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La nuova guerra dello zucchero

Dopo glutine, grassi saturi, olio di palma, è venuto il momento dello zucchero. Ma l’industria alimentare lo usa anche per conservare gli alimenti.

12 Gennaio 2017

Quando ti rendi conto che il ristorante in cui lavori si avvia verso il naufragio, la prima cosa che fai è cominciare ad allertare gli amici che lavorano nel settore. I miei “agenti” in borghese sono in realtà importatori di vini con macerazioni bibliche, dealers di olive giganti, trafficanti di volatili proibiti, cercatori di tartufi e camerieri dai lineamenti segnati come pirati delle Antille. A un certo punto c’era la possibilità che andassi a lavorare da uno chef giapponese geniale che, soltanto l’anno prima, aveva aperto il suo primo ristorante e vinto su due piedi tutti i premi possibili.

«Ho un posto che si libera», mi scrive lo chef giapponese del ristorante pluripremiato e fichissimo, «però devi venire subito». E io gli dico: «Fantastico, è un sogno! Lo stipendio non importa, posso solo sapere che cosa dovrò fare di preciso?».

«Beh, i dolci».

«Ah».

Nella subcultura dei cuochi, quelli a cui piace fare i dolci sono più o meno l’equivalente dei batteristi: sono simpaticissimi o decisamente passivo-aggressivi, non potresti mai vivere senza di loro e sono perfetti per le barzellette. Vige una separazione rigorosissima fra i cuochi salati e i cuochi dolci: «Ci sono dei ristoranti che fanno dei dolci buonissimi: si chiamano pasticcerie». I pasticceri sono quelli che pesano le cose, ragionano in grammi, sanno quanto pesa un tuorlo d’uovo, mentre i cuochi salati fanno la maionese a occhio e ragionano in “pizzichi”. Sono i cuochi che usano lo zucchero.

Sugar Fall

Un paio di articoli e un libro usciti al momento giusto lasciano credere che dopo il glutine, i grassi saturi, la carne rossa e l’olio di palma, il prossimo grande nemico della sana alimentazione sarà proprio lui, lo zucchero. Mentre i precedenti nemici erano stati una rivelazione, se non addirittura un fulmine a ciel sereno, la storia dello zucchero è diversa. E da sempre un po’ sospetta. Una serie di piccoli ostacoli impediscono al nostro buon senso di considerare lo zucchero come una droga a tutti gli effetti: non è eccitante come il caffè, l’erba o la cocaina, e se provoca dipendenza tendiamo a vederlo come un desiderio infantile, una cosa che sicuramente fa male se ne mangi troppo ma alla fine non ne è mai morto nessuno.

Giusto per ricapitolare gli argomenti all’ordine del giorno: Niente glutine? Niente grassi saturi? Niente olio di palma? Niente gelatina di maiale o colla di pesce? Perfetto, nessun problema, risponde l’industria alimentare. Evitando accuratamente di dire che togliere tutte queste cose equivale ad aggiungere zucchero. Perché, non ci vuole molto a capirlo, lo zucchero, soprattutto quando è cotto ad alte temperature, serve a conservare i cibi (avete presente, che so, le marmellate?), ma anche a non far sbriciolare i biscotti gluten free, a non far marcire il salmone affumicato e così via. Inutile dirlo, lo zucchero non sta solo nei cibi dolci: lo sciroppo di fruttosio (che è ricavato dal mais) sta in praticamente tutti i cibi pronti, e in quantità spesso abbastanza grottesche. (Il bambino a cui piacciono le caramelle si chiederà perché, quindi, i cibi pronti non sono tutti dolcissimi: beh, forse perché oltre allo zucchero ci mettono anche un sacco di sale? E quindi ipertensione, colesterolo and so on).

Non ci sono prove scientifiche definitive del fatto che lo zucchero sia una droga e faccia male, ma i nuovi combattenti della guerra allo zucchero sostengono che la Big Sugar, che è oggettivamente un’azienda abbastanza inquietante abbia finanziato per decenni interi centri di studio e fondazioni per produrre materiale scientifico a favore della zucchero (o per occultare il materiale scientifico compromettente).

Political Cubes

Poi c’è il fatto che lo zucchero non c’è solo nelle cose dove ce lo mette l’industria alimentare, c’è anche nella frutta, nelle verdure, nei fagioli, nella pasta. Per esempio, per tornare alle marmellate, c’è una nota marca italiana che sottolinea di lavorare solo «con zuccheri della frutta», il che significa che le marmellate sono cotte in succo di mela raffinato. E il succo di mela raffinato è… avete capito. Tutti concordano sul fatto che dovremmo mangiare pochi dolci e tanta frutta fresca, ma resta il fatto che i dolci e le merendine sono già pronti e la frutta, purtroppo, bisogna sbucciarla.

Ma davvero? C’è davvero bisogno di dire che praticamente tutti i cibi pronti sono imbevuti di zucchero? C’è ancora qualcuno che non lo sapeva? La cosa più curiosa di quest’ultimo anatema alimentare è che mette sotto accusa un ingrediente che, in cuor nostro, sappiamo essere colpevole fin da quando la mamma da bambini ci lasciava mangiare il gelato solo la domenica. L’aspetto scoraggiante è viene invece dalla forte sensazione che la battaglia mediatica e politica contro lo zucchero è destinata a non sortire grandi effetti. Già circolano testimonianze e report di giornalisti che raccontano di aver passato un mese intero senza mangiare sugar-free, e ti dicono l’effetto che fa.

Io, nel frattempo, ho cominciato a sviluppare una voglia inedita di preparare cose dolci, ovviamente con pochissimo o niente zucchero: quel gelato alla vaniglia talmente poco dolce che il sapore della vaniglia non finisce mai, il cous cous dolce, il pain perdu, qualunque cosa con le mele cotogne, aspettando magari che torni di moda la macedonia.

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