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Un mondo senza virgole

A che cosa serve la punteggiatura nell'era di Facebook? La proposta di un docente della Columbia per l'eliminazione della virgola, e il dibattito che ne è seguito. Come per esempio: «Hemingway si riconosce dalla punteggiatura»

24 Marzo 2014

Quando lo scorso gennaio John McWhorter, docente di linguistica alla Columbia University di New York, ha dichiarato che «sarebbe possibile eliminare la virgola da un gran numero di moderni testi americani con una perdita di chiarezza del tutto trascurabile» non si aspettava certo l’inizio di una disputa che dai circoli accademici arrivasse sulla rivista americana Slate, sull’inglese The Independent fino, addirittura, alle pagine di un quotidiano indiano. La tesi di fondo di McWorther poggia, in realtà, su fatti noti ai più; su come l’incremento dell’utilizzo dei social media spinge la maggior parte dei suoi utenti a una semplificazione del linguaggio. Raggiunto da Studio da una richiesta di intervista, il docente della Columbia risponde con un’e-mail secca, scocciata e, soprattutto, senza virgole: «Ho paura di non essere interessato alla questione della virgola come lo sono i media e al momento sono troppo impegnato per contribuire ulteriormente al dibattito».

Nonostante il disinteresse di McWhorter la discussione nata attorno alle sue dichiarazioni merita attenzione. Su Slate Matthew Malady apre il proprio articolo con un utile incipit. Secondo lo scrittore l’utilizzo della virgola è equiparabile a quello della mostarda o del ketchup: entrambe le salse quando utilizzate aumentano l’esperienza del pasto. Lo stesso vale per la virgola: se aggiunta al testo crea ritmo, suspense e spinge il lettore a prendere una pausa prima di un nuovo capoverso. Tuttavia – e questo è il punto fondamentale di McWhorter – ketchup e virgole non sono in alcun modo fondamentali. Se le due salse non esistessero mangeremmo lo stesso e senza virgole riusciremmo comunque a comprendere il testo (non a caso, per ricalcare sul punto, l’ottimo pezzo di McWhorter è scritto senza virgole).

Il paragone è convincente e regge, almeno ad un primo livello. Non però a un secondo. Una battuta famosa tra i linguisti americani può aiutare a capire il perché. Tradotta va più o meno così: «D’accordo, prendiamo una frase e vediamo la differenza che può fare l’utilizzo della virgola. Consideriamo i casi “Let’s eat Grandma” e  “Let’s eat(,) Grandma”». La traduzione del primo è “mangiamo la nonna”, del secondo “mangiamo, nonna”. A questo punto – immaginate un sorriso che si allarga lentamente – la conclusione: «Vedi, la virgola può salvare da casi di cannibalismo».

L’esempio sembra non lasciare spazio a dubbi ma, come nel caso del paragone ideato da Malady, non regge fino in fondo. Un elemento utile da tenere in considerazione per capire il perché è la tesi sostenuta dallo scrittore e ricercatore James Borg nel suo libro Body Language. Argomento principale è che la comunicazione avviene per il 93 percento tramite linguaggio del corpo, mentre la parola in sé conta soltanto per il restante sette percento. Nella frase “Let’s eat Grandma” nonostante la mancanza di una virgola, il contesto difficilmente può far confondere un intento con un altro. Una seconda domanda a cui cercare di dar risposta per approfondire il problema è «qual è la principale funzione del linguaggio?».

«Pensa a scrittori come Fitzgerald, Twain, Hemingway o qualunque altro. La virgola è emblematica del loro stile e a suo modo definisce la personalità stessa di chi racconta».

Chi oppone casi di pedanteria stilistica spesso accusa i difensori della virgola ad ogni costo di avere una visione statica della lingua e di rifiutare di considerare come il principale scopo di qualsiasi linguaggio sia prima di tutto quello di riuscire a comunicare con chiarezza. E se il mondo attorno cambia (per qualsiasi motivo, in questo caso i social media) perché allora non adattare il linguaggio? La pensano in questi termini alcune delle più giovani e sperimentali scrittrici americane.

Sulla rivista Brooklyn Magazine Edith Zimmerman ha pubblicato un breve saggio sul fenomeno “voglio cambiare stile di vita”. Al di là della tesi, l’articolo ha fatto parlare di sé a causa della sua scelta stilistica. Dispersi nell’articolo ci sono infatti frasi come «although I really want to tell you about this white noise machine I just got!!!!!!!!!!! No but it seriously has changed my life!!! hahahah I don’t even know if I’m joking or not!!! I mean I am but also it really has changed my life». Per l’autrice l’obiettivo principale è riuscire a comunicare e se il suo pubblico è maggiormente abituato al linguaggio degli update di Facebook la scrittura dovrà di conseguenza adattarsi. Un principio molto simile è alla base dell’articolo della scrittrice Mary H.K. Choi apparso su The Awl. Leggendo il testo è immediatamente chiaro che c’è qualcosa di diverso e che la punteggiatura e la scelte del linguaggio non riflettono in nessun modo i canoni tradizionali. Ad un certo punto si legge «it’s gross but I don’t care because I need it and I love it (ha ha so gross)». E ancora: «The main things to remember is hand placement on the handlebars and each class includes a series of push ups on the bars but they’re the wussiest of all wuss-ass push-ups since it’s a tiny movement». Tutto chiaro nonostante la lingua.

Contento di parlare con Studio è Ben Yagoda, docente di inglese e giornalismo all’Università del Delaware e autore di un ottimo pezzo sulla virgola apparso sul New York Times. Quando gli confido la risposta di McWorther ad una richiesta di intervista da parte mia ride e racconta divertito: «Conosco John abbastanza da non essere sorpreso della sua risposta: è un provocatore di natura». Ma nonostante l’amicizia le opinioni dei due sono molto divergenti. «Pensa a scrittori come Fitzgerald, Twain, Hemingway o qualunque altro. La virgola è emblematica del loro stile e a suo modo definisce la personalità stessa di chi racconta», continua Yagoda.

Non solo. Come scrive lo stesso docente nel pezzo apparso su New York Times alla stessa maniera di altri fenomeni sociali, anche la virgola è soggetta a mode. Basta pensare al primo capoverso di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen: «It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune, must be in want of a wife». Nell’inglese di oggi entrambe le virgole della citazione non sarebbero considerate corrette. Viene dunque da pensare che McWhorter, come dice Yagoda, sia davvero un provocatore in cerca dei riflettori. Anche questa spiegazione però risulta non del tutto soddisfacente. Il problema è forse nel pensare al linguaggio dei social media come scrittura. Quando twittiamo scriviamo, non c’e’ dubbio, ma sarebbe forse meglio definire l’azione, invece di scrittura, un’estensione della lingua parlata. E quando parliamo, proprio come sostiene McWhorter, della virgola non abbiamo bisogno.

Espongo questa mia idea a Yagoda che risponde leggermente divertito: «Sì forse c’è qualcosa da esplorare in questa idea… sto pensando ad una scaletta del linguaggio… a un estremo il linguaggio parlato, dall’altro quello scritto e in mezzo tutti gli altri tipi di linguaggio che abbiamo sviluppato in questi anni con le nuove tecnologie». Come sarebbe? «Così su due piedi, senza averci pensato, direi: lingua parlata, messaggi sul cellulare, Facebook, Twitter e poi di nuovo linguaggio scritto».

Nell’immagine: particolare da un volantino pubblicitario della ditta Densmore, 1895

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