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00:58 giovedì 11 dicembre 2025
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.
La Casa Bianca non userà più il font Calibri nei suoi documenti ufficiali perché è troppo woke E tornerà al caro, vecchio Times New Roman, identificato come il font della tradizione e dell'autorevolezza.
La magistratura americana ha pubblicato il video in cui si vede Luigi Mangione che viene arrestato al McDonald’s Il video è stato registrate dalle bodycam degli agenti ed è una delle prove più importanti nel processo a Mangione, sia per la difesa che per l'accusa.
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui per gestire lo stress invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.

Tuvalu ha un seggio, la Palestina no

Vedi alla voce #IfPalestineWereAState. Tre frasi per capire cosa c'è in gioco al Palazzo di Vetro

21 Settembre 2011

Le Nazioni Unite contano ad oggi 193 membri. Tra questi la Repubblica di Tuvalu, isola polinesiana di circa diecimila abitanti che vanta tra gli introiti principali l’affitto del dominio .tv. Al contrario manca all’appello la Palestina, nazione a cui è stata sancito il diritto a un’esistenza indipendente da una risoluzione Onu del 1947. Come ormai già molti di voi sapranno, e salvo retromarcia dell’ultima ora, questo venerdì i rappresentanti palestinesi chiederanno, per la prima volta, di essere ammessi come nazione indipendente nel consesso del Palazzo di Vetro.

Quel “come nazione indipendente” è importante per due motivi. Primo: i rappresentanti palestinesi partecipano già ad alcune riunioni Onu in quanto membri dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina, fondata da Arafat), che è membro osservatore. Secondo: ai palestinesi non interessa tanto partecipare alle attività Onu, quanto dichiarare la loro indipendenza. Unilateralmente e alla facciazza di Israele.

La questione è complicata. Perché da un lato – carta canta – i palestinesi hanno tutti i diritti di ottenere l’indipendenza. Dall’altro lato, alcuni temono che a) una dichiarazione unilaterale possa portare a uno scontro frontale con Israele, e che b) una dichiarazione senza un’indipendenza di fatto sia una presa per i fondelli soprattutto per i palestinesi. Dunque è un bene o un male che i palestinesi dichiarino indipendenza davanti all’Onu? Qui non è tradizione fornire risposte, semmai ci interessano le domande. E leggendo qua e là abbiamo trovato alcuni spunti per porci altre domande.

E’ la tempesta perfetta
Mark LeVine, docente di Storia islamica, chitarrista e autore di Rock the Casbah, su Al Jazeera
Bel pasticcio per Obama, che si trova davanti a un bel dilemma. Per ottenere lo status finale di nazione indipendente, infatti, ai palestinesi non basta il voto dell’Assemblea generale, che si dovrebbe svolgere venerdì. Hanno bisogno dell’approvazione del Consiglio di Sicurezza, dove gli Usa hanno diritto di veto. Se Obama non pone il veto si aliena del tutto il mondo musulmano, se non lo fa non solo si aliena Israele, ma manda a pallino oltre 15 anni di negoziati sostenuti dagli americani, che puntavano sul raggiungimento di un accordo tra israeliani e palestinesi, non a una dichiarazione unilaterale di indipendenza.
In realtà il modo di salvare capra e cavoli ci sarebbe. I rappresentanti palestinesi possono evitare di andare davanti al Consiglio di Sicurezza… a patto di accontentarsi di essere riconosciuti come “Stato osservatore,” anziché come pieno membro dell’Onu. Proprio come il Vaticano.

Vedi alla voce: “agire coerentemente”
Steve Coll, giornalista premio Pulitzer, sul New Yorker
Chiedere quali sono i requisiti per entrare a fare parte delle Nazioni Unite? “Un po’ come quando si è in fila davanti a un night, se ti fai questa domanda vuol dire che non li possiedi,” scrive Coll. Detto questo, lo stesso premio Pulitzer ricorda che esiste una convenzione (mai sentito parlare di Montevideo 1933?) che pone quattro requisiti: 1)avere una popolazione permanente, 2) un territorio definito, 3) un governo e 4) la capacità di entrare in relazione con gli altri Stati. Ebbene, è su quest’ultimo punto che è lecito avere qualche dubbio: con Fatah, che governa la Cisgiordania, e Hamas, che ha preso di fatto il potere nella Striscia di Gaza, in perenne lotta tra loro… possiamo davvero pensare che “la Palestina abbia la capacità di agire in modo coerente?”

Terra chiama Palestina: “disconnessione dalla realtà”
Ali Abunimah, fondatore di Electronic Intifada, su Foreign Affairs
La decisione da parte del presidente palestinese Abu Mazen di dichiarare unilateralmente l’indipendenza in sede Onu nasce in teoria con un obiettivo: bypassare lo stallo del processo di pace. Ma, sostiene Abunimah, così facendo lo stesso Abu Mazen porta alla luce una delle contraddizioni principali del processo di pace: “La disconnessione tra la fondazione di uno Stato e la realtà.” Ora, da che mondo e mondo i ragazzi di Electronic Intifada ce l’hanno sempre avuta con il processo di pace: problemi seri, problemi loro. Ma su una cosa Abunimah ha ragione: dichiarare l’indipendenza sulla carta senza porre fine all’occupazione militare sul campo rischia di essere una presa per i fondelli.

A proposito: ma che ci fa Electronic Intifada su una rivista così ingessata come Foreign Affairs? Davvero i tempi stanno cambiando…

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