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Tutti i media hanno ripreso un articolo di Reuters sulla vibrazione atmosferica indotta, che però non c’entra niente con il blackout iberico (e forse non esiste) E infatti Reuters quell'articolo è stata costretta a cancellarlo.
La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.
Microsoft ha annunciato che dal 5 maggio Skype “chiude” definitivamente L'app non sarà più disponibile, chi ancora si ricorda le credenziali potrà usarle per accedere a Teams.
Alexander Payne sarà il presidente della giuria alla prossima Mostra del cinema di Venezia Il regista torna sul Lido dopo un'assenza di otto anni: l'ultima volta ci era stato per presentare il suo film Downsizing.

I turbamenti del non più giovane Guè

Tra materialismo, insoddisfazione e perenne ricerca di un senso che non trova, Tropico del Capricorno, il nono disco da solista, è forse il più triste e amaro della sua carriera.

14 Gennaio 2025

«Ancora non ho fatto pace con me stesso», dice Guè nell’intervista che ha registrato recentemente con Gq, e la sensazione è confermata ascoltando Tropico del Capricorno, il suo nono disco solista uscito il 10 gennaio. Dopo una serie di lavori molto street (soprattutto Fastlife 4 e il disco dei Dogo), qui il rapper milanese dà sfogo principalmente a due delle anime che caratterizzano la sua carriera e, è il caso di dirlo, anche la sua personalità: quella party e quella malinconica e riflessiva, sia nei testi che nelle musiche a cura di Sixpm e Chef P (precedentemente noto come Pietrino dei 2nd Roof), con incursioni da parte di Big Fish, Bassi Maestro e dell’americano Harry Fraud (tra i migliori producer contemporanei, apprezzato soprattutto per il lavoro con French Montana).

«Penso alla mia carriera assurda, più che decennale / ma inversamente proporzionale / al disastro della vita personale» sintetizzava efficacemente in un pezzo di pochi anni fa, e questo è un po’ il mood del disco, quella sorta di infelicità e mancanza di senso pure all’interno di una vita caratterizzata dal successo, che richiama il filone inaugurato da Drake (notoriamente un riferimento di Guè) con il suo Take Care. Un riferimento più esplicito è invece quello a Henry Miller, visto che il disco prende il nome da un romanzo (seguito di Tropico del cancro) in cui lo scrittore statunitense raccontava in modo esplicito una vita tra sesso e bagordi nella New York degli anni Venti, alla perenne ricerca di una irraggiungibile felicità.

Se il disco di Guè è pieno di pezzi da club, di varie influenze dalla dancehall (“Nei tuoi skinny”) alla West Coast degli anni Novanta (“Nei DM”, non a caso con la collaborazione di Tormento, i cui Sottotono hanno rappresentato quel suono in Italia), è nei contrappunti più riflessivi e inquieti che anche il flexing e la caratteristica elencazione di marchi e status symbol assumono un sapore più amaro, come a ricordarci che non esistono panacee materiali per gli animi tormentati.

Proprio il pezzo prodotto da Harry Fraud, “Pain is love” (indicativo già il titolo), è una delle perle del disco: «Credimi, io ci provo / a essere meglio, ma ogni volta entrano i demoni / e sbaglio di nuovo […] Fingo che me ne fotto, in realtà sto toccando il fondo» esplicita il titolare, con quella pronuncia scazzata che è ormai marchio di fabbrica almeno dai tempi di “Squalo”. E probabilmente non è un caso che in scaletta “Pain is love” arrivi subito dopo “Le tipe”, un’elencazione di tutti “i tipi di tipe” che il Nostro predilige. A differenza però che in pezzi come “Le donne” di Fibra o la storica “Girls girls girls” di Jay-Z, che si muovono sullo stesso tema, qui il mood, dal punto di vista musicale, non è particolarmente scanzonato, quasi a dire che, in fondo, se ti piacciono tutte è perché non c’è nessuna che ti piace veramente. Torna in mente allora il famoso catalogo cantato da Leporello nel Don Giovanni di Mozart, e ancora di più il Casanova di Fellini, dove la meccanica coazione a ripetere è fonte di piacere effimero e, in definitiva, di fondamentale insoddisfazione.

Guè lo ha dichiarato più di una volta: la sua più grande paura è quella di smettere di essere tecnicamente bravo a rappare, cosa che con il passare degli anni abbiamo visto succedere a più di qualcuno. Questo disco ci conferma ancora una volta (magistralmente per esempio nella prima strofa di “Meravigliosa”, il pezzo in cui riprende l’amata “Acqua e sapone” degli Stadio) che quel momento, se mai arriverà, è ancora ben di là da venire. A confermare questa impressione è anche il pezzo che chiude l’album, “Astronauta”, uno dei brani più tristi della sua carriera. Una sola strofa che, oltre a essere tra le sue più belle, dopo un disco in cui in sostanza ci ha ricordato quello che sappiamo già che sa fare bene, presenta flow e tematiche inusuali (i riferimenti a “papi omofobi” e “capi nazisti” ricordano i tempi in cui nei primi dischi dei Club Dogo si praticava anche il rap di denuncia), forse come a dirci che le cartucce da sparare non sono ancora finite. E che se Guè ancora non ha fatto pace con i suoi demoni, perlomeno sa sempre come scavare dentro se stesso per raccontarli in musica.

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