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Una ricerca ha dimostrato che la crescita economica non è più legata all’aumento delle emissioni di CO₂ E, di conseguenza, che la transizione energetica non è un freno all'aumento del Pil, neanche nei Paesi più industrializzati.
Reddit ha fatto causa al governo australiano per aver vietato i social ai minori di 16 anni La piattaforma è convinta che la legge anti soci isoli i minorenni e limiti la loro voce politica nella società, fornendo benefici minimi.
La casa di Babbo Natale in Finlandia quest’anno è piena di turisti ma anche di soldati Nato L’escalation al confine russo ha trasformato la meta turistica natalizia della Lapponia in un sito sensibile per l’Alleanza Atlantica.
Il governo americano vuole che i turisti rivelino i loro ultimi 5 anni di attività sui social per ottenere il visto Vale anche per i turisti europei che dovranno consegnare la cronologia dei loro account su tutte le piattaforme social utilizzate.
Ora su Letterboxd i film si possono anche noleggiare e sono già disponibili molte chicche introvabili altrove I titoli disponibili saranno divisi in due categorie: classici del passato ormai introvabili e film recenti presentati ai festival ma non ancora distribuiti su altre piattaforme.
Da quando è stata introdotta la verifica dell’età, nel Regno Unito il traffico dei siti porno è calato ma è anche raddoppiato l’utilizzo di VPN Forse è una coincidenza, ma il boom nell'utilizzo di VPN è iniziato subito dopo l'entrata in vigore della verifica dell'età per accedere ai siti porno.
Secondo una ricerca, nel 2025 abbiamo passato online più tempo che durante i lockdown Oramai i "vizi" presi durante la pandemia sono diventati abitudini: ogni giorno passiamo online tra le quattro e le sei ore.
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.

La Repubblica Catalana

Esaltare la politica negli stadi, ma solo se la fa il Barcellona. Repubblica e l'indipendenza della Catalogna.

08 Ottobre 2012

Il Clasico, Barcellona – Real Madrid di domenica sera, è stato sicuramente un match più bello del Derby di Milano, almeno secondo i canoni che ultimamente inquadrano il pallone come uno sport in cui non sia prevista la presenza di una difesa. Si sapeva da giorni, oltretutto, che il Barcellona avrebbe tinto il Camp Nou di giallo e rosso, con una coreografia tutta a tema catalano, per gridare orgogliosi “indipendenza!” davanti ai cattivi per antonomasia, i tiranni, potenti e ricchi, biechi e oscuri, anche se travestiti da meringhe.

Ci sarebbero tante cose di cui parlare. In primis come giudicare l’appropriazione del palcoscenico sportivo da parte di una causa tutta politica. In secundis valutare (ma freddamente, da “osservatori esterni”, è operazione strana, probabilmente non sincera) se la Catalogna abbia o non abbia ottime ragioni per chiedere la separazione da Madrid. Infine calcolare a chi converrebbe l’eventuale divorzio (tenendo conto che la regione non è più la “locomotiva d’Europa” come era stata fino a pochi anni fa). Ma il punto primo è forse il più controverso. Inevitabile, certo, che il calcio possa diventare megafono anche per istanze non strettamente sportive. Inevitabile e nemmeno tanto sbagliato. Anche grazie alla sua permeabilità alla cultura e al “sentimento” il calcio è molto più di un gioco. Anche grazie a questo battere la Germania è così bello.

E però quando lo sport diventa mero pretesto per la rivendicazione politica qualche risposta possiamo darla. Viene da storcere il naso. Perché la politica involgarisce, forse. Perché svilisce. Certo perché complica spesso le cose. Ragion per cui, da commentatori esterni, dovremmo guardare con cautela alla manifestazione di orgoglio indipendentista catalano. A Repubblica non l’hanno pensata così. Non l’ha pensata così, evidentemente, Daniele Mastrogiacomo, esperta firma del quotidiano romano, spesso inviato nelle zone più calde del pianeta.

L’articolo di pagina 15, “L’urlo dello stadio – il Barcellona gioca per l’indipendenza”, non tiene in considerazione alcun principio di cautela. Anzi. I toni sono quelli da documentario di partito, l’esaltazione della coreografia catalana la fa da padrone. Non vi è il minimo dubbio – e dire che il pezzo è lunghetto – sulla deriva politica di una partita di calcio. Sì, ci sono le osservazioni economiche del caso. Ma la sensazione è che Repubblica (o Mastrogiacomo, come preferite) si sia arruolata non solo calcisticamente nell’esercito del Barcellona-modello-di-vita. La squadra simpatica e umanitaria e leale (?) ha diritto a fare politica allo stadio. Pensate se l’avesse fatto il Madrid, pensate se lo farà nel Clasico di ritorno. Complici le vecchie simpatie di Franco per i blancos, sarebbe il finimondo. Nazionalisti, fascisti. Invece il Barca no. Il Barca è “mès que un club”. È anche un partito politico, e la cosa sembra non infastidire nessuno. Al Barcellona è concesso anche questo.

Il pezzo non è disponibile online, riporto alcuni stralci per rendere l’idea.

Come tre secoli fa. Per riaccendere un sentimento mai scomparso. Un sogno che adesso è a portata di mano. (…) Migliaia di bandiere con i colori della regione sventolano sugli spalti, non si è mai visto uno stadio così, tutto a strisce gialle e rosse, i colori del Barca ma soprattutto della Catalogna. E dopo 17 minuti e 14 secondi dal calcio d’inizio, a rievocare la data dell’ingresso delle truppe franco-ispaniche a Barcellona durante la guerra d’indipendenza, un enorme striscione scivola sugli spalti accolto da un solo grido, assordante: «Independencia!». Un grande mosaico, a strisce gialle e rosse, si srotola sui tifosi che lo agitano, lo sollevano e lo scuotono in un tripudio di slogan a favore della svolta. È come un segnale: sulle curve le “esteladas”, le bandiere con una stella bianca sullo sfondo blu, simbolo dell’Indipendenza (indipendenza è davvero maiuscolo, nda) vengono sollevate in aria e agitate. Uno striscione spicca sugli altri. Indica già un programma: «Catalogna, l’Europa è la tua prossima tappa». È già accaduto. Un mese fa, l’11 settembre scorso. Pep Guardiola, ancora amatissimo dal suo pubblico del Barca, si collega da New York dove trascorre il suo anno “sabbatico”. Appare sul megaschermo della piazza principale di Barcellona invasa dalla folla. Mostra il libretto verde dell’Indipendenza (sic, ancora). Annuncia: «Un voto in più per la nuova Catalogna». È accolto da un boato. Un milione e mezzo di persone sono scese per le strade. C’è anche Sandro Rosell, il presidente della squadra che ha conquistato tutto quello che c’era da conquistare. Partecipano alla “diada”, la festa nazionale. Una festa diversa, imponente, piena di emozioni: una ricorrenza che assume una valenza politica come non accadeva dal 1714. In ballo c’è la realizzazione di un obiettivo che tutti sentono finalmente possibile. Lo stacco dal potere centrale di Madrid, la nascita di uno Stato nuovo: orgoglioso delle sue origini, della sua lingua, dei suoi valori. E della sua economia che contribuisce con un 20 oer cento all’intero Pil della Spagna.

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