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Il vero grande romanzo americano resterà sempre il Watergate

Da classici come Tutti gli uomini del Presidente alla miniserie Hbo White House Plumbers, la storia del Watergate ha mantenuto intatto il suo fascino nonostante i tanti adattamenti usciti negli anni.

di Francesco Del Vecchio

White House Plumbers ricrea gli eventi che hanno sconvolto la nazione e la politica americana, concentrandosi non sui soliti personaggi ma sugli uomini dietro le quinte. La nuova miniserie di HBO (disponibile dall’11 giugno su Sky e NOW TV) racconta lo scandalo del Watergate in cinque episodi, con Woody Harrelson al fianco di Justin Theroux, un budget di produzione enorme e un cast “stellare”, come dicono i media in questi casi. Theroux veste i panni del baffuto G. Gordon Liddy, agente Fbi parte dello staff della Casa Bianca, con tanto di cravatta extra large; il suo collega è E. Howard Hunt, interpretato da Harrelson. In White House Plumbers, i due uomini che hanno supervisionato l’irruzione nel Comitato Nazionale Democratico al Watergate nel 1972, mai presi del tutto in considerazione dall’industria creativa, vengono portati al centro del palcoscenico. Non vengono immortalati come fieri patrioti, ma come goffi cialtroni che hanno contribuito a far cadere la presidenza che stavano cercando di proteggere. La serie è un monumento all’incompetenza e all’immoralità di Hunt, Liddy e dell’amministrazione Nixon che li assunse.

Nella loro veste di “idraulici della Casa Bianca” – così chiamati perché avrebbero dovuto sistemare le fughe di notizie – Hunt e Liddy conducono e coordinano atti di spionaggio e sabotaggio, spesso indossando travestimenti ridicoli. Lo spartiacque è il 17 giugno 1972, quando un gruppo di ladri si introdusse nel quartier generale del Comitato Nazionale Democratico presso il Watergate Complex e fu poi arrestato. In seguito si sarebbe scoperto che questi ladri non erano ladri, ma piuttosto uomini associati al Comitato per la rielezione del Presidente che stavano cercando di intercettare e rubare documenti. Nel corso di due anni rocamboleschi, fitti di licenziamenti, nastri cancellati e condanne, Richard Nixon si dimise dalla presidenza il 9 agosto 1974.

Da allora, il suffisso -gate è stato utilizzato dal giornalismo americano per indicare ogni grande scandalo e il Watergate ha fornito materiale per film, libri, podcast, commenti e televisione. David Mandel, che ha diretto la serie, ha detto di aver conosciuto il Watergate grazie a Tutti gli uomini del presidente, il libro e il film che racconta la storia dei due reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, che indagarono sulla storia. La miniserie HBO, tra l’altro, arriva circa un anno dopo un’altra grande produzione sul Watergate: Gaslit, un elegante thriller dell’emittente americana Starz con Sean Penn nel ruolo di John Mitchell, il procuratore generale di Nixon, e Julia Roberts in quello di Martha Mitchell.

La continua proliferazione di contenuti a tema Watergate, anche in epoca recente, dimostra quanto ancora negli Stati Uniti si parli dello scandalo: per qualche motivo l’America è ancora convinta che si tratti di uno dei momenti più affascinanti della storia dello spionaggio e che debba essere raccontato spesso, nonostante i numerosi tentativi in passato (più o meno riusciti). Da quando Nixon si è dimesso non sono mancati intrighi e scandali a Washington, tra cui l’attentato al Campidoglio del 6 gennaio 2021 o l’impeachment dei presidenti Bill Clinton e Donald Trump. Ma il Watergate rimane un capitolo singolare della storia americana e ha una rilevanza che va oltre la politica.

Richard Nixon e la crisi del Watergate hanno ispirato più film, opere teatrali, canzoni, programmi televisivi, commedie, romanzi, opere liriche, poesie e altri artefatti culturali di qualsiasi figura politica dai tempi di Abramo Lincoln. Il libro Nixon on stage and screen: The Thirty-Seventh President as Depicted in Films, Television, Plays and Opera, di Thomas Monsell, conta 239 pagine, piene di citazioni e descrizioni di opere d’arte a tema nixoniano, ed è stato pubblicato venticinque anni fa. Da allora, l’industria creativa ha continuato a produrre materiale. C’è Dick, un film satirico del 1999 in cui due ragazze adolescenti (Kirsten Dunst e Michelle Williams) trovano lavoro come dog sitter alla Casa Bianca e contribuiscono involontariamente a far cadere il Presidente. Come Dick, White House Plumbers descrive il Watergate come una commedia degli errori:  gli uomini del Presidente si muovono a tentoni, non sembrano rappresentare una minaccia per la democrazia americana (anche se le loro azioni lo sono state). E poi il racconto del giorno dopo il Watergate, ovvero Frost/Nixon, trasposizione di vere interviste registrate nel 1977 e adattamento cinematografico dell’omonimo spettacolo teatrale firmato da Peter Morgan.

Le bufere presidenziali americane però non sono invecchiate tutte così bene. Il Watergate è rimasto lo scandalo con cui si misurano quelli successivi, il metro di paragone delle malefatte dello Studio Ovale. I libri e i docenti lo raccontano nelle scuole americane come l’evento che ha definito gli anni di Nixon e, di fatto, uno spartiacque nella vita pubblica che ha messo fine alla visione “eroica” della presidenza a stelle e strisce. Perché? Come mai resiste alla prova del tempo, suscita ancora interesse, spinge gli artisti americani a riesaminarlo di continuo? Un modo per rispondere alla domanda è pensare al Watergate come a un romanzo – e come molti grandi romanzi, ha una trama avvincente, personaggi carismatici e un tema senza tempo.

Non tutti gli scandali politici sono romanzabili ma questo è sempre stato perfetto per Hollywood: le scoperte sconvolgenti – sul sistema di intercettazione di Nixon, sugli abusi del potere esecutivo e soprattutto sulla vasta operazione di insabbiamento della Casa Bianca – sono state materiale succulento per tutti gli sceneggiatori. Senza nemmeno contare l’impatto sull’immaginario collettivo delle prime e uniche dimissioni presidenziali della storia americana. Questi colpi di scena surreali hanno tenuto i cittadini incollati allo schermo, affascinati in tempo reale. Soprattutto, Nixon vantava un profilo psicologico di insondabile profondità: riservato e imperscrutabile, è stato il presidente che ha dato il via a mille psico-storie e che, alla fine, ha assunto il ruolo di archetipo del cattivo politico dell’era moderna. Con un lieto fine per gli Stati Uniti, considerando le sue dimissioni: come ha detto l’editorialista Jimmy Breslin nel titolo del suo libro, Alla fine hanno vinto i buoni. Questo esito ha permesso agli americani di raccontare e riraccontare i fatti con distacco, sollievo e persino ottimismo.

La storia del Watergate è stata infatti esplorata da televisione e cinema con svariate soluzioni narrative. Il primo aspetto è il tradizionale percorso biografico: di solito si tratta dell’inizio della storia, dell’irruzione, delle azioni successive e, naturalmente, delle dimissioni. È qui che nascono storie come Gaslit, White House Plumbers e Dick. C’è poi il filone legato alla scoperta dello scandalo: questo tema è dominato da un solo film, Tutti gli uomini del presidente. Basato sull’omonimo libro uscito solo pochi mesi prima delle dimissioni di Nixon, Robert Redford e Dustin Hoffman, nei panni di reporter del Washington Post, svelano e portano alla luce la cospirazione della Casa Bianca.

Tutti gli uomini del presidente si inserisce in quella corrente di thriller paranoici che ha animato gli anni Settanta, insieme a Perché un assassinio (sempre diretto da Alan J. Pakula), I tre giorni del Condor di Sydney Pollack e La conversazione di Francis Ford Coppola. Queste produzioni hanno raccontato intercettazioni e sorveglianza proprio nel momento in cui la crisi del Watergate era al suo culmine, o ci stava per arrivare. I tre giorni del Condor è stato definito «il film di spionaggio post-Watergate per eccellenza». Il protagonista è un giovane analista della Cia, che dopo essere uscito di nascosto dall’ufficio per mangiare qualcosa, torna e scopre che tutti i suoi colleghi sono stati uccisi. Vulture ha scritto che «Pollack offre alcune incredibili scene di suspense», ma che «i momenti migliori sono quelli in cui il protagonista Redford si muove tra le strade di New York pensando che chiunque potrebbe essere una minaccia». D’altronde erano gli anni Settanta, l’epoca della guerra fredda e del complottismo, quando tutto sembrava avere un altro fine nascosto al pubblico.