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12:45 venerdì 7 novembre 2025
Nel nuovo album di Rosalia c’è una canzone in italiano dedicata a San Francesco e Santa Chiara Si intitola "Mio Cristo Piange Diamanti", che lei definisce «la sua versione di un'aria», cantata in un perfetto italiano.
Si è scoperto che uno degli arrestati per il furto al Louvre è un microinfluencer specializzato in acrobazie sulla moto e consigli per mettere su muscoli Abdoulaye N, nome d'arte Doudou Cross Bitume, aveva un bel po' di follower, diversi precedenti penali e in curriculum anche un lavoro nella sicurezza del Centre Pompidou.
La Presidente del Messico Claudia Sheinbaum è stata molestata da un uomo in piazza, in pieno giorno e durante un evento pubblico Mentre parlava con delle cittadine a Città del Messico, Sheinbaum è stata aggredita da un uomo che ha provato a baciarla e le ha palpato il seno.
Una foto di Hideo Kojima e Zerocalcare al Lucca Comics ha scatenato una polemica internazionale tra Italia, Turchia e Giappone L'immagine, pubblicata e poi cancellata dai social di Kojima, ha fatto arrabbiare prima gli utenti turchi, poi quelli italiani, per motivi abbastanza assurdi.
Nella vittoria di Mamdani un ruolo importante lo hanno avuto anche i font e i colori della sua campagna elettorale Dal giallo taxi alle locandine alla Bollywood, il neo sindaco di New York ha fatto un uso del design diverso da quello che se ne fa di solito in politica.
Il nuovo album di Rosalía non è ancora uscito ma le recensioni dicono che è già un classico Anticipato dal singolo e dal video di "Berghain", Lux uscirà il 7 novembre. Per la critica è il disco che trasforma Rosalia da popstar in artista d’avanguardia.
La nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian che fa l’avvocata è stata demolita da tutta la critica All’s Fair centra lo 0 per cento su Rotten Tomatoes, in tutte le recensioni si usano parole come terribile e catastrofe.
Un giornalista italiano è stato licenziato per una domanda su Israele fatta alla Commissione europea Gabriele Nunziati ha chiesto se Israele dovesse pagare la ricostruzione di Gaza come la Russia quella dell'Ucraina. L'agenzia Nova lo ha licenziato.

Tijuana/San Diego

L'architetto Teddy Cruz e la slumchitecture: ovvero costruire ai confini tra architettura d'autore e ONG

13 Dicembre 2011

Nel suo Magical Urbanism (in italiano I latinos alla conquista degli Usa), Mike Davis dedica un intero capitolo a Tijuana e alla sua relazione con San Diego. Affacciate sul confine tra le rispettive nazioni, che comprende diversi altri binomi di ciudades hermanas, queste due città gemelle (socio-economicamente eterozigote) incarnano un rapporto al contempo simbiotico e conflittuale. Fin dagli inizi del novecento, infatti, Tijuana deve la sua rapida espansione principalmente all’incessante domanda statunitense di manodopera messicana a basso costo, filtrata attraverso quello che, più che un muro, di fatto è una diga atta a modularne il flusso, a seconda dei bisogni dell’otro lado. Questo scambio continuo, complice un proficuo sistema di maquiladoras (sweatshops locali), ha generato una frontera deliberatamente porosa, con dinamiche economiche formali ed informali che si legittimano l’una con l’altra. Il risultato di questa situazione è che l’infrastruttura formale pubblica di Tijuana è rimasta indietro di una generazione, dando però luogo ad una popolazione di bricoleurs, “in grado di costruire dal basso una metropoli culturalmente incandescente”. E, se le compagnie statunitensi hanno dato forma alla città messicana, un po’ dello spirito di Tijuana ha contagiato la sua sorella ricca.

Una figura particolarmente esemplare in questo senso è l’architetto Teddy Cruz, attivo da entrambi i lati della lìnea e fautore di una pratica professionale che molto deve all’inventiva degli slum. Nato in Guatemala, l’architetto ha (tra le altre cose) vinto il prestigioso Premo Roma e rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Architettura di Venezia del 2008. Per l’occasione, l’entrata del Padiglione Americano era stata temporaneamente mascherata da muro, come riferimento al confine Usa-Messico.

Cruz, che ha fondato il proprio studio di architettura a San Diego nel 1993, è sempre stato convinto che le dinamiche urbanistiche informali delle shantytowns messicane abbiano molto da insegnare alle gated communities dei sobborghi americani, sia in termini di ottimizzazione della densità che di sostenibilità ambientale ed inclusione sociale. Per affrontare questi problemi, più che mai attuali, l’architetto cerca di riprodurre alcuni aspetti caratteristici degli stanziamenti informali nel proprio lavoro: retrofitting, unità abitative semplici, creazione di spazi pubblici ad uso misto che mischino le dinamiche familiari con quelle pubbliche e commerciali. Nella comunità suburbana di San Ysidro, ai margini di San Diego, Cruz ha realizzato Casa Familiar: Living Rooms at the Border, un progetto di trasformazione comunitaria che comprende sia la creazione di alloggi economici che l’integrazione di spazi pubblici e di un mercato all’aperto. Dai modelli e dai rendering che si trovano su internet si vede chiaramente come l’estetica degli slum influenzi quella di Cruz, la quale (per quanto più pulita e minimal) mantiene un’organica complessità e una scala molto umana.

Aldilà della forma che i suoi progetti assumono, però, uno dei meriti di Teddy Cruz è quello di provare a ridefinire il proprio ruolo professionale. Il suo studio collabora strettamente con NGO e altri attori urbani di vario tipo (che includono pure Mike Davis, tra l’altro), cercando di trovare un punto di incontro tra regolamentazioni pubbliche e planning dal basso. L’architetto ha espresso più volte la sua ammirazione per figure come Enrique Peñalosa e Sergio Fajardo (sindaci rispettivamente di Bogotà e di Medellin), che a suo dire si sono dimostrati particolarmente illuminati nell’incorporare alcune pratiche informali nelle loro città all’interno di un’infrastruttura pubblica, creando situazioni virtuosamente ibride.

Teddy Cruz non è il solo a essersi interessato agli slum come a una risorsa per lo sviluppo di scenari urbani futuri. Un paio d’anni fa il termine “slumchitecture” si faceva strada nella blogosfera, e persino il principe Carlo aveva indicato Dharavi (la favela gigante di Mumbai, quella di Slumdog Millionaire) come possibile teatro di formule alternative alla solita urbanizzazione globalizzata, insensibile ai contesti specifici. Tutto ciò è molto bello e promettente, ma ovviamente (soprattutto quando si parla di soluzioni più che mai locali) una buzzword non basta.

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