È un genere esploso negli ultimi dieci anni ma che forse è stato già superato dai fatti: la crisi climatica ormai è parte della nostra quotidianità e la narrativa non può che adattarsi di conseguenza.
Cosa sta succedendo nella redazione del New Yorker
Martedì 19 luglio Erin Overbey, ormai ex archive editor e ex responsabile della newsletter Classics del New Yorker, ha pubblicato su Twitter un lunghissimo thread – quaranta tweet – in cui accusava David Remnick, Editor-in-chief e redattore di lunghissimo corso (è dal 1998 che fa parte della redazione) della rivista, di averla “sabotata”. Secondo Overbey, Remnick avrebbe deliberatamente inserito degli errori nei suoi lavori mentre lei era sottoposta a performance review da parte dei suoi superiori. Ieri la stessa Overbey ha annunciato, sempre su Twitter, di aver ricevuto la cosiddetta pink slip, la lettera di licenziamento. Il New Yorker ha definito «assurde» le accuse che Overbey ha rivolto a Remnick, malignità che costituirebbero una «diffamazione ai danni di un collega e che mettono in dubbio l’etica e l’integrità del New Yorker, una rivista che fa dell’accuratezza un motivo di orgoglio. Questo episodio è solo l’ultimo di una serie in cui Lei ha rivolto accuse infondate contro i suoi colleghi, accuse a causa delle quali aveva già ricevuto dei richiami formali». Stando a quanto riporta The Daily Beast, la decisione di licenziare Overbey sarebbe stata presa dai massimi dirigenti di Condé Nast. Della decisione sarebbero stati informati anche Stan Duncan, Chief people officer di Condé Nast, e il Ceo Roger Lynch.
So the @New Yorker has fired me, effective immediately. I’m speaking with the union about potentially filing a grievance on the termination. But here are some things that I will say….
— Erin Overbey (@erinoverbey) July 25, 2022
Nella versione dei fatti raccontata da Overbey, i suoi capi avrebbero deciso di sottoporla alla performance review di cui sopra per punirla. Un anno fa, infatti, Overbey si era lamentata con un manager della testata della disparità di genere nella redazione del New Yorker e in seguito a questa “insubordinazione”, secondo lei, il suo lavoro è stato messo sotto scrutinio. E mentre il suo lavoro veniva scrutinato, la direzione della rivista l’ha accusata di aver commesso diversi errori. Errori che Overbey, però, nega di aver commesso. Due di questi, in particolare, hanno fatto nascere nella giornalista il sospetto che qualcuno stesse lavorando al suo licenziamento. Il primo: in un caso, la direzione del New Yorker la accusava di essersi riferita al “Fiction Issue” della rivista definendolo “Summer Issue”. Il secondo: in un pezzo Overbey avrebbe scritto che Janet Malcom, per moltissimo tempo autrice del New Yorker, era morta nel 2022 invece che nel giugno del 2021.
Let’s talk about racism! Most white people at prestigious magazines don’t ever want to talk about race or diversity at all. Why? It's primarily because they’ve been allowed to exist in a world where their mastheads resemble member registries at Southern country clubs circa 1950..
— Erin Overbey (@erinoverbey) September 14, 2021
Sarebbe stato Remnick, per motivi che la stessa Overbey ha ammesso di non conoscere, a inserire quei due errori nei suoi pezzi. «Io non farei mai errori del genere», ha detto la giornalista. Il “colpevole” sarebbe, appunto, Remnick, «un collega maschio che sapeva che il mio lavoro in quel periodo era sottoposto a performance review e che per errori come quelli io avrei rischiato di essere pesantemente redarguita». Overbey ha detto anche di essere in possesso di diverse mail che dimostrerebbero la colpevolezza di Remnick. Quest’ultimo ha detto a tutti i giornalisti che lo hanno contattato che lui non avrebbe commentato la questione e di fare riferimento alle dichiarazioni ufficiali dell’ufficio stampa del New Yorker. Ufficio stampa che ha ribadito che la storia raccontata da Overbey è «assurda» e «completamente falsa».
Secondo il New Yorker la giornalista avrebbe fatto la sua prima denuncia a mezzo Twitter sulle discriminazioni nella redazione soltanto dopo essere stata sottoposta a performance review a causa di «errori, […] comportamento non professionale e inappropriato nei confronti dei colleghi, […] violazione delle Company’s Global Business Communications Policy dell’azienda e un richiamo a causa di self-plagiarism notificato il 10 settembre 2021». Secondo attuali ed ex dipendenti del New Yorker, Overbey aveva l’abitudine di causare shitstorm sui social media ogni volta che i suoi capi avevano da ridire sulla quantità e qualità del suo lavoro. Tutto sarebbe cominciato anni fa a causa di alcuni cambiamenti nella redazione in seguito ai quali Overbey avrebbe cominciato a temere di perdere potere sul suo «feudo». «Io credo si tratti di uno sforzo coordinato per mettere a tacere una persona che denuncia cose di cui la rivista non vuole si parli», ha detto la giornalista, aggiungendo anche di essere «sorpresa» dalla decisione del New Yorker di licenziarla.

La band hip hop irlandese viene da anni di provocazioni ed esagerazioni alle quali nessuno aveva fatto troppo caso, fin qui. Ma è bastata una frase su Gaza, Israele e Stati Uniti al Coachella per farli diventare nemici pubblici numero 1.

Ancora più dei suoi romanzi precedenti, Vanishing World , appena uscito per Edizioni E/O, sembra scritto da una macchina senza sentimenti che ci mostra tutte le variabili possibili e immaginabili della stupidità umana.