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Come il voto via posta potrebbe cambiare le elezioni americane

04 Novembre 2020

Mentre Trump ha già annunciato di aver vinto, milioni di voti in America devono essere ancora contati. Oltre agli stati in bilico, in queste ore sono i voti via posta a rappresentare uno snodo cruciale per sapere chi governerà il Paese nei prossimi 4 anni. Come scrive il New Yorker, quello che vediamo dispiegarsi oggi non è uno scenario impensabile, ma è certamente lo scenario peggiore che poteva realizzarsi: una impasse che porterà molto probabilmente Trump ad appellarsi alla Corte Suprema per cercare di bloccare il conteggio dei voti in molti Stati, non prima di aver dichiarato brogli elettorali (cosa che ha già fatto), e che una volta risolta lascerà il presidente in carica con una difficile situazione alla Camera e al Senato, complicando di molto l’attuazione della sua agenda politica.

Come spiega il New York Times, la richiesta dei Democratici di conteggiare in tutti gli Stati i voti via posta senza aspettare il giorno delle elezioni – cosa che avrebbe di molto facilitato le operazioni di scrutinio e avrebbe permesso di avere un risultato più chiaro in tempi più brevi – è stata molto spesso bocciata dall’amministrazione Trump, che non a caso oggi contesta la validità di quei voti. La situazione, comunque, non è univoca: in alcuni Stati, come la Carolina del Nord, le schede si elaborano da settimane, in altri si è già fatto il primo processo di “screening” in attesa del conteggio dopo la chiusura delle urne, mentre in altri ancora, come la fondamentale Pennsylvania, la campagna di Trump e gli alleati repubblicani hanno impedito alle contee di elaborare i voti prima dell’Election Day. Prima della pandemia, gli Stati che più si erano largamente affidati al voto via posta erano cinque – Colorado, Washington, Oregon, Hawaii e Utah – ma secondo gli analisti interpellati dal Nyt il suo utilizzo andrà ad aumentare nel futuro. I voti inviati via posta per le elezioni presidenziali di quest’anno supereranno infatti di gran lunga i quasi 64 milioni registrati dai funzionari elettorali fino allo scorso lunedì. Alcune schede sono già arrivate negli uffici elettorali in tutto il Paese ma non sono ancora state inserite nel sistema, altre sono state spedite ma non ancora consegnate. Con l’aumento dell’utilizzo di questo sistema, aumenta anche la preoccupazione che questi voti abbiano un tasso di rigetto più alto rispetto ai voti di persona, così come quella per le schede che non sono state mai consegnate o che si sono perse nel processo.

Il voto via posta (qui c’è la storia di questa pratica redatta da Time) tende a essere utilizzato da tutti quei lavoratori – perlopiù di area democratica – che spesso non hanno tempo per recarsi al loro seggio elettorale e ha avuto un incremento in queste ultime elezioni anche per via della pandemia in corso, con molti elettori che non se la sono sentita di raggiungere fisicamente le stazioni di voto. Le rivendicazioni di brogli di Trump, comunque, non hanno fondamento, come spiega Vox: martedì mattina presto, il presidente ha tentato di rivendicare prematuramente la vittoria nelle elezioni con un tweet – che è stato poi segnalato da Twitter per aver diffuso informazioni fuorvianti – in cui scriveva: «Siamo in grande vantaggio, ma stanno cercando di rubarci queste elezioni. Non permetteremo loro di farlo. Non è possibile votare dopo la chiusura dei seggi!». Ma nessuno può votare dopo la chiusura delle urne, al contrario sono considerati validi i voti inviati (certificati quindi dal timbro postale) entro il giorno delle elezioni. Come ha scritto Daniel Dale della Cnn sempre su Twitter, «Stati come la Pennsylvania stanno semplicemente seguendo le regole per il conteggio delle schede elettorali postali con timbro postale del giorno delle elezioni». Probabilmente in serata avremo un quadro più chiaro della situazione, visto che la maggior parte dei voti potrebbero essere scrutinati. E lì inizierà la vera battaglia.

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