Hype ↓
16:30 venerdì 11 luglio 2025
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.
Damon Albarn ha ammesso che la guerra del Britpop alla fine l’hanno vinta gli Oasis Il frontman dei Blur concede la vittoria agli storici rivali ai fratelli Gallagher nell’estate della loro reunion.
La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.
La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.

Seaspiracy è la conferma che Netflix ha un problema con i documentari

Il lavoro di Ali Tabrizi, come altri presenti sulla piattaforma, non si preoccupa di verificare le informazioni e ha il solo scopo di far credere allo spettatore di essere vittima di una cospirazione.

06 Aprile 2021

È possibile che dopo aver guardato Seaspiracy su Netflix smettiate di mangiare pesce. Per un giorno o due, per una settimana, un mese. Poi l’effetto dello shock si riassorbirà come un ematoma e tutto tornerà come prima. D’altra parte, non abbiamo buttato via lo smartphone dopo The Social Dilemma, altro shock metabolizzato e dimenticato. Il documentario diretto (e «interpretato») da Ali Tabrizi prova a condensare il lungo percorso di cambiamento che spinge le persone a diventare vegane dentro un tunnel dell’orrore di novanta minuti su tutti i mali della pesca. Seaspiracy è la pillola rossa super concentrata per accorciare il processo, anzi, per sostituirlo. Nessuna sfumatura, nessuna complessità, perché la complessità porta complicazioni narrative e non si sminuzza o digerisce facilmente. È il problema del documentario contemporaneo, militante ma di massa: le piattaforme come Netflix (dove potete guardare Seaspiracy, Cowspiracy, What the Health, The Social Dilemma) hanno spalancato gli orizzonti al genere, ma lo hanno anche modificato geneticamente. Oggi i documentari devono essere esperienze trasformative, un’ora e mezza ad alta intensità radicale, con la call to action finale, per uscire rinnovati e in missione, come al termine di una beauty farm etica. Il problema delle pillole rosse, però, è che esistono solo in Matrix o nelle metafore dei fanatici. Non si diventa vegani per effetto di intense cure Ludovico e comunque non è per questo che esistono i documentari. 

Seaspiracy mette il dito su un problema enorme: l’industria della pesca è insostenibile dal punto di vista ambientale, sanitario e sociale. Non c’è altro modo di definire l’overfishing se non come una catastrofe e non esiste transizione ecologica senza un cambiamento sostanziale nel modo in cui il cibo viene prelevato dagli oceani. Però Seaspiracy non vuole informarci su questo, vuole trasformarci, e questo slittamento ha una prima vittima collaterale: la scienza. Si potrebbero fare cinque ore di debunking sui novanta minuti di Seaspiracy. Il suo dato più forte, l’architrave del ragionamento, è falso. Tabrizi ci dice che gli oceani saranno vuoti nel 2048 se continueremo così. Ha preso il dato da una ricerca del 2006, ritrattata dal suo autore (l’ecologo canadese Brian Worm) già nel 2009. Inoltre, la pesca collaterale e per errore di specie protette non è il 40 per cento ma il 10 per cento del totale, secondo Nazioni Unite e Fao. Un solo studio ha parlato di 40 per cento, forzando le unità di misura, mescolando specie in via di estinzione e spreco alimentare, che è un problema, ma è un altro problema. Certo, Onu e Fao potrebbero mentirci, potrebbe essere tutta una cospirazione, come suggerisce il titolo, ed è uno degli effetti di questo tipo di documentari, metterci nella posizione di dover pensare: mentono, tutti mentono, e solo io posso cambiare le cose.

Il padre di questi filmmaker in missione è ovviamente Michael Moore. In primo piano lui e tutto il resto dietro. Ogni tanto verrebbe da dire a Tabrizi quello che Dini Risi diceva a Nanni Moretti: “spostati e facci vedere i pesci”. Come Moore, Ali è affabile con lo spettatore ma spietato con i cattivi, è coraggioso ed emotivo, quando cerca informazioni sensibili su Google ha il cappuccio della felpa sulla testa, come nelle foto di stock per illustrare una pagina Seo su come diventare giornalisti investigativi. Il film è il suo viaggio trasformativo di un bambino che amava le balene. Dal primo minuto ci tiene a farci sapere che sta rischiando la sua vita per cambiare la nostra. Verso la prima mezz’ora si nasconde dietro un muro, indica la scena alla sua compagna di viaggio e di vita Lucy Tabrizi e ci fa sapere che in quel momento ha scoperto davanti ai nostri occhi la multimiliardaria industria del tonno. Seguono immagini brutali. Ce ne sono tantissime, spesso d’archivio, fanno male a vedersi: tartarughe fatte a pezzi, squali morti buttati in mare, delfini maciullati. Il linguaggio visivo di Seaspiracy sarà familiare a chi guarda ancora Le Iene: allegria apocalittica, dress code fisso, inseguimenti, immagini sfiancanti, manipolazioni e interviste tagliate sulle pause e le esitazioni dei colpevoli, perché quale migliore prova di una cospirazione che un’esitazione alla domanda: dovremmo smettere di mangiare pesce e basta? È ovviamente una domanda legittima, il problema è nel percorso tracciato dal documentario per indurci a una risposta. 

Kip Andersen è il produttore di Seaspiracy ed era il regista di Cowspiracy e What the Health, altre due pietre miliari del documentario trasformativo. Sono di fatto una sola saga, con la stessa forzatura di ricerche e dati (in What the Health si parla dei danni alla salute di una dieta e non vegana, si dice che il latte causa il cancro e che le uova fanno male quanto le sigarette) e lo stesso obiettivo, non tanto i consumatori o i produttori, ma quella complicata terra di mezzo, fatta di miglioramenti, cadute, rischi e compromessi, che è la sostenibilità. È una parola sulla quale nutrire la giusta diffidenza, il greenwashing è uno dei prodotti più nocivi della contemporaneità e non c’è grande inquinatore globale che oggi non parli di sostenibilità. Eppure è l’unico terreno di evoluzione e incontro che abbiamo tra produzione, consumo e ambiente. La sostenibilità è fallata e imprecisa come la democrazia, ma è anche senza alternative migliori su larga scala. Kip Anderson e Ali Tabrizi non sono d’accordo e usano ogni mezzo possibile per convincerci del fatto che la sostenibilità vada bombardata e che lo scopo etico di quel bombardamento consenta qualsiasi distorsione retorica o scientifica. Non si può stare in mezzo, o con noi o contro di noi. 

Alla fine di Seaspiracy viene intervistato un baleniere delle isole Far Oer che, come ogni baleniere, usa questo argomento standard: che differenza c’è tra mangiare una balena pilota e un pollo d’allevamento? Lì dove gli estremi si incontrano, l’ecologista vegano e il baleniere scandinavo sono d’accordo: non c’è differenza. O stai col baleniere, e allora vale tutto, o stai con Seaspiracy. In mezzo ci sono tutti gli altri: Onu, Fao, le organizzazioni ambientaliste a destra di Sea Shepard e Peta, i certificatori di sostenibilità. La terra di mezzo è dove stanno i dubbi, la complessità, la scienza, gli onnivori, gli errori, i compromessi e chiunque creda che la pesca vada radicalmente riformata ma non abolita.

Articoli Suggeriti
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno

Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.

La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale

Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.

Leggi anche ↓
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno

Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.

La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale

Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.

C’era una volta Fofi

Una vita di viaggi, riviste, letture, stroncature, litigi, allievi. Ricordo di uno dei protagonisti della cultura italiana, morto oggi a 88 anni, scritto da un suo allievo più volte stroncato.

A Giorgio Poi piace fare tutto da solo

Cantautore, polistrumentista, produttore, compositore di colonne sonore e molto altro. L’abbiamo intercettato, rilassatissimo, pochi giorni prima della partenza per il tour italiano ed europeo di Schegge, il suo nuovo disco, che lo terrà occupato tutta l’estate.

Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero

Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.

II nuovo Superman è la storia di un immigrato che ci fa paura

L'attesissimo reboot dell'Uomo d'acciaio diretto da James Gunn è appena arrivato nelle sale, sorprendendo tutti. Perché è un film solare, divertente, nerd ma soprattutto politico.