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02:00 domenica 21 dicembre 2025
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Mai così vicini

La quarantena ci costringe a conoscere meglio – e spesso, a tollerare – chi abita sopra, sotto e accanto a noi.

26 Marzo 2020

«Il vicino è il mio nemico, non lo posso sopportare», cantavano i Punkreas in un’altra era. Nella nuova società contactless in cui la pandemia ci ha brutalmente scaraventato (credevamo forse che i passaggi da un periodo storico all’altro avvenissero gradualmente?), il vicino è diventato più “vicino” che mai, nel vero senso della parola: con la sua presenza fisica e sonora, è l’unico rappresentante del prossimo, dell’altro da sé che chi è recluso ha modo di percepire. Spesso, il vicino continua a essere un nemico: questo dipende, ovviamente, dai singoli casi. C’è da dire che la sua presenza fastidiosa, se prima era soltanto irritante, ora è anche una forma di compagnia, una valvola di sfogo. Non solo: è un materiale prezioso e utilissimo per le nostre storie su Instagram. Ne abbiamo viste molte in queste due settimane e mezzo di quarantena: chi zoomava sui vicini colpevolmente a zonzo per il cortile interno senza mascherina, chi riprendeva il cretino in consolle che tormentava tutto il palazzo – e magari, considerato il volume, l’intero quartiere – con l’inno nazionale e altre orrende hit da villaggio vacanze per pensionati, quello che fa esercizi di stretching fuori dal portone e continua, imperterrito, ad andare a correre ogni giorno.

I più disperati ricorrono all’insulto e la frase urlata al runner diligente è forse liberatoria come un grido d’aiuto, un tentativo di catarsi che risponde al bisogno di interagire con qualcuno al di fuori della propria cerchia familiare, cercare una risposta, mantenere la certezza di non essere soli e non essere scomparsi. Dove c’è lite, c’è speranza, dove c’è disprezzo, c’è normalità. Il vicino che spara l’inno dalle casse o continua ad applaudire come uno scemo ci consente di non perdere la speranza e continuare a detestare il prossimo: che sollievo. Un disprezzo che innervosisce ma costringe anche a sentirsi migliori, come succede a Faye, la protagonista della trilogia di Rachel Cusk, che nel volume conclusivo, Kudos, si ritrova alle prese con un’orrenda coppia di vicini che vive nel piano seminterrato: cattivi, ignoranti, sporchi, odiosi si contrappongono al nucleo famigliare della protagonista, costituito da lei stessa, colta, bella, educata, pulita, civile, e dai suoi due figli. Il libro è piaciuto meno a una parte della critica (tra cui Kate Clanchy sul Guardian), anche per la mancanza di una risoluzione dell’astio tra la protagonista e vicini: siamo ormai abituati allo scioglimento del conflitto, alle storie ci vogliono insegnare a metterci nei panni dell’altro, a non giudicare, perfino a perdonare. Invece, fino alla fine, lei resta convinta di essere dalla parte del bene e loro continuano a rappresentare il male, come spesso succede nella realtà.

Ma il vicino non è soltanto uno da invidiare, uno che nasconde qualcosa (come il colonnello Frank Fitts di American Beauty, una delle tantissime storie in cui il ruolo dei vicini è fondamentale) o un pazzo sadico (come veniva descritto in questo spassosissimo video del 2015, una falsa intervista a una coppia unita dalla passione di inventare continuamente, con immensa creatività, nuovi “rumori” per tormentare quelli del piano di sotto: dal simulare del sesso rumorosissimo allo spostare mobili a caso durante la notte, fino a scoppiare palloncini e far scivolare palle da bowling sul pavimento del salotto). No, per molti, soprattutto in questo periodo, il vicino è un simile, quasi un amico. Uno che appende lo striscione con la scritta “Andrà tutto bene” disegnata dai suoi figli, ad esempio, o che ci aiuta a trovare un modo per fare la spesa online e riceverla a casa prima di ottobre.

Una scena di Rear Window (La finestra sul cortile) di Alfred Hitchcock

Il vicino condivide il nostro tormento. Esce sul balcone a fumare in continuazione, con lo sguardo perso nel vuoto, proprio come noi. È preoccupato. Qualche sera fa ho sentito Giulia (non l’ho mai incrociata ma conosco il suo nome, perché il padre la chiama in continuazione), che piangeva. Dovrebbe avere intorno ai 13 anni, a giudicare dalla voce. Piangeva, e il padre cercava di consolarla. Il padre di Giulia sembra un uomo allegro, che canta spesso a squarciagola, soprattutto dopo pranzo, senza mai dilungarsi in un brano di senso compiuto, ma esplodendo in un breve, liberatorio, tonante: «Lallallallaaaaaaaa!». Lui e Giulia litigano in continuazione e parlano entrambi tantissimo. Si sente che lui la ascolta con attenzione: le loro voci non si sovrappongono mai.

Quando uno vive da solo, i vicini diventano una compagnia fondamentale. Una decina di giorni fa, quando i social avevano appena iniziato a dividersi tra quelli che insultano tutti e quelli che a furia di declamazioni retoriche, sentimentali e nostalgiche fanno venire voglia di cavarsi gli occhi con le mani, bastava vedere due fratellini che cantavano sul balcone con mamma e papà per mettersi a piangere. Grazie a dio ora hanno tutti smesso di cantare e applaudire, ma l’emotività resta alta, e spesso i vicini si ritrovano, inconsapevolmente, a fare da trigger.

Io, ad esempio, piango per colpa del dirimpettaio, che verso le 18 si mette a suonare la canzone del Padrino (“Speak Softly Love” di Nino Rota) al pianoforte (quanto sono ossessivi e ripetitivi i vicini? Perché ripetono gli stessi gesti ogni giorno?), facendomi pensare a mio padre che suona il pianoforte di casa, un regalo fatto a me quando sembrava dovessi diventare una geniale musicista (non è successo), che nelle sue mani è diventato uno strumento di tortura: pur non avendo nessuna base di tecnica pianistica, lo strimpella per ore e ore, completamente a caso, tormentando chi vive con lui e gli sfortunati vicini.

Una scena di Rear Window (La finestra sul cortile) di Alfred Hitchcock

Perché il punto della vicinanza è proprio questo: se non sei come me – il voyeur solitario, passivo, che fa pochissimo rumore (qualche giorno fa la mia vicina di ottant’anni mi ha citofonato per assicurarsi che fossi ancora viva) – fai sicuramente parte dell’altro gruppo, quello degli attivi. Famiglie, coppie, gruppi di coinquilini, pensionati mezzi sordi che guardano Studio Aperto, single che passano ore e ore al telefono: le persone normali insomma. Stando a casa in quarantena potremmo aver imparato a conoscere i vicini bene o molto bene, a seconda dello spessore dei nostri muri: quando si svegliano, a che ora fanno la doccia, quando mangiano, se ordinano con Glovo e Deliveroo o cucinano tutti i giorni, se e quanto litigano, se e quando fanno sesso, come se la stanno passando i ragazzini o i bambini, se sono agitati o tranquilli, quanto dormono, se ascoltano o musica o che telegiornale guardano.

Costretti a casa, a noi solitari non resta che spiare le vite degli altri, come il protagonista di La finestra sul cortile (1954), il film di Hitchcock con James Stewart e Grace Kelly, una metafora del cinema stesso e del ruolo di spettatore. Stewart è un fotoreporter di successo che improvvisamente si ritrova su una sedia a rotelle per una frattura alla gamba. Annoiatissimo per niente abituato a questa forzata e lunga inattività, passa il tempo a osservare i suoi vicini di casa, servendosi di un binocolo e della macchina fotografica. A un certo punto si ritrova ad assistere a un delitto: da noiosissima e ripetitiva la sua vita diventa estremamente appassionante. Un problema da risolvere, un’avventura da raccontare.

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