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Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.

Tutta la fantasia di Cinzia Ruggeri

Apre al Macro di Roma la prima grande mostra dedicata alla stilista milanese e alle sue creazioni surrealiste piene di humor che mescolano moda, arte e design.

di Studio
14 Aprile 2022

Come raccontava Rita Selvaggio, curatrice di una mostra dedicata a Cinzia Ruggeri nel 2020 (…per non restare immobili, a Casa Masaccio), negli anni prima di morire l’artista, designer e stilista era diventata molto riservata, tanto da non presenziare nemmeno alle inaugurazioni delle sue stesse mostre. «Non ho mai cercato di violare il suo riserbo, me la sono sempre immaginata attraverso i racconti e gli aneddoti degli altri. Lunghi capelli biondi, immancabile rossetto rosso, occhiali da sole neri, mani curatissime e unghie laccate», così la descrive Selvaggio. E così proviamo a immaginarla in occasione dell’apertura di Cinzia says…, la prima grande antologica dedicata a questa figura irregolare che si è mossa con assoluta libertà tra la moda, l’arte e il design. Con una fantasia al tempo stesso infantile e raffinatissima, Ruggeri giocava con gli abiti, gli accessori, gli arredi e le luci trasformandoli in oggetti espressivi, ironici e provocatori attraverso libere associazioni che avrebbero fatto piangere di gioia gli artisti del Surrealismo. I famosi stivali Italia, una borsa rossa con mano incorporata che diventa uno schiaffo, guanti verdi da cui pendono nastrini-fili d’erba, abiti dotati di catenelle «necessarie a scaricare le emozioni di chi li indossa» o di cristalli liquidi che si illuminano con il calore del corpo, divani personalizzati a seconda di chi ci si accomoda.

Cinzia Ruggeri, Stivali Italia, 1986. Photo credits: Rebecca Fanuele. Courtesy: Archive Cinzia Ruggeri, Milan; Campoli Presti, London, Paris

Cinzia Ruggeri, Nightgown, autumn/winter 1984-1985, Photo credits: Alessandro Zambianchi, Courtesy Archive Cinzia Ruggeri, Milan; Galleria Federico Vavassori, Milano

Cinzia Ruggeri, Gioiello per lampadina, 1978-2018, Photo credits: Alessandro Zambianchi, Courtesy: Archive Cinzia Ruggeri, Milan; Galleria Federico Vavassori, Milan

Cinzia Ruggeri, Abito salame, 1989, Photo credits: Santi Caleca, Courtesy: Archive Cinzia Ruggeri, Milan; Galleria Federico Vavassori, Milan

Cinzia Ruggeri, Vanity gatti, 1995 (detail), Photo credits: Nelly Rodriguez, Courtesy: Archive Cinzia Ruggeri, Milan; gta exhibitions, ETH Zurich

Il titolo della mostra al Macro, dal 14 aprile al 28 agosto (a ottobre si sposterà a Londra, al Goldsmiths Centre for Contemporary Art) viene da un verso della canzone “Elettrochoc” dei Matia Bazar, altri interpreti degli anni Ottanta: «Cinzia said, vorrei cambiare il mio vestito vecchio che ormai non mi sta bene più su». Ruggeri ha collaborato più volte con il gruppo: è l’autrice dell’abito di moiré di seta verde, intitolato Omaggio a Levi Strauss ma più conosciuto come “ziqqurat”, che compare sulla cover di “Aristocratica”, lo stesso indossato da Antonella Ruggiero nei live in cui cantava la canzone (notare le cravatte a gradini degli altri componenti della band). Era il 1984: la mente fantasiosa di Cinzia Ruggeri sfornava abiti, opere e oggetti da almeno due decenni. La sua prima mostra, nel 1960, a 18 anni, fresca di Accademia delle arti applicate di Milano, si meritò una deliziosa nota di Dino Buzzati: «Cinzia Ruggeri ha diciott’anni, dipinge, abita a Milano e in casa sua c’è un pianoforte verticale che però lei non suona e anche gli altri suonano poco. Un giorno, rincasata verso l’imbrunire (l’ora ha probabilmente la sua importanza) trovò sparse sul pavimento, ai piedi del pianoforte, una quantità di note. Cinzia pensò che in sua assenza avesse suonato il piano qualcuno poco uso alle maniere della buona società, sbriciolando musica tutt’intorno come fanno i maleducati. Così le note entrarono nella sua vita». E poi concludeva: «Quelli che la conoscono bene dicono che è un poco pazza. Chissà che nuovi e imprevedibili amori sta già meditando. Chi vivrà, vedrà».

Ritratto di / Portrait of Cinzia Ruggeri. Photo credits: Alfa Castaldi. Courtesy: Archivio / Archive Alfa Castaldi

Nata in una famiglia borghese, Cinzia vive per un periodo a Parigi, dove fa uno stage nell’atelier Carven. Poi torna a Milano e va a lavorare nell’azienda di abbigliamento del padre. Nel 1972, a 30 anni, fonda il suo brand di moda, Bloom, a cui poi affianca la linea Cinzia Ruggeri e per un paio di stagioni anche la collezione maschile Cinzia Ruggeri. Un aspetto inedito della mostra è propria la presentazione di una selezione di oltre 150 capi appartenenti a queste collezioni, restaurati ed esposti per la prima volta dopo l’uscita in passerella negli anni Settanta e Ottanta. Alcuni di questi abiti sono raggruppati per evidenziare progetti o collaborazioni specifiche, come quelle con Studio Alchimia, Occhiomagico, la performer e coreografa Valeria Magli e la rivista Domus. Il tutto avvolto in una dolcissima luce rosa. «Vedo la donna», diceva Ruggeri, «come un foglio rosa un po’ profumato molto femminile, però con del cervello. C’è sempre stato spazio per l’intelligenza».

Come ricorda Mariuccia Casadio nel bel ricordo scritto dopo la morte dell’amica (il 6 novembre 2019, a 77 anni) a un certo punto, all’apice del successo, Cinzia Ruggeri lascia Milano e va a vivere in Salento, dove rimane per 10 anni. Poi ritorna a Milano e, come se niente fosse, riprende giocare con l’arte, la moda e il design, fino alla fine. Al Macro c’è anche la règle du jeu?, ultima mostra dell’artista realizzata per la Galleria Federico Vavassori di Milano, pochi mesi prima di morire.

Cinzia Ruggeri, Cinzia Says… Exhibition view, MACRO, 2022, Photo Piercarlo Quecchia, DSL Studio, Courtesy Archivio Cinzia Ruggeri Milano / Milan

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