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Lo shipping è il gioco dell’estate
Tananai e Annalisa, Tony Effe e Gaia, Meloni e Sunak: ancora più del gossip, quest'anno lo shipping di coppie immaginarie e improbabili è diventato il passatempo estivo per eccellenza.
Eravamo rimasti al 2023 come l’anno del divorzio tragico ma non è che il 2024 sia andato tanto meglio, visto che abbiamo perso per strada l’unica power couple che era rimasta, i Ferragnez. Per fortuna abbiamo l’utenza online che inizia ad affondare i piedi nella sabbia e a cercare passatempi estivi: chi si dà alle parole crociate, chi alla lettura a libri di pandori e generali, chi fa la spola tra X e Instagram shippando attori e cantanti, trapper e tiktoker, in un crescendo di incastri sempre più strampalati e spettacolari. “Shippare” è una parola certamente brutta, che però indica un fenomeno online di una certa importanza: non viene da “nave” in inglese, ma da relantionship.
La ship viene ufficializzata di solito attraverso un hashtag, che a sua volta è la fusione dei due nomi che si intende shippare, come ad esempio “i Larry” (Harry Styles con Louis Tomlinson), i “Drarry” (Draco Malfoy con Harry Potter: le ship possono riguardare anche personaggi immaginari e inizialmente erano la concretizzazione di fantasie omoerotiche di fandom composti da sole donne), i “Prelemi” (Pierpaolo Pretelli con Giulia Salemi). I Prelemi, tra l’altro, sono una “sailing ship”, cioè una ship nata all’interno del fandom che segue il GF Vip ma che poi si è avverata, cioè i due adesso stanno realmente insieme. Ma lo shipping non è solo un gioco tra persone che stanno troppo online, è anche il centro di grandi successi editoriali e cinematografici (Erin Doom e tutta la stirpe dello Young Adult), nonché anche una sorta di strategia di marketing per dare ulteriore spinta pubblicitaria a certi prodotti culturali.
È soprattutto l’industria discografica che ha beneficiato del fenomeno, e d’altronde cos’è lo shipping se non la una narrativizzazione (in senso di romance, talvolta di soap opera) del featuring. E siccome i tormentoni estivi quest’anno sono brutti come il divorzio Virzì-Ramazzotti, per la prima volta anche in Italia spuntano ship musicali ovunque. Una volta a nessuno sarebbe venuto in mente di accoppiare Laura Pausini con Max Pezzali o Arisa con Morgan. Oggi che ci siamo modernizzati come gli americani, invece, viene piuttosto facile immaginare la liaison tra Annalisa e Tananai, che infatti nello shooting promozionale di “Storie brevi” si presentano nientemeno come Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Sono diventate immediatamente virali la clip in cui Tananai appoggia la mano sul fianco di lei durante un’esecuzione dal vivo della nuova canzone, clip che il fan ritaglia e circonda di effetto nebbiolina con stelline, ralenti nei momenti salienti tipo il mezzo secondo di “appoggio”.
È così che ci si precipita a commentare gli sfioramenti su X, lasciando la canzone in loop su Spotify, col numero di streaming che sale a velocità vertiginosa. Anche il maschio etero per una volta non disdegna, comunque da mesi alle prese con l’atroce dilemma, “Team Annalisa o del Team Elodie?” (di solito, i malesseri, i sottoni e i nevrotici scelgono la prima, gli altri la seconda). Annalisa si presta molto bene alla ship, come certi pezzi Lego particolarmente carini e versatili, e nel giro di un mese s’è vista piazzata oltre che con Tananai, anche con Capo Plaza, Guè, Ernia e Tedua. Non sarà un po’ troppo? No, se le canzoni sono legate alle metriche social: due performance medie se sommate fanno un numero certamente più alto, di quelli che piacciono ai soliti fandom online che ormai ascoltano le canzoni come la regina guardava i cavalli ad Ascot.
Questa ingegneria relazionale, che vive tra le piattaforme e gli uffici marketing, ha dato slancio nazionalpopolare anche a un altro artista italiano che finora comandava “solo” nel regno dei trapper, cioè Tony Effe. Collana al collo con mega-pendente numero 17 tempestato di diamanti, parlata alla Manuel Fantoni ma più strascicata, Tony Effe ci ha abituato a coupling di un certo rilievo: una volta si è fidanzato con Vittoria Ceretti (modella), un’altra volta con Taylor Mega (influencer). Shipparlo con Chiara Ferragni è stato quasi un atto dovuto, una cosa naturale, l’inevitabile prosieguo della saga che ancora poteva dare aneliti di trash (dal “nano con la sindrome di Napoleone” al trapper con la “malattia delle femmine”, citazione che capirà non chi legge Giuseppe Berto ma chi vede Temptation Island).
Purtroppo, è intervenuto Dagospia a ricondurci al principio di realtà: Chiara Ferragni si starebbe frequentando con un ortopedico. E allora niente, è toccato accontentarsi della shippata già pronta tra Tony Effe e Gaia, altra idol uscita dalla grande factory di Amici, con cui canta “Sesso e Samba”, tormentone estivo propinatoci a forza, brutto e doloroso come il divorzio Jolie-Pitt. Ship, fandom, idol e factory: la terminologia è quella del K-pop, e non sarà che anche la nostra industria discografica sta inesorabilmente scivolando verso questa variante dell’industria pop musicale? Ci ritroveremo anche noi con queste band, coi componenti shippati furiosamente tra di loro o con qualcuno all’esterno, le canzoni ridotte a tappeti emozionali e basi ballabili in vari stili?
La buona notizia è che il K-pop ha risollevato l’export e il Pil della Corea del Sud. Comunque, più ti shippano, più sei “in hype” e viceversa. Ci avete fatto caso che Damiano David non viene più shippato con nessuno? Persino Giorgia Meloni viene shippata più di lui: prima con Modi, poi con Biden, al G7 di Borgo Egnazia anche con Sunak. Forse resiste, nel fandom dei Maneskin, solo la storia immaginaria con la bassista Victoria.