09:15 sabato 21 giugno 2025
Sia Israele che l’Iran hanno già messo al sicuro il loro patrimonio artistico Il problema è quella parte del patrimonio dei due Paesi che non può essere spostata. Solo in Iran ci sono 28 siti Unesco impossibili da proteggere.
Le notifiche del telefono fanno male e adesso c’è anche una ricerca che lo dimostra Si chiama alert fatigue e tante persone hanno già deciso come affrontarla: disattivando tutte le notifiche, sempre.
Il sindaco di Budapest ha detto che il Pride in città si farà nonostante il divieto di Orbán «Il Municipio di Budapest organizzerà il Budapest Pride il 28 giugno come evento cittadino. Punto», le sue parole.
Francis Kaufmann/Rexal Ford ha ricevuto quasi un milione di euro dal Ministero della Cultura per girare un film che non ha mai girato Lo ha rivelato un'inchiesta di Open: l'uomo è riuscito ad accedere ai fondi del tax credit, senza mai girare nemmeno una scena.
Skims sta inviando soldi via PayPal a centinaia di clienti senza dare alcuna spiegazione Tutto è cominciato con un tiktok, a cui ne sono seguiti decine e decine. Adesso, gli investigatori di internet stanno cercando di svelare il mistero.
La storia della chiusura del Museo del Fumetto di Milano non è andata proprio come si era inizialmente raccontato Un articolo di Artribune ha svelato che nella chiusura c'entrano soprattutto mancati pagamenti e gestione inefficace, non la cattiveria del Comune.
David Fincher vuole salvare Mindhunter trasformandola in una trilogia di film Lo ha rivelato l'attore Holt McCallany, uno dei due protagonisti della serie. A suo dire, ci sarebbero degli sceneggiatori già al lavoro.
Una delle analisi più sensate della guerra tra Israele e Iran l’ha fatta Jafar Panahi su Instagram Il regista ha postato un lungo messaggio, in cui condanna sia il governo israeliano che il regime iraniano.

Letizia Battaglia non è stata solo una fotografa

È morta a ottantasette anni la donna che con le sue foto ha mostrato la Palermo violenta della mafia e quella innocente dei bambini, e che ha avuto la forza e la credibilità di raccontare la sua città al mondo.

14 Aprile 2022

Letizia Battaglia ha raccontato Palermo, di cui la mafia è stata uno degli aspetti, e ha avuto la forza umana e la credibilità per portarla nel mondo. È questo che verrà riconosciuto alla fotografa siciliana morta la sera del 13 aprile, a ottantasette anni. Queste sono le ore degli aneddoti, e dei social che si alimentano con una fotografia, una frase virgolettata, un’immagine personale, ci sono parecchie cose da condividere dal momento che Letizia Battaglia ha viaggiato, incontrato e frequentato persone per tutta la vita, fino a pochi giorni fa.

«È semplice, non si può che parlarne bene», mi scrive un amico, alla richiesta di un ricordo. Ma anche la fotografa newyorkese (anzi, di Tribeca) Donna Ferrato, la quale ogni volta che le parlavi di Italia, ti interrompeva così: ma tu sei italiano, come la mia amica Letizia Battaglia! Avevano vinto insieme il Premio W. Eugene Smith, uno dei maggiori riconoscimenti mondiali per un fotografo, anche perché non premia della singola foto – quindi la casualità, la fortuna – ma il percorso. Nel 1985, lo avevano ricevuto ex aequo, Donna Ferrato impegnata a documentare le violenze domestiche nei quartieri di Manhattan, Letizia Battaglia a rincorrere le telefonate della polizia attraverso Palermo, che la portavano a fotografare anche cinque omicidi in una giornata. Attraverso le immagini di Letizia Battaglia e Franco Zecchin, con il quale ha condiviso diciannove anni di rapporto umano e professionale, il mondo stava conoscendo “la guerra” in atto tra le strade della città siciliana. E così il loro studio/agenzia “Informazione fotografica” è diventato il centro per i fotografi di passaggio, per le persone che arrivavano a Palermo e si trovavano di fronte ad un fenomeno a loro pressoché sconosciuto: non era un conflitto, non era certo una rivoluzione, non era delinquenza di strada, non era delinquenza organizzata. «Era un’invasione», così l’ha definita Letizia Battaglia, l’invasione della mafia, dei corleonesi, a Palermo.

Josef Koudelka, dopo i suoi viaggi attraverso le rivoluzioni d’Europa, tornava sempre – ogni Pasqua–- a Palermo da Letizia Battaglia. L’ultima volta ci è tornato nel 2018, quando Letizia Battaglia ha organizzato una grande mostra dedicata a Koudelka nel suo tanto voluto Centro Internazionale di Fotografia. Organizzare l’esposizione costava ventimila euro, Koudelka ha scritto un messaggio alla Magnum (l’agenzia che cura il suo lavoro) e ha spiegato: Letizia è mia sorella. Hanno così trovato una soluzione. Nelle scorse ore, Jean-Francois Leroy, direttore del Festival Visa pour l’Image di Perpignan, ha scritto «Letizia Battaglia è morta ieri. Il suo lavoro sulla mafia resterà nella storia della fotografia. Il lavoro di una fotografa indimenticabile».

Letizia Battaglia non sarà ricordata solo come la fotografa della mafia anche se, senza dubbio, il grosso delle sue fotografie nasce dalla cronaca, dalle news, dalle segnalazioni di un altro corpo ritrovato ad un incrocio o su un marciapiede. Ma il motivo per cui sono diventate icone sarebbe un infinito argomento di discussione. Una di queste ragioni è che Letizia Battaglia aveva una storia, e che il modo in cui ritraeva – ma si potrebbe anche dire “trattava” – le persone erano uno specchio di questa storia. Sposata giovanissima, trascorre anni a Trieste, poi di nuovo a Palermo, ma in quella dimensione del matrimonio borghese e rigido non sta certo bene, e allora cerca un lavoro (perché sì, vorrebbe divorziare, ma vorrebbe anche rifiutare gli alimenti) tra le redazioni di Palermo e poi di Milano. Qui inizia ad occuparsi dei movimenti, tra gli altri ritrae Dario Fo e Franca Rame nei mesi dell’occupazione e del teatro alla Palazzina Liberty, finché viene richiamata a Palermo dalla redazione dell’Ora. Finalmente avrà un mestiere, ma soprattutto un ruolo: sarà fotografa. Inizia così la seconda parte della sua vita, ha 39 anni e non immaginava che Palermo fosse quella città che stava per conoscere. Ha sempre raccontato, infatti, che si accorse in quel momento della distruzione della mafia, dei cadaveri, della violenza. In quel momento, con l’incarico di fotografa, entra in un mondo fatto di piccoli e grandi poliziotti, magistrati, giudici, giornalisti, altri fotografi. Un mondo naturalmente maschile, e perché questo dettaglio non è stato solo un ostacolo sociale astratto, è stato un ostacolo fisico, parecchio reale. Avvicinarsi al corpo di un morto ammazzato non era semplice per una donna. Ma Letizia Battaglia veniva pagata per portare la foto al giornale, per portare le foto nel più breve tempo possibile, per portare buone foto. Ottiene così il rispetto da parte di quei poliziotti che, ancora qualche mese fa, andavano alle sua mostre, si riconoscevano, si abbracciavano.

Letizia Battaglia è sempre stata molto consapevole della ricchezza che si poteva rintracciare nel proprio archivio, molte delle sue immagini sono state usate per i processi di mafia (alcune foto furono determinanti per il processo Andreotti). E naturalmente era consapevole anche delle foto che si allontanavano dalla cronaca, quelle icone (i bambini, soprattutto) che hanno avuto la potenza di superare la gabbia del contesto.

Tuttavia, negli ultimi incontri pubblici non amava parlare del passato, si appassionava molto di più al presente e al futuro, era convinta che la sua città fosse entrata in una nuova dimensione, lontana dagli anni di quella guerra fotografata in bianco e nero. Aveva voglia di raccontarsi sempre, andando sempre più in profondità, ed era arrivata a svelare i momenti più duri e segnanti della propria vita, che a posteriori molto hanno spiegato dei suoi scatti. «Io sono una persona, non sono una fotografa. Sono una persona che fotografa, che ha fatto volontariato psichiatrico, che ha fatto teatro, che ha avuto l’amore, che l’ha dato, che ha avuto tre figli». Ecco perché, se c’è stata un’icona in tutta questa vita così vissuta, non è stata una fotografia, è stata Letizia Battaglia.

Articoli Suggeriti
Sia Israele che l’Iran hanno già messo al sicuro il loro patrimonio artistico

Il problema è quella parte del patrimonio dei due Paesi che non può essere spostata. Solo in Iran ci sono 28 siti Unesco impossibili da proteggere.

Il baracchino, BoJack Horseman all’italiana

È una delle serie italiane più interessanti uscite nel 2025: per il cast composto da alcuni dei nostri migliori comici, per il modo in cui mescola diverse tecniche d'animazione e perché fa ridere ma pure deprimere.

Leggi anche ↓
Sia Israele che l’Iran hanno già messo al sicuro il loro patrimonio artistico

Il problema è quella parte del patrimonio dei due Paesi che non può essere spostata. Solo in Iran ci sono 28 siti Unesco impossibili da proteggere.

Il baracchino, BoJack Horseman all’italiana

È una delle serie italiane più interessanti uscite nel 2025: per il cast composto da alcuni dei nostri migliori comici, per il modo in cui mescola diverse tecniche d'animazione e perché fa ridere ma pure deprimere.

David Fincher vuole salvare Mindhunter trasformandola in una trilogia di film

Lo ha rivelato l'attore Holt McCallany, uno dei due protagonisti della serie. A suo dire, ci sarebbero degli sceneggiatori già al lavoro.

Nanni Moretti ha raccontato i primi dettagli del suo prossimo film

Si intitolerà Succederà questa notte, sarà un adattamento di una raccolta di racconti di Eshkol Nevo e i protagonisti saranno Jasmine Trinca e Louis Garrel.

È uscito il trailer di Portobello, la serie tv sul caso Tortora e la prima produzione italiana di Hbo

Diretta da Marco Bellocchio e con protagonista Fabrizio Gifuni, è già uno dei titoli italiani più attesi del 2026.

Secondo Percival Everett arte e politica sono la stessa cosa

A Milano per la prima mostra dedicata ai suoi quadri, lo scrittore ci ha parlato di James, il romanzo con il quale ha vinto il Pulitzer, della prosa di Mark Twain e del perché Wittgenstein è uno stronzo.