Da simbolo della smart city a oggetto di scontro politico: breve biografia del più divisivo dei mezzi di trasporto.
Qualche anno fa – concediamoci questo incipit à la Carrère – mi ero messo in testa di scrivere una sceneggiatura su un pilota di droni di guerra. Mi sembrava il The Hurt Locker perfetto per la generazione digitale, il film sulla guerra in smartworking di cui non sapevamo di avere bisogno, soprattutto l’unico film di guerra onesto che avrei potuto scrivere restando in poltrona per un pubblico ben saldo sulle proprie poltrone. L’idea drammaturgica alla base era piuttosto semplice e mi sembrava avesse una certa universalità. Un protagonista con molto potere, addirittura di vita o di morte, su cose e persone sconosciute a chilometri di distanza da lui, ma che non riusciva ad avere il controllo della vita di tutti i giorni: faceva branco con gli altri piloti di droni ma poi ci litigava, con la moglie amoreggiava ma non comunicava, lei sempre con la testa da un’altra parte, il figlio gli appariva come un estraneo, un docile e angoscioso mistero. Presto mi sono accorto che in realtà stavo scrivendo il melodramma sul Covid di cui nessuno aveva bisogno, intervallato da sequenze di drone, che personalmente al cinema ritengo forse la cosa più brutta del mondo. La sceneggiatura è finita in un cassetto (ma se qualche produttore coraggioso mi sta leggendo e vuole parlarne, LA RITROVO).
Droni randagi
Naturalmente in questi giorni mi è tornata in mente quella storia. I droni sono i veri protagonisti di quella che qualcuno ha chiamato “Terza guerra mondiale diffusa”, correlativi oggettivi di un’epoca che resta (anche per fortuna, se vogliamo) tanto bellicosa e risoluta nelle intenzioni quanto equivoca negli atti: droni russi che invadono “per errore” lo spazio aereo polacco e vengono abbattuti, droni di provenienza ignota (ma “non si può escludere che siano russi”, quindi per comodità russi) che paralizzano efficientissimi aeroporti scandinavi, droni di provenienza ancor più misteriosa (e qui, per quando ci sforziamo, non ci viene in mente proprio nessuna congettura) che attaccano la Global Sumud Flotilla in acque internazionali. I droni sono diventati il corrispettivo bellico dei cuoricini notturni alle storie di Instagram: ci sto provando, ma voglio poterlo negare in seguito. Forse più che alla Bigelow avrei dovuto ispirarmi al Dottor Stranamore, e scrivere una commedia: un pilota di droni annoiato che facendo il coglione scatena la Terza guerra mondiale.
I droni sono entrati prepotentemente nelle nostre vite una quindicina di anni fa, e in principio non sembravano così male: erano aeroplanini telecomandati, a tutti piacciono gli aeroplanini telecomandati, e a differenza degli aereoplanini con cui giocavamo da bambini funzionavano davvero e non puzzavano di nafta e colla da modellismo. Le cose però divennero molto in fretta molto moleste, come quasi tutte le passioni dei maschi benestanti di mezza età, dal vino a Carlo Calenda. Sciami di insettoni a elica iniziarono a violare le più elementari regole di riservatezza e convivenza civile, sorvolando terrazzi privati, profanando silenziose calette d’estate e maestosi ghiacciai d’inverno con il loro penetrante ronzio. Emblemi di un certo pigro voyeurismo che tutti abbiamo ma che tutti detestiamo negli altri, i droni offrivano un mostruoso potenziamento a un paio delle tendenze più fastidiose dei decenni precedenti: il “divertente” gadget tecnologico e il filmino delle vacanze.
Dalla pandemia alla Terza guerra mondiale
La vera precipitazione in psicosi collettiva avviene però, come un po’ su tutto il resto, durante il Covid-19. Ai droni si devono i primi ed ultimi scampoli di wonderlust del lockdown, le “impressionanti” immagini delle metropoli deserte che fanno la fortuna dei redattori dei giornali online impigriti dai primi giorni di smartworking. Ma ai droni si devono anche i primi scivolamenti verso l’incubo della sorveglianza, l’idea o la paranoia – a seconda dei gusti – che il virus stia venendo usato per un qualche tipo di esperimento benthamiano di controllo sociale. Primo martire, quello che per diversi giorni entrò nella coscienza collettiva del paese come “il runner di Pescara”, pescato a fare jogging sulla spiaggia proprio da un drone e poi inseguito senza fortuna da un agente. Un classico della comicità, Wile E.Coyote e Beep Beep, l’inizio di una rincorsa ancora oggi in atto in mille forme tra sovranità svuotata e nichilismo edonista, Diego Fusaro direbbe il cattivo infinito hegeliano senza possibilità di superamento dialettico. Tutto questo, grazie a un drone. (Poi si scoprì che il “runner di Pescara” era Mario Ferri, una sorta di succedaneo odierno di Cavallo Pazzo specializzato in invasioni di campo nei grandi eventi sportivi. Chissà se il Grande Fratello orwelliano aveva previsto che le telecamere di sorveglianza saremmo andati a cercarle noi, per farci i selfie).
Da qui al cospirazionismo, il passo è brevissimo: non c’è ormai disgrazia, attentato, strage o sparatoria del quale non salti fuori un video alternativo nel quale “un utente” di YouTube o X cerchia in rosso un drone che, sempre “velocissimo”, sorvola l’area proprio al momento del fattaccio. Ultimo caso quello dell’assassinio di Charlie Kirk, giorni di feroci discussioni in certe oscure nicchie dell’internet per stabilire se il drone fosse elettore repubblicano o democratico, pilotato dal Mossad o direttamente da Trump, e dunque chi avesse incastrato Tyler Robinson, poi guardando meglio si è capito che era una rondine. Tempi bui, forse avevano ragione secoli di mitologia che ci ammonivano che l’uomo non è fatto per guardare il mondo dall’alto, lo sguardo remoto e megalomane del drone assomiglia davvero allo spirito dei tempi, molto lontano da quello di Yuri Gagarin: «La Terra da quassù è bellissima, senza frontiere né confini». Frase celeberrima ed emblematica di un’epoca più civilizzata, che del resto il cosmonauta russo non ha probabilmente mai davvero pronunciato.