Paese in cui è solitamente impossibile farlo. I contrari invece sottolineano l’ipocrisia di parlare di libertà di parola in un Paese in cui questa libertà è apertamente e continuamente violata: è stato spesso citato Jamal Khashoggi, giornalista assassinato dal regime di Mohammad bin Salman nel 2018. Marc Maron è tra quanti hanno criticato più aspramente i colleghi che hanno deciso di partecipare, sottolineando: «lo stesso tizio che li pagherà ha pagato dei sicari per fare a pezzi con una motosega Khashoggi». Gli ha risposto a distanza Jim Jefferies: «Un giornalista è stato ucciso dal governo: è spiacevole, ma non è una questione di principio per cui mi spendo».
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Molti dei partecipanti hanno rivendicato proprio il compenso ricevuto dal governo saudita come il principale motivo per cui hanno accettato di partecipare al Comedy Festival di Riad. Tim Dillon, che inizialmente doveva partecipare ma poi è stato licenziato proprio a causa del commento che state per leggere, in merito alla condizione di schiavitù in cui versano molti lavoratori, soprattutto stranieri, in Arabia Saudita, ha dichiarato: «Mi danno abbastanza soldi per guardare dall’altra parte». Grazie ad alcune dichiarazioni di quanti hanno rifiutato l’ingaggio, abbiamo anche un’idea precisa di quanto i sauditi siano disposti a pagare. Ai comici meno famosi sono stati offerti oltre 300 mila dollari per una singola esibizione, ma alcuni hanno dichiarato di aver chiesto e ottenuto il doppio. È plausibile ritenere che i nomi di punta del programma abbiano potuto strappare milioni, secondo alcuni esperti sentiti sempre dal Guardian.
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Cifre altissime ma che, come notato gli scettici, non sono poi così lontane da quanto guadagnano queste celebrità della stand up comedy durante i loro tour negli Stati Uniti e in tutti gli altri Paesi del mondo. Per questo sono stati criticati da David Cross: «Sono disgustato da persone che ammiro, dal talento innegabile, che giustificano le azioni di un regime totalitario per cosa? Una quarta casa? Una barca? Più sneakers di quelle che già possiedono?».