Ozzy Osbourne voleva far impazzire il mondo

È morto a 76 anni uno degli artisti più strani, talentuosi e indecifrabili di sempre. Una rockstar involontaria, mai serioso né intellettuale, sempre al confine con l'autoparodia.

23 Luglio 2025

C’è una cosa che si dovrebbe tener presente nel provare a raccontare John Michael Osbourne, nato 76 anni fa a qualche chilometro da Birmingham, dove è morto ieri. A due settimane da un commovente concerto d’addio con i Black Sabbath e tanti ospiti, che ha raccolto 190 milioni di dollari per la ricerca sul morbo di Parkinson, dal quale era affetto da anni.

E la cosa da tener presente è che poche rockstar sono state benvolute come lui. Non dai fan – quello è ovvio. Anche chi ha sempre ascoltato tutt’altro, ma soprattutto i tanti che ieri non avrebbero saputo citare tre delle canzoni da lui cantate in quasi 60 anni da rockstar, avevano nei suoi confronti un sentimento di simpatia e rispetto. La cosa aveva posto per anni dei problemi alle frange “puriste” dei metallari. L’Ozzy Osbourne delle stralunate follie da rockstar fumettistica (con tanto di satanismo da baraccone), sempre disponibile alla propria auto parodia fino a mostrarsi come stordito padre di famiglia nella storica serie The Osbournes (2002-2005), non sminuiva la credibilità della sua musica e l’importanza dei Black Sabbath nella storia del rock?

Più punk dei punk

In realtà, la rivalutazione storica del cantante e della band era iniziata, lenta ma inesorabile, proprio quando esasperati dal loro frontman e dal suo abuso di droga e alcool, gli altri tre sabbatici (peraltro non esattamente dei salutisti) lo avevano buttato fuori dalla band. Alla loro ricerca di una nuova rispettabilità Ozzy avrebbe risposto alzando il tasso tecnico dei suoi dischi e concerti, a partire dal sodalizio con il giovane chitarrista Randy Rhoads. Il tempo era dalla loro parte: stavano per iniziare gli anni ’80, durante i quali l’heavy metal non sarebbe stato più considerato il parente tonto e imbarazzante di cui la famiglia rock doveva vergognarsi.

Prendiamo la testimonianza di Leonard Graves Phillips, cantante della punk band californiana The Dickies: «Quando avevo 14 anni “Paranoid” dei Black Sabbath era punk quanto i brani dei Ramones che sarebbero venuti dopo. Era semplice, veloce e di impatto». Per non parlare del testo, una sorta di continuazione angosciosa della sensazione di non avere alcuna possibilità di essere felice già provata (per qualche settimana, perlomeno) dal giovane Jagger in “Satisfaction”. C’è poi uno strano dettaglio che in teoria avrebbe dovuto giocare a sfavore di Osbourne come metal hero: è uno dei cantanti la cui voce non va incontro agli stereotipi del vocalist heavy o hard-rock. Non lancia urla lancinanti e acutissime, non ringhia profondo e gutturale. Il suo modo di cantare è più riconducibile a quello di John Lennon in “I Am The Walrus” (del resto, «I Beatles sono sempre stati il mio gruppo preferito. Nessuna musica mi ha mai portato tanta felicità nel cuore»). Si potrebbe dire che con lui il “Nowhere Man” diventa “Iron Man” – un po’ più allucinato, certo. Grazie anche a un’intonazione capace di essere inquietante e maniacale senza alcuna forzatura. Beh, un dono.

La verità è che al netto della sua fama di pazzoide incontrollabile, c’era una sincerità di fondo in Ozzy Osbourne che non gli aveva mai fatto perdere la simpatia popolare, men che meno quando con Gli Osbournes (sostanzialmente l’ultimo show di successo di Mtv) si mostrava nella sua villa di Beverly Hills, in chiare difficoltà nel fronteggiare i familiari, il lusso, la modernità in genere. Un Homer Simpson in carne e ossa, ricchissimo e famosissimo. «La gente mi fermava per strada e mi diceva cose interessanti. A molti è piaciuto come parlavo di droga ai miei figli. Le donne mi dicevano: “Ozzy, mio marito è uguale a te”. Non capivo se volevano fargli un complimento o insultarlo». Non è escluso che gran parte del successo venisse dalla scoperta o conferma che Ozzy era l’antitesi della rockstar intellettuale.

Compendio di demenzialità

Anche quando azzardava temi complicati, tutti potevano capire i suoi testi. «I don’t want to change the world. I don’t want the world to change me». Lineare, vero? Rock’n’roll. Beninteso, nei suoi show, il punto più esaltante per gli spettatori era quasi sempre quello in cui dopo aver chiesto al pubblico di gridare più forte – no, più forte – nooooo, MOLTO più forte, gli gridava: «Ehi! Io voglio vedervi impazzire!!!!!».

Con oggi molto probabilmente le sue frasi e le sue imprese più deliranti raggiungeranno plurimi picchi di viralità. Per esempio

La volta che con un morso staccò la testa di un pipistrello. Morto. «Me lo avevano buttato sul palco, credevo fosse di gomma»

La volta che a un evento organizzato dalla casa discografica, aveva staccato la testa a una colomba. Viva. Era l’anno prima, ed era molto, molto ubriaco.

La volta che sniffò delle formiche. Vive. Anche loro.

La volta che iniziò a sparare ai propri gatti con un fucile. Un eccidio: 17 vittime.

La volta che la moglie e manager Sharon lo aveva chiuso in una camera d’albergo in Texas perché non uscisse a fare danni, avendo cura di far sparire i suoi vestiti, salvo essere avvisata poco dopo che era stato arrestato mentre, vestito con abiti femminili, stava urinando su Fort Alamo, monumento nazionale.

La volta che decise che la moglie e manager Sharon doveva morire, e iniziò a strangolarla. Sharon Osbourne chiese il divorzio – non in quella occasione ma molti anni dopo, nel 2016, quando ebbe il sospetto che il marito 68enne la tradisse con la sua parrucchiera. Poi però ci ripensò. Forse perché senza raggiungere i picchi del marito, anche lei aveva dovuto fare i conti con diverse dipendenze prima di diventare una delle donne più potenti del music business. O forse perché Ozzy era la sua dipendenza.

Il cantante Ozzy Osbourne nella piscina della sua villa a Beverly Hills, in California, nel giugno 1987 (Foto di Eddie Sanderson/Getty Images)

Eppure, nonostante l’elenco assolutamente parziale qui sopra, pagine sparse del Diary Of A Madman, una conversazione con Ozzy nei suoi momenti di lucidità poteva avere momenti affascinanti. Dall’incontro più approfondito (avvenuto nel 2007), chi scrive può proporre

«Io non ho mai sognato, perché non volevo illudermi. Da ragazzo ho sempre pensato che sarei stato un fallito. Persino come ladro avevo fallito, stavo cercando di rubare un televisore da un appartamento, sono scivolato all’indietro e mi è caduto sullo stomaco, ho picchiato la schiena e mi hanno trovato che mi lamentavo sul pavimento».

«Non mi piacevano gli hippie. Ero troppo arrabbiato e disilluso per credere nell’amore universale. Però secondo me la nostra “War Pigs” è più convincente di tanti inni pacifisti. La guerra è così stupida».

«Quando giravamo The Osbournes, mio figlio mi chiedeva: “Papà, ma la gente ride con te o ride di te?” Non lo so. Dovrei chiederlo a ogni singolo spettatore. Posso solo dire che non ho mai interpretato un personaggio. Non posso. Se qualcuno mi dice “Ora entra in scena e dì buongiorno”, io mi dimentico subito cosa devo dire».

«Questa cosa che con i Black Sabbath abbiamo inventato l’heavy metal, se tanta gente ne è convinta, probabilmente è vera. Sui dettagli musicali penso che dovresti parlarne con gli altri, io penso che ci fosse molto blues nelle radici dei Sabbath, d’altronde la musica del diavolo è quella, giusto? Ma se ci fossimo chiamati Blues Sabbath temo non saremmo qui a discutere oggi, ahaha».

«Ho avuto molte fortune. Una è l’amore della gente. Un’altra è non essermi autodistrutto nonostante anni di tentativi. Pensavo: “Sono Ozzy, faccio quel cazzo che voglio”. Finché a un certo punto mi sono detto: “Oppure no”».

Ozzy Osbourne e i suoi eccessi saranno ricordati per molti, molti anni. «Qualunque cosa io faccia della mia vita, sulla mia lapide ci sarà scritto: Qui giace Ozzy Osbourne, nato nel 1948, una volta diede un morso a un pipistrello». Ma sarebbe giusto ricordare anche quanta gente ha amato in lui il working class hero, che spesso era colto dall’insopprimibile necessità di abbaiare alla luna. Chissà, forse fra le due cose c’è un legame.

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