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Sei giovani portoghesi hanno fatto causa a 32 Paesi accusandoli di non fare nulla sulla crisi climatica

27 Settembre 2023

Per la prima volta nella sua storia, la Corte europea per i diritti dell’uomo dovrà decidere l’esito di una “causa climatica”. Sei giovani portoghesi tra gli 11 e i 24 anni, infatti, hanno fatto causa a trentadue Paesi (i 27 membri dell’Unione più la Norvegia, la Svizzera, il Regno Unito, la Turchia e la Russia), accusandoli di non aver fatto abbastanza in questi anni per evitare l’aggravamento della crisi climatica. Nelle intenzioni dei sei ragazzi non c’è soltanto costringere i governi ad ammettere le loro colpe e mancanze, ma anche quella di costringerli, attraverso la sentenza della Corte, a prendere provvedimenti radicali e immediati in tema di crisi climatica.

Come spiega su Cnn Laura Paddison, la posta in gioco è altissima. La vittoria dei sei ragazzi non solo costringerebbe i Paesi europei a migliorare le loro politiche ambientali nel brevissimo periodo, ma costituirebbe anche un precedente favorevole per tutte le altre cause simili che in questi anni sono state intentate in diversi Paesi del mondo (un precedente che influenzerebbe anche la Corte europea per i diritti dell’uomo nel vicino futuro: nell’agenda dei lavori dei prossimi mesi ci sono già altre due cause climatiche in attesa di essere discusse). Ovviamente, una sentenza che invece “assolva” i governi dell’Unione costituirebbe un duro colpo per il movimento ambientalista.

La storia di questa causa comincia sei anni fa, un anno in cui in Portogallo morirono più di cento persone a causa di incendi che distrussero 500 mila ettari di terreno. Catarina Mota, una delle sei persone che hanno intentato la causa, all’epoca andava ancora a scuola e fu costretta dalle autorità locali a rimanere in casa perché il fumo generato dagli incendi rendeva pericoloso stare all’aria aperta. Mota decise, assieme a Cláudia Duarte Agostinho, sua compagna di causa, di cercare e trovare altre persone che avevano subìto danni a causa di quegli incendi e di farne una questione legale. Aiutati dal Glan, Global Legal Action Network, Mota e Agostinho hanno trovato altre quattro persone disposte a combattere con loro la battaglia di Davide contro Golia, come l’ha definita il direttore del Glan Gearóid Ó Cuinn.

Mai prima d’ora, infatti, così tanti Paesi erano finiti sotto accusa in un caso del genere, in cui si rimproverano i governi di essere i responsabili dei disturbi causati dall’ecoansia: difficoltà a concentrarsi, paura di uscire di casa – soprattutto durante le ondate di calore che hanno afflitto il Portogallo anche durante l’ultima estate – nei casi peggiori problemi anche a respirare e dormire. La causa è diventata ufficiale nel 2020 e la Corte europea ne ha accelerato i tempi di discussione proprio per l’urgenza della questione climatica. Discussione che, nelle previsioni, impiegherà circa diciotto mesi e potrebbe risolversi in tre modi.

Il primo: la Corte potrebbe decidere di non avere la giurisdizione necessaria a prendere una decisione. La seconda: potrebbe decidere che le politiche ambientali scelte dai governi non costituiscono una violazione dei diritti umani. In questo caso, la Corte darebbe ragione ai 32 governi che, davanti alle accuse dei sei ragazzi portoghesi, hanno risposto con documenti nei quali si afferma che nessuno di loro può dimostrare di aver sofferto «gravi conseguenze» a causa della crisi climatica. Terzo scenario: la Corte dà ragione all’accusa e, di fatto, impone ai governi di cambiare politiche in fatto di tutela dell’ambiente. In quest’ultimo caso, la sentenza farebbe giurisprudenza e diventerebbe il precedente in base al quale si potrebbero decidere moltissime cause simili: al momento, ce ne sono 2400 già intentate in tutto il mondo.

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