II matrimonio di Jeff Bezos a Venezia è la conferma che viviamo in una nuova epoca feudale

I movimenti che vogliono rovinare il matrimonio di mr. Amazon non ce l'hanno solo, né tanto, con lui: il problema è ciò che Bezos rappresenta e il fatto che abbia deciso di venire a rappresentarlo proprio a Venezia.

18 Giugno 2025

Il 29 aprile del 2011 quasi 37 milioni di persone sono rimaste a fissare la televisione. In trecento milioni l’hanno visto in differita, a causa del fuso orario. Con addosso un vestito di Alexander McQueen, Catherine Middleton diceva sì al principe William – lui in uniforme rosso scarlatto da soldato con tanto di fascia azzurra, come Eric ne La Sirenetta – diventando così duchessa di Cambridge.

C’è un misto di motivi per cui qualcuno che non è un suddito britannico decide di passare parte della sua giornata a sorbirsi i cerimoniali di una forma di Stato annacquata dal parlamentarismo. C’è la curiosità, un po’ di effetto bandwagon e di Fomo – perché poi se ne sarebbe parlato, come con Sanremo o con le Olimpiadi, che di base non possono davvero interessare a nessuno – e poi l’idea che sia un evento storico, qualcosa che succede una volta sola nella vita. Ma in fondo, almeno per una parte di questi non sudditi, cresciuti a favole Disney, c’è anche un po’ di sogno, vedere davvero una principessa scendere le scale di un palazzo o salutare da un balcone – le principesse esistono!, gridano le zie davanti alla diretta Rai.

A questo si mescola l’elemento narrativo, ammantato dalla nostalgia di un mondo un po’ Grimm un po’ emulazione della classe regnante, di una soap live tra figure reali. E non è un caso che The Crown – grande prodotto del soft power monarchico – abbia avuto il successo che ha avuto, e che Lady Diana sia ancora considerata un’icona generica (proprio perché tra i vari “personaggi” è stata quella che più a portato vero drama alla soap reale, con tanto di amicizia con uno dei giullari di corte preferiti dagli inglesi, il baronetto Elton John). Non si leggono più i feuilleton ma si compra Chi e Oggi, che invece delle stampe ottocentesche hanno le foto a colori.

It’s good to be the king

Se accettiamo l’idea che oggi si sia entrati in un sistema di tecnofeudaleismo, l’attenzione per il matrimonio tra Jeff Bezos e Lauren Sanchez (divorziata, 55enne, giornalista con un brevissimo cameo in Fight Club come reporter) rientra in questa dinamica. Ma se la cerimonia matrimoniale dei Windsor conteneva in sé un elemento umano-narrativo, seppur di sudditanza (ai re ci si affeziona molto di più che ai leader eletti anche perché li si vede crescere), quello di mr. Amazon si trasforma in una curiosità sulla massima opulenza dell’1 per cento che può arrivare e montare e smontare una città che giusto Napoleone è riuscito a sventrare.

Questo anche, e soprattutto, in virtù dell’essere Bezos davvero potente, a differenza dei Windsor che usano i titoli giusto per avere un mestiere o per schivare gli scandali (si veda il legame tra prince Andrew e Jeffrey Epstein), o per portare turismo nelle isole, usando le guardie che una volta proteggevano i re che andavano alle crociate come maschere folkloristiche svuotate dalla loro funzione. Oggi nell’immaginario turistico i Beefeater (i guardiani della Torre di Londra) non appaiono diversi dai Buzz Lightyear che si trovano a Times Square o dai finti gladiatori di Latina che ti chiedono 15 euro per una foto davanti alle transenne del Colosseo. “It’s good to be the king”, diceva in vari film Mel Brooks. Quel lato mistico della monarchia non c’è più – non esiste più quell’“istituto irrazionale, capace di suscitare negli uomini, sudditi e principi, incredibili volontà di sacrificio”, come diceva l’ultimo re d’Italia, il re di maggio, Umberto II. Resta la sagra.

Il signore del tecnofeudalesimo

Parliamo sempre più di tecnofeudaleismo – basta vedere il catalogo di un editore marxista come Verso – che è anche il titolo dell’ultimo libro dell’ex ministro greco (e sex symbol delle bimbe di Tsipras, tra Barbara Spinelli e Moni Ovadia) Yanis Varoufakis, uscito in Italia per La Nave di Teseo. «Il cloud capital ha ucciso i mercati e li ha sostituiti con una sorta di feudo digitale in cui non solo i proletari – i precari – ma anche i borghesi producono plusvalore per i capitalisti vassalli. Stanno producendo rendite. Stanno producendo la rendita del cloud, perché il feudo è ormai un feudo del cloud, per i proprietari del cloud capital», dice l’ex ministro-economista.

Il matrimonio dell’uomo che ha trasformato una libreria online in un impero (e poi dicono che con la cultura non si mangia) si terrà a Venezia, intorno al 28 giugno. E si parla già dei vari alberghi con mille stelle tutti prenotati, della flotta di taxi e dei porticcioli per yacht con scritto “riservato”, e di un’isola, quella di San Giorgio, che diventa il suo salotto per qualche giorno.

«Matrimonio? Non è un matrimonio», mi dice Tommaso Cacciari, attivista (in particolare contro le grandi navi da crociera che oscuravano il canale della Giudecca, battaglia vinta), nipote dell’ex sindaco-filosofo e tra gli organizzatori di No Space for Bezos. Perché invece di diventare pubblico da diretta da Buckingham Palace con Antonio Caprarica, una parte della città ha iniziato a opporsi a questo evento, con adesivi, manifestazioni, assemblee, scritte sui muri e striscioni. «Bezos non si sposa a Venezia», dice Cacciari. «Viene qui solo a fare la festa, non ci sono le pubblicazioni appese come nei veri matrimoni, lui è come i vicentini che vengono a fare l’addio al nubilato». Vero cancro urbano, l’addio al nubilato, tra cazzi gonfiabili e provinciali sbronzi in modalità branco molesto e magliette “amica della sposa”. Per fortuna alcuni bacari resistenti appendono alle vetrine i cartelli contro i gruppi degli “addii”.

Misericordia per Venezia

Cacciari dice che l’evento clou sarà il 28. Bezos festeggerà alla Misericordia – «che tra l’altro, scelta delicatissima, è un posto che il sindaco Brugnaro aveva assegnato alla sua società, vabbé» – e i manifestanti in modo «pacifico e allegro ma deciso», cercheranno di bloccare l’accesso agli ospiti, «con barche, papere, cigni e unicorni gonfiabili. Proveremo a bloccare i canali, non ci riusciremo, ma almeno riusciremo a far passare il messaggio che Venezia non è un luna park per ricchi, non è un fondale di vetroresina, un addobbo per matrimoni», dice Cacciari.

La Venezia frustrata per overtourism, biglietti di ingresso, alberghi e fondazioni d’arte che spuntano come funghi, indicazioni di Google Maps a volume alto nelle calli, negozietti di souvenir cheap al posto dei salumieri, case su Airbnb, trova nell’evento dell’anno un’occasione per esprimere la propria rabbia. La Venezia spettro (cit. Agamben) e la Venezia museo trovano un contraltare vivente nelle proteste per l’arrivo di un uomo che, ricorda Cacciari, «era lì seduto all’inaugurazione di Donald Trump». Perché la cosa va anche oltre la sopravvivenza di Venezia e della sua immagine. «Bezos non è George Clooney», dice Cacciari. «Non è un attore. È uno dei padroni del mondo. Bezos ha un peso politico nel nuovo sistema globale e nella rielezione di Trump. Il suo sfarzo rappresenta lo stravolgimento della grammatica del potere».

Il matrimonio ha tutto l’aspetto di uno stravolgimento della narrazione del potere, altro che G8, qui siamo a Versailles, questo è il matrimonio dell’imperatore. Quella contro Bezos, nerd diventato tamarro palestrato, è anche «una battaglia per la dignità». E l’attivista cita i dati Istat sulla povertà. «Qui in città con 1500 euro al mese non vivi più, e devi andartene. E poi arrivano questi a spendere 200 milioni, tra Danieli e flotta di taxi. Eppure, chi difende i festeggiamenti, parla in modo elementare dei benefici della trickle down economics, parla cioè di soldi che si riverseranno in città. Il presidente della regione Luca Zaia (Lega) ha detto: «Voglio che Jeff Bezos venga accolto a braccia aperte a Venezia. Protestare contro chi porta visibilità e ricchezza al nostro territorio è, a mio avviso, una vergogna».

Il sindaco Luigi Brugnaro, dopo aver visto lo striscione con scritto “No space for Bezos” appeso sul ponte di rialto e quello sul campanile dell’isola di San Giorgio, ha commentato con un: «Mi vergogno di chi si comporta così. Spero che Bezos venga lo stesso: non tutti i veneziani la pensano come questi contestatori. Quando finirò il mio mandato, ai cittadini dico: attenti a chi rovina Venezia».

Il messaggio è: non spaventiamo questi ricconi, che ci portano benessere. Al massimo, dice Cacciari «ci saranno delle briciole che cadono dalla cena dei miliardari, qualche acino d’uva, e ci sarà qualche cane che si prenderà un osso da terra e se lo porterà nella cuccia tutto scodinzolante. Siamo al livello di mendicanti, degli accattoni che si mettono col cappello davanti al supermercato. Brugnaro ha detto “spero di poter incontrare il signor Bezos”, ma sei il cazzo di sindaco di Venezia… La politica qui vuol dire mettersi a carponi». E poi aggiunge: «Non è che i camerieri degli alberghi dove staranno gli ospiti del matrimonio prenderanno più dei 5 euro all’ora che già prendono. Ma ci sarà sempre chi applaude al padrone che gli lancia l’osso. Noi invece siamo qui per dire: tieniti l’osso».

Tutti odiano Jeff

Il comitato che sta organizzando la manifestazione – No Space for Bezos, No Space for Oligarchs –  scrive in un comunicato che: «Non chineremo il capo dinnanzi a questo evento anche perché ci opponiamo al modello di sfruttamento che Bezos incarna alla perfezione, accanto a Musk e Zuckerberg. È il modello delle piattaforme digitali, i cui padroni si alleano per convenienza con le destre mondiali: per estrarre il massimo del profitto, il mondo va diviso in feudi digitali di cui disporre liberamente». Il bello degli oligarchi è che riescono a incarnare tutti i danni del capitalismo (o neofeudalesimo), dai lavoratori sfruttati (come quelli che devono fare pipì nelle bottiglie per reggere ai ritmi dei centri di distribuzione Amazon) ai danni ecologici, diventando bersagli perfetti, feticci intoccabili del malessere creato dal cloud e dalla manipolazione elettorale tramite i social.

E per tornare ai reali della perfida Albione, almeno qui non si parlerà del sedere tornito della sorella della duchessa, Pippa. «L’obiettivo delle manifestazioni», continua Cacciari, «è cogliere l’occasione di questo evento macroscopico che evidenzia in maniera plateale quali sono le contraddizioni e i problemi che questa città sta vivendo. Così come le grandi navi erano la punta dell’iceberg, ma rappresentavano un modello di sviluppo turistico cittadino malsano e dannoso, Bezos rappresenta in modo evidente un uso di intendere la città come fondale, come Las Vegas, una città che caccia i suoi cittadini. Con le proteste possiamo parlare di un modello diverso. E se non ci fossero queste proteste il mondo avrebbe parlato dei 126 cambi d’abito della sposa, del look di Lady Gaga, o della nuova morosa di DiCaprio».

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