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L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
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Quando Netflix erano le videocassette dell’Unità

Trent'anni fa Walter Veltroni, all'epoca direttore del quotidiano, lanciava la prima serie di grandi film in cassetta da vendere in allegato: un «arredamento ideologico» che racconta i cambiamenti della politica e del Paese.

28 Gennaio 2025

Come gli alberghi diurni, le cabine telefoniche o le agenzie di viaggio, anche le edicole iniziano a diventare relitti di un’altra epoca. Vengono smantellate, o si trasformano. A Milano prendono la forma di stazioni del marketing per il Fuorisalone, targate Gucci o Campari, o boutique instagrammabili. A Roma e a Venezia diventano chioschetti dove vendere calendari coi preti, gondolette a dondolo e T-shirt con la Gioconda che fa il dab. Ma c’è stato un periodo in cui questi rottami sono stati veri centri di formazione. Tra i responsabili dell’edicola come editore e distributore di informazione e intrattenimento (tutti incellofanati in un unico pacchetto), c’è Walter Veltroni, che la rese il nuovo erogatore del capitale culturale romano-borghese de sinistra, una svolta commerciale del togliattismo. Da direttore dell’Unità – ultimo direttore “politico” – Veltroni decise di allegare al quotidiano il gadget, le videocassette con i film imprescindibili per l’educazione cinematografica nazionale, come le riviste femminili faranno con le creme solari. Quelle videocassette oggi compiono trent’anni e a dire il vero allegare Vhs non era proprio una novità, nel 1995: lo avevano già fatto da Paese Sera, altro giornale comunista, ma lì se mescolati ai classiconi storicizzati c’erano titoli meno accattivanti (pellicole degli anni Trenta come 1860 I Mille di Garibaldi o Arsenico e vecchi merletti) e una poco chiara visione d’insieme, con il futuro sindaco della capitale si decise un vero canone. Nacque cioè un anello di congiunzione tra il cineforum e lo streaming. Fu lui a rendere la pratica mainstream, a dare il via all’edicola-shop-videoteca, epoca gloriosa continuata fino alla sopravvivenza dei Dvd di Panorama. L’Unità proponeva già libri negli anni Novanta, che andavano dalla storia del Partito Comunista a l’Orestiade, da Simenon a monografie su Tintoretto. Ma dalla carta alla carta è un passaggio facile. Tutti hanno in casa un videoregistratore.

Così l’Unità diventa un Netflix ante litteram che contiene i tre elementi chiave della retorica veltroniana: la storia (ad esempio: Germania anno zero), la confusione tra emozioni e valori edificanti come Dna della sinistra (Il Caso Mattei) e la celebrazione delle icone nazionali (Totò a colori) in quanto icone nazionali. C’è già dentro quel “buonismo” che Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera – giornale per cui ora scrive proprio Veltroni – conia in quel periodo proprio per descrivere l’atteggiamento veltroniano. Ecco, presentata dal giornale fondato da Antonio Gramsci, morto in carcere ucciso dai fascisti, la lista dei film da vedere per l’elettore anti-berlusconiano. La prima serie va dal 28 gennaio al 26 agosto 1995, forse un caso che si inizi dieci giorni dopo la caduta del primo governo Berlusconi, l’uomo che con le sue Tv aveva presentato un panorama estetico visuale alternativo a quello della Rai e dei cineforum dei giovani iscritti al partito. Quello di Veltroni è anche un modo per dire: se la Tv è di destra, il cinema è di sinistra. Nella lista è già presente il machismo che avrebbe definito la campagna elettorale Veltroni vs Berlusconi del 2008: Nanni Moretti ma anche Fantozzi, Pasolini ma anche Gianni Amelio, l’esordio di Francesca Archibugi ma anche la scena del burro di Ultimo tango a Parigi.

Il mix dei titoli è il riassunto del veltronismo, pop ma sufficientemente colto, che cerca di togliere il grigiore dall’immagine della sinistra bacchettona, senza però esagerare, evitando quindi di trasformarsi in nani e ballerini craxiani. Niente di oscuro, niente di sofisticatissimo, lontanissimi dall’underground, ma un best of con una parola d’ordine: didattico d’autore (con qualche risata) accessibile a tutti. Anche la sinistra può ridere, non siamo tristi come il completo marrone di Achille Occhetto indossato nella sfida televisiva che costò la vittoria al Pds. La sinistra ride ma è pronta a riconoscere ingiustizie e martiri (Sacco e Vanzetti) e i grandi orrori della storia (La battaglia di Algeri) ed è pronta anche a scherzare con amarezza sull’autocoscienza ideologica (Ecce Bombo). Un programma che potrebbe essere approvato dalla prof delle medie – che magari negli anni dieci abbandonerà Repubblica per Il Fatto Quotidiano, passando da Serra a Travaglio – con Troisi e Mastroianni come sex symbol, ma anche dagli aficionados delle feste dell’Unità, con il Benigni bertolucciano e il Gian Maria Volonté impegnato e, ancora, dai cinefili vari, per il neorealismo, per l’epica West di Sergio Leone o per il Blow up di Antonioni. Un bouquet che cerca di acchiappare un po’ tutti con la scusante del “capolavoro nazionale”.

Dopo il successo della prima serie, Veltroni continuerà fino al 1998 con quest’operazione, lui che ha sempre detto di amare il cinema sopra ogni cosa e che diventerà regista a sua volta e che da sindaco inaugurerà la casa del cinema in Largo Marcello Mastroianni, 1. Si definisce «amante disperato del cinema, da sempre. Tutta la mia vita è intrecciata con il sogno del cinema», che per lui fin dai tredici anni è «la sintesi meravigliosa di tante cose varie: fantasia, conoscenza della realtà, educazione sentimentale». Arriveranno anche i libricini quadrati de Il Castoro dedicati ai registi. Dopo la prima serie italianissima ecco a fine 1995 quella Americana, finalmente esplicitazione del soft power Usa del più kennediano del PCI, l’anti-sovietico per eccellenza di via Botteghe Oscure che finalmente può celebrare l’atlantismo con pellicole da manuale – Platoon, Woody Allen, Il cacciatore – titoli da poster da cameretta dello studente del primo anno che vorrebbe diventare regista, anche qui tentativo educativo misto a gusti personali, intellettualismo “organico” gramsciano, egemonia culturale di Taxi Driver. Addio Ėjzenštejn: allontanandosi dallo stalinismo è il momento di unirsi al ragionier Fantozzi e dire che La corazzata Kotiomkin era una “cagata pazzesca”, che è meglio guardare Mars Attacks! o Quando la moglie è in vacanza (ci sarà nel ’96 tutta una serie Marylin Monroe, infilata nel giornale fondato da Gramsci).

A trent’anni di distanza, leggere queste liste di film (che si trovano online, per i curiosi, per chi non è cresciuto in una casa di lettori dell’Unità dove i dorsi dei Vhs diventavano arredamento ideologico) è un modo per riflettere sull’evoluzione dell’immaginario della sinistra, il progresso verso un ampliamento delle culture da cui pescare, detto addio alla rivoluzione e alla ricerca di bussole più morali che politiche, più legate ai diritti civili che non a quelli del lavoro. E sarebbe bello vedere oggi il canone del nuovo Pd, della giurata di Locarno Elly Schlein che ama Tarantino e Kim Ki-duk. E dall’altra parte la trilogia tolkeniana, con Pino Insegno che doppia Aragorn.

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