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La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.
Ed Sheeran si è dato alla pittura e ha provato a imitare Jackson Pollock con risultati abbastanza discutibili Ma almeno si è sforzato di tenere "bassi" i prezzi delle sue "opere": meno di mille sterline a pezzo, che andranno tutte in beneficienza.
Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

Trainwreck: Woodstock ’99, un documentario bellissimo su un festival disastroso

Nell'estate del ritorno degli eventi musicali, Netflix racconta quello più schifoso di sempre, tra l'esibizione da brivido dei Limp Bizkit, le molestie subite dal pubblico femminile e la sommossa finale.

05 Agosto 2022

Il discorso con cui Fred Durst dei Limp Bizkit, nel pomeriggio della seconda giornata di Woodstock ’99, inizia a scatenare la violenza nel pubblico, ricorda un po’ “Break My Soul” di Beyoncé. Nel 2022 lei dice di lasciar uscire lo stress, liberarci dal nostro lavoro, eccetera. Nel 1999, sul palco del festival, Durst fa un appello a tutti gli underdog che lo riconoscevano come uno di loro: «Avete problemi con le ragazze? Coi genitori? Con il vostro capo? Con il vostro lavoro? Ora voglio che prendiate tutte queste energie negative… e le facciate uscire dal vostro corpo». Proporre un esperimento del genere a una folla di 250 mila persone composte per lo più da frat boy ubriachi e strafatti, cresciuti a pane, American Pie e Fight Club sarebbe sembrata una pessima idea a chiunque, ma tra le tante qualità di Durst non sembra esserci la razionalità. La scena che descrive il crescendo con cui i Limp Bizkit hanno fomentato la folla è tra le migliori delle ottime tre ore di film che compongono Trainwreck: Woodstock ’99, non soltanto il racconto alla Fyre Festival (protagonista di un altro documentario Netflix) di un grosso evento andato male, ma una storia di rabbia, delusione e violenza generazionale. Il disastro di Woodstock ’99 si presta a un’analisi ben più approfondita e tragica, mettendo il luce la differenza tra la generazione (e i valori, la musica, l’estetica) del 1969 e quella del 1999.

Woodstock ’99 si è tenuto dal 22 luglio al 25 luglio 1999 a Rome, New York (per la gioia dei giornalisti, che quando tutto andò in fiamme poterono titolare “Roma brucia”). Dopo Woodstock ’94 (fallimento trascurabile), è stato il secondo festival musicale su larga scala che ha tentato di emulare l’originale festival di Woodstock. Il documentario mostra materiale d’archivio sia del 1969 che del 1999. Se nella prima edizione tutti sono oggettivamente bellissimi, vestiti (o svestiti) da dio, sorridenti e rilassati, immersi nella natura, nella seconda sembrano dei mostri: ragazzini senza maglietta emettono grida animalesche, ragazze con le tette rifatte ballano completamente nude tra le tende circondate di immondizia, corpi che si rotolano nel fango (non proprio fango) nell’area dei bagni chimici. Perché il primo grande problema di Woodstock ’99 fu la location: un’immensa base militare che già da subito avrebbe dovuto far capire che dell’originale restava ben poco, nonostante le presunte buone intenzioni di Michael Lang, organizzatore della prima edizione, che diceva di voler rifare Woodstock per i suoi figli adolescenti e sensibilizzare i giovani al problema delle armi (ad aprile c’era stato Columbine) ricordando loro il valore e il potere della controcultura.

Le distese di compensato montate intorno all’area tipo muro e pitturate con i colori dell’arcobaleno non riuscivano a dissimulare la realtà: al posto delle verdi colline, infinite distese di cemento senza un briciolo d’ombra. Al posto della libera condivisione, bottigliette d’acqua vendute a 4 dollari l’una (saliti a 7 l’ultimo giorno) e code di mezz’ora per le fontane (di acqua non potabile, si scoprirà poi). Ma soprattutto, al posto della musica hippie-dippie del ’69, l’hard rock di fine anni Novanta: Korn, Limp Bitzkit, Rage Against The Machine (durante la sommossa della terza notte la massa impazzita iniziò a cantare “Killing in the Name”, «Fuck you, I won’t do what you tell me»). Le riprese del pogo fanno venire i brividi: viene da chiedersi come sia possibile che lì in mezzo nessuno sia rimasto ucciso. La security era totalmente inadeguata: per non collaborare con la polizia di Stato o con il governo, erano stati ingaggiati ragazzi senza nessuna formazione professionale, pagati 500 dollari per 3 giorni di festival. Non erano armati, ovviamente, si chiamavano “ronda della pace” e cazzeggiavano tutto il tempo, facendosi foto con le ragazze nude. Ragazze nude che, ovviamente, hanno subito qualsiasi tipo di molestia, dalle ovvie palpate durante i concerti (chi di noi non è stata vittima?) fino agli stupri che sono stati denunciati nei giorni successivi (uno scoperto quasi in diretta, dentro al furgone che fece irruzione durante il set di Fatboy Slim, altra scena agghiacciante). Nell’hangar dove si tenevano i rave post-concerto che duravano tutta la notte non c’era nessun controllo: migliaia di ragazzi e ragazze, ubriachissimi e fattissimi, scopavano ovunque. La mancanza di sicurezza rendeva il confine tra consenso e violenza, già molto sottile in stati di alterazione mentale, ancora più ingestibile. Ed è su questo aspetto, forse il più oscuro – ancora più del delirio esploso l’ultima notte, durante la quale una massa di maschi incazzati per via della pessima organizzazione del festival ha distrutto e incendiato tutto, sotto lo sguardo divertito dei Red Hot Chili Peppers e del pene ballonzolante di Flea – , che si conclude il documentario, con Jonathan Davis, il leader dei Korn, che ricorda come le ragazze avrebbero il diritto di divertirsi nello stesso modo in cui si divertono i maschi.

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