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La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha nominato il nuovo governo e ha fatto ministri tutti i membri della sua famiglia In un colpo solo ha sistemato due figlie, un nipote, un genero, un cognato e pure un carissimo amico di famiglia.
Sally Rooney ha detto che i suoi libri potrebbero essere vietati in tutto il Regno Unito a causa del suo sostegno a Palestine Action E potrebbe addirittura essere costretta a ritirare dal commercio i suoi libri attualmente in vendita.
In Francia è scoppiato un nuovo, inquietante caso di “sottomissione chimica” simile a quello di Gisèle Pelicot Un funzionario del ministero della Cultura ha drogato centinaia di donne durante colloqui di lavoro per poi costringerle a urinare in pubblico.
Dopo quasi 10 anni di attesa finalmente possiamo vedere le prime immagini di Dead Man’s Wire, il nuovo film di Gus Van Sant Presentato all'ultima Mostra del cinema di Venezia, è il film che segna il ritorno alla regia di Van Sant dopo una pausa lunga 7 anni.
Un esperimento sulla metro di Milano ha dimostrato che le persone sono più disponibili a cedere il posto agli anziani se nel vagone è presente un uomo vestito da Batman Non è uno scherzo ma una vera ricerca dell'Università Cattolica, le cui conclusioni sono già state ribattezzate "effetto Batman".
Secondo una ricerca dell’università di Cambridge l’adolescenza non finisce a 18 anni ma dura fino ai 30 e oltre Secondo nuove analisi neuroscientifiche, la piena maturità cerebrale degli adulti arriva molto dopo la maggiore età.
I fratelli Duffer hanno spiegato come settare la tv per guardare al meglio l’ultima stagione di Stranger Things I creatori della serie hanno invitato i fan a disattivare tutte le “funzioni spazzatura” delle moderne tv che compromettono l'estetica anni '80 di Stranger Things.
L’incendio di Hong Kong potrebbe essere stato causato dalle tradizionali impalcature in bambù usate nell’edilizia della città Le vittime accertate sono 55, ci sono molti dispersi e feriti gravi. Sembra che il rogo sia stato accelerato dal bambù usato nei lavori di ristrutturazione.

L’Europa

A 67 anni dalla guerra, l'Europa torna a dividersi. E se invece la crisi fosse un'opportunità?

06 Dicembre 2011

La prima apparizione della parola Europa si trova in un antico mito greco che racconta la storia di Europa, giovane principessa fenicia figlia di Tiro, che viene rapita da Zeus sotto le forme di un toro bianco e condotta a Creta dove, accoppiandosi con il padre degli dei, dà alla luce tre figli, tra cui Minosse, futuro re di Creta, indirettamente responsabile della nascita del Minotauro. Europa, in greco antico, significava occidente e in epoca romana passò a indicare tutte le terre a nord del Mediterraneo, senza però specificare precisi confini settentrionali.

Per chi non vive all’età di Omero ma nel presente della finanza, l’apparizione di tanti simboli legati al toro nel mito d’Europa suona un po’ come un paradosso, visto che oggi il toro indica i periodi positivi e di rialzo dei mercati (contrapposto all’Orso che indica la stagnazione e il ribasso), ovvero le circostanze opposte a quelle in cui ci troviamo e che, di fatto, stanno minando le basi stesse dell’Europa, intesa come progetto di Unione non solo economica. Un’idea – quella dell’Unione Europea – che sorge dalle ceneri della seconda guerra mondiale, per iniziativa di un manipolo di giganti politici dell’epoca, l’inglese Winston Churchill, il tedesco Konrad Adenauer, l’italiano Alcide De Gasperi e il francese Robert Schumann al quale si deve l’omonimo piano che prevedeva la gestione in comune delle rispettive risorse carbosiderurgiche di sei stati: Lussemburgo, Italia, Germania, Belgio, Francia e Paesi Bassi. Il trattato Schumman, sottoscritto il 18 aprile 1951, costituiva così la prima tappa nel processo di creazione di una Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – prototipo di un’Unione più ampia, la quale si avviava verso una maggiore integrazione con il successivo Trattato di Roma del 1957 che istituiva  la CEE, ovvero la Comunità Economica Europea, la quale aveva tra i suoi scopi la libera circolazione di merci e persone all’interno del territorio comunitario. Quando, 35 anni dopo, a Maastricht si firma l’omonimo trattato, la CEE perde una E, quella di economica per diventare Comunità Europea e punto. Si vuole così dare un segnale forte di coesione, basata non solo su comuni interessi economici ma anche sulla condivisione di una cultura e una storia comune. È il 7 febbraio 1992 e con il trattato di Maastricht vengono gettate le basi per una politica monetaria comune, per una stretta cooperazione in termini di affari interni e giustizia e viene creato l’SEBC, il Sistema Europeo delle Banche Centrali europee che all’epoca includeva le sole banche centrali degli stati e che dal 1 luglio 1998 avrebbe incluso anche la neonata BCE, Banca Centrale Europea, sviluppata sul modello rigorista e iperefficiente della BundesBank tedesca.

A leggere, di questi tempi, le cronache scritte nelle varie epoche – dal dopoguerra, in poi nei cinquant’anni che hanno portato dai primi entusiastici vagiti del Congresso Europeo all’introduzione della moneta unica- in merito agli sviluppi della storia della UE si rimane colpiti da due cose: la spensieratezza e l’ottimismo che traspaiono e l’assoluta fiducia nel fatto che l’Europa fosse una cosa positiva – quasi facile da realizzare sull’onda dell’entusiasmo e della buona volontà dei popoli – a prescindere da qualunque altra considerazione e prospettiva storica. Un atteggiamento comprensibile nel 1949, se si pensa che l’Europa, come area geografica, era uscita a pezzi dalla guerra più terribile della storia e si sarebbe fatto qualunque sacrificio pur di evitare il ripetersi di una simile catastrofe;  meno comprensibile quando, già dagli anni ’70, dopo la grande crescita economica che toccò più o meno tutti gli stati membri, con la crisi energetica iniziarono a nascere i primi dissapori e le prime disparità nello sviluppo delle economie nazionali, tanto che, nel 1974, si arrivò alla fondazione di un Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, allo scopo di aiutare le regioni depresse dei singoli membri, in modo da livellare verso l’alto il livello di competitività medio degli aderenti.

In questi mesi di agonia dell’Unione è ovviamente facile dirlo ma quello che si stenta a trovare, leggendo le analisi dell’epoca è un po’ di sana realpolitik basata su un assunto molto pragmatico, ovvero che per quanto ci si doti di vincoli e legami, finché la sovranità nazionale si mantiene a un livello paritario, anzi superiore, ai meccanismi d’integrazione; l’arena della politica internazionale resta un’arena anarchica in cui non esistono monopoli legali di forze coercitive e quindi come tale soggiace a dei puri rapporti di forza.

Qualche giorno fa Paul Krugman, columnist economico del New York Times, ha scritto che i responsabili del governo dell’Unione Europea non sono dei freddi tecnocrati come li si dipinge, e nemmeno lo erano i primi ispiratori della UE, la verità – scrive Krugman – è che «la marcia dell’Europa verso la moneta unica» era fin dall’inizio «un progetto sospetto sulle basi di un’obiettiva analisi economica. Le economie del continente erano troppo diverse per funzionare senza ostacoli all’interno di una politica monetaria unica che andasse bene per tutti. Troppo esposte a essere sottoposte a shock asimmetrici per cui alcuni paesi crescevano mentre altri entravano in recessione». La conclusione di Krugman è che quelli che noi abitualmente chiamiamo tecnocrati in realtà siano, e siano stati, degli inguaribili romantici ad aver pensato di poter creare senza ostacoli un simile cerbero politico-economico che includeva al suo interno il rigore e l’efficienza germanica, lo sciovinismo francese e il tracheggiare mediterraneo «spinti dal sogno dell’Unificazione (…) e dalla speranza – guidata dalla voglia di credere, a dispetto di grandi evidenze contrarie – che tutto sarebbe andato per il meglio fintanto che le singole nazioni avessero applicato le virtù Vittoriane della stabilità dei prezzi e della prudenza fiscale».

Si tratta di un’analisi cui, senza scendere in troppi tecnicismi, sembra difficile dare torto, specie se messa in prospettiva all’interno di un ciclo storico più ampio – di cui questa crisi è più un effetto che non una “causa efficiente” – che sta iniziando a relegare l’Occidente – e ancora più acutamente l’Europa – in un’orizzonte di decrescita; ma è un’analisi che proviene di là dell’Atlantico e che un europeo può sottoscrivere solo in parte. Perché se è vero che abitiamo il suolo che ha partorito la civiltà ma anche la guerra dei Trent’anni, la democrazia ma anche l’inquisizione, l’Illuminismo ma anche il Medioevo, dovremmo anche essere i più “portati” a riconoscere, con prosaico realismo, le sinusoidi della Storia e quindi a sapere che l’Unione Europea, a 67 dalla fine della guerra, e ancora e comunque una creatura ai suoi primi passi ma resta un’idea per la quale vale la pena spendersi, a patto che si sia tutti d’accordo su questo punto: “che ne vale la pena”. E che si sia tutti d’accordo che la Storia non offre mai soluzioni semplici e univoche e non lo farà nemmeno in questo caso: siano esse fare di tutta l’Europa un feudo economico della locomotiva tedesca, procedere uniti al passo del ritardo dell’area mediterranea o disgregarci in una polvere di piccole economie fuori dal tempo.

Ha ragione Krugman, finora noi europei siamo stati romantici; questo nuovo ciclo storico ci costringe a mostrare le carte che ciascuno ha in mano, ci offre l’occasione di essere pragmatici, di concertare una soluzione comune e di portare un po’ di realpolitik dentro il “sogno” dell’Unione, prima che l’Europa diventi davvero, e in tutti i sensi, una cosa vecchia dal mondo.

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